Presentiamo, di seguito, gli stralci salienti dell’Introduzione dell’esimio lavoro “Loggia P2 – Il Piano e le sue regole”, dei due bravissimi autori Giuseppe Amari e Anna Vinci. L’eccelsa introduzione è di Giuliano Turone.
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(Loggia P2 – Il Piano e le sue regole)
Castelvecchi Editore
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Introduzione
di Giuliano Turone
1 Il cosiddetto Piano di rinascita democratica della Loggia massonica P2 (da qui in poi Piano) nacque a metà degli anni Settanta del secolo scorso come documento politico originariamente destinato a rimanere segreto. Per meglio cogliere lo spirito e il significato di questo documento sembra opportuno soffermarsi anzitutto brevemente sulle vicende politiche italiane di quel periodo e degli anni immediatamente successivi.
2 Secondo la ricostruzione accolta nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2, il Piano venne redatto tra la fine del 1975 e l’inizio del 1976, vale a dire – non a caso – nel periodo in cui il governo italiano era guidato da Aldo Moro, le cui aperture nei confronti della sinistra e dell’eurocomunismo di Enrico Berlinguer non furono mai accolte con entusiasmo né dai circoli atlantici (ivi comprese le relative propaggini occulte), né dall’ala destra della Democrazia Cristiana, rappresentata da Giulio Andreotti.
Non sembra casuale, del resto, che i due governi Moro di metà anni Settanta (Moro IV e Moro V) siano stati gli ultimi ad essere diretti dallo statista pugliese, né sembra casuale che i tre governi successivi siano stati continuativamente proprio da Giulio Andreotti – da luglio 1976 ad agosto 1979 – passando indenni attraverso l’annus horribilis del sequestro e assassinio di Aldo Moro.
Più precisamente, nella primavera 1976 il Partito socialista fece mancare la fiducia all’ultimo governo Moro, il che portò alle elezioni anticipate del 20 giugno che si conclusero con una crescita impressionante del Partito comunista, mentre la Democrazia cristiana riuscì a rimanere il partito di maggioranza relativa solo per pochi voti.
Nonostante ciò (o forse proprio per questo motivo) l’incontro fra il Pci di Berlinguer e la Dc di Moro si realizzò paradossalmente – per giunta in una chiave minimalista che avrebbe contribuito alla sua rapida conclusione – con un governo monocolore di “solidarietà nazionale”, costituito proprio da Andreotti nell’estate 1976 (Andreotti III), con l’appoggio esterno di tutti i partiti dell’arco costituzionale, Pci compreso. Questo governo entrò in crisi nel gennaio 1978, essendo venuta meno questa singolare maggioranza della “non sfiducia”.
Ricevuto il reincarico da parte del Presidente Giovanni leone, Andreotti varò l’11 marzo 1978 un nuovo, contrastatissimo governo monocolore (Andreotti IV). Pochi giorni prima, in una tempestosa assemblea dei gruppi parlamentari democristiani, Moro ed alcuni altri avevano perorato la costituzione di una nuova maggioranza di “solidarietà nazionale” alla quale non restasse estraneo il Pci, mentre la maggioranza della Dc si era espressa contro qualsiasi accordo politico con i comunisti, sostenuta da una esplicita dichiarazione del dipartimento di Stato Usa.
La mattina del 16 marzo 1978 Andreotti si recò alla Camera dei deputati per esporre il suo programma di governo e chiedere la fiducia, ma prima che iniziasse la seduta arrivò in aula la notizia dirompente della strage di via Fani e del rapimento di Aldo Moro. La situazione di emergenza prodotta da questo evento (a cui seguirà dopo 55 giorni l’uccisione di Moro) determinò l’immediata fiducia votata dal Parlamento al governo Andreotti IV.
Questo esecutivo entrò in crisi nel gennaio 1979. Ricevuto un ulteriore incarico da parte del Presidente Pertini, Andreotti varò il suo quinto governo il successivo 20 marzo, ma non ottenne la fiducia. Di conseguenza il Presidente Pertini sciolse le camere e fissò le elezioni per il 3 giugno.
3 Il triennio andreottiano 1976-79 coincide, sul versante del potere occulto piduista, con un periodo di frenetica attività sotterranea – del tutto coerente con le linee guida del Piano – che ha portato al dominio del “sistema P2” sul “Corriere della Sera” e a numerose altre operazioni di enorme rilievo nazionale, gestite attraverso percorsi opachi, anti-istituzionali e non conformi al pubblico interesse, come sarà poi rivelato dalla documentazione esplosiva sequestrata a Castiglion Fibocchi nel 1981.
Sta di fatto che, parallelamente allo scenario dell’iperattività occulta pidiusta degli ultimi anni Settanta, si compie anche l’archiviazione dell’esperimento politico del “compromesso storico” vagheggiato da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. E ciò, non solo a dispetto della determinazione di quest’ultimo nel sottolineare sempre più decisamente l’indipendenza dei comunisti italiani dall’Unione Sovietica, ma anche con una inquietante coincidenza temporale con l’eliminazione fisica dello statista democristiano, che quel compromesso storico aveva sostenuto fino all’ultimo.
Negli ultimi mesi del 1979 e nel corso del 1980 – durante i due governi Cossiga I e Cossiga II – il sistema di potere occulto P2 si consolida ulteriormente, sino a celebrare la conquista del “Corriere della Sera” (diretto dall’affiliato P2 Franco Di Bella) attraverso la celebre e sibillina intervista-fiume a Licio Gelli (firmata dall’affiliato P2 Maurizio Costanzo), pubblicata sul quotidiano il 5 ottobre 1980.
L’intervista contiene messaggi in codice. Sono diretti a coloro che – essendo organici o contigui al sistema di potere P2 – sono in grado di comprenderli, ma diventeranno comprensibili a chiunque una volta resa pubblica, mesi dopo, la documentazione sequestrata a Castiglion Fibocchi e, ancora di più, quando sarà pubblicato, successivamente, il testo del Piano. Si tratta di un’intervista-proclama con cui il sistema di potere P2 – attraverso il principale quotidiano italiano divenuto cosa sua e attraverso la voce del suo “maestro venerabile” nonché suo portavoce e grande archivista – si presenta e si qualifica come sistema di potere nascosto (espressione testuale contenuta nel titolo dell’intervista), ma lo fa attraverso circonlocuzioni volutamente e marcatamente ambigue. Per esempio, alla domanda se egli sia “un esponente del potere occulto”, o addirittura il capo “del potere più grosso della Repubblica”, Gelli risponde: “Io non ho mai ritenuto di avere un potere occulto come mi viene attribuito. D’altra parte non posso impedire che gli altri lo suppongano”. E aggiunge che comunque “c’è un fondo di vero in queste affermazioni”, perché “sono riuscito ad accattivarmi la stima e la simpatia di molti”.
Poi Gelli consegna all’intervistatore alcune affermazioni che lasciano intendere una sua effettiva posizione di non trascurabile potere, del resto rispondendo a domande che tale posizione sembrano dare per scontata. Si tratta, inoltre, di affermazioni audaci di natura politico-istituzionale che si ritroveranno sviluppate proprio nel testo del Piano. Così, quando gli viene chiesto se egli si sia mai “espresso a favore di una Repubblica presidenziale”, Gelli risponde affermativamente, aggiungendo di averlo fatto “anche in una relazione che inviai al Presidente Leone”. E, quando gli viene chiesto “se manterrebbe la Costituzione” nel caso in cui “fosse nominato Presidente della Repubblica”, risponde che il suo primo atto “sarebbe una completa revisione della Costituzione”, che oggi è “un abito liso e sfibrato” e “risulta inefficiente e inadeguato”.
È poi suggestiva quanto significativa la frase finale dell’intervista: a domanda diretta del suo fidato intervistatore, Gelli dice che da piccolo, quando gli si domandava che cosa volesse fare da grande, lui soleva rispondere “il burattinaio”.
4 È il caso di ricordare che in quello stesso lasso di tempo (settembre-ottobre 1980) Licio Gelli e i servizi segreti da lui controllati si stanno dedicando puntigliosamente alle operazioni di depistaggio delle indagini relative alla strage della stazione di Bologna perpetrata il 2 agosto di quell’anno.
La trama di queste operazioni di depistaggio verrà puntualmente ricostruita anni dopo, nella sentenza del 1994 che condannerà in via definitiva Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini per concorso nel delitto di strage. Infatti, la sentenza condannerà anche – il capo della P2 Licio Gelli, il generale e funzionario del Sismi Pietro Musumeci (affiliato P2), il colonnello e funzionario del Sismi Giuseppe Belmonte e il faccendiere internazionale Francesco Pazienza. E dimostrerà che costoro compirono diverse azioni di depistaggio, agendo in concorso con il defunto generale e direttore del Sismi, Giuseppe Santovito (affiliato P2).
A proposito del legame tra P2 e servizi segreti, è interessante notare che esso viene evocato – esplicitamente, ancorché nella solita modalità sibillina – nell’intervista del 5 ottobre 1980. Maurizio Costanzo domanda: “Sembra che della P2 facciano parte alti esponenti dei servizi segreti. Lei adesso lo negherà, ma non le sembra che in Italia i servizi segreti abbiano spesso sofferto di deviazioni e omissioni?”. Anche in questo caso Licio Gelli dà una risposta ambigua e sfuggente: “A prescindere dal fatto che non ricordo chi fa parte dell’Istituzione, per quanto riguarda l’efficienza dei servizi segreti non sta a me giudicarla”.
5 Nel frattempo, tra settembre e ottobre 1980, il governo Cossiga II cade e viene sostituito da un esecutivo guidato da Arnaldo Forlani.
È nel corso di tale governo che si colloca, il 17 marzo 1981, la perquisizione nell’ufficio segreto di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, nel quadro dell’inchiesta giudiziaria sul finto rapimento di Michele Sindona. In questa occasione, vengono sequestrate le liste degli affiliati P2 e una copiosa documentazione inerente a operazioni di grande rilievo ruotanti intorno alla Loggia. Le liste – che contengono i nome di numerosi pubblici ufficiali di alto livello, tra cui i capi dei servizi segreti e vari parlamentari, ministri e alti ufficiali delle forze armate – vengono messe tempestivamente a disposizione del presidente del Consiglio dei ministri. Il premier temporeggia e pubblica gli elenchi degli affiliati P2 solo due medi dopo.
Lo scandalo è enorme e determina la caduta del governo Forlani. Per il sistema di potere P2 l’inatteso smascheramento segna l’inizio di un periodo di grave crisi, che peraltro non durerà a lungo.
Nasce così il governo di Giovanni Spadolini – primissimo governo a guida non democristiana – che si insidia il 28 giugno 1981.
Appena sei giorni dopo il giuramento del nuovo esecutivo il 4 luglio 1981, il “maestro venerabile” della P2 reagisce al colpo subito con una mossa da par suo, facendo in modo che il testo del Piano di rinascita democratica venga sequestrato dalla polizia giudiziaria con modalità tali da suscitare un certo clamore mediatico e trasformando così il documento segreto in un documento di dominio pubblico, riportato dalla stampa nazionale. Quel giorno, infatti, la figlia di Gelli, Maria Grazia, sbarcata a Fiumicino da un volo proveniente da Rio de Janeiro, viene controllata in dogana e il Piano viene trovato nella sua valigia, malamente occultato in un rudimentale sottofondo insieme ad altri documenti.
La mossa di Gelli è evidentemente destinata a serrare le file scompaginate dei suoi disorientati “fratelli” di loggia e anche – e specialmente – a richiamare all’ordine tutti quei personaggi politici altolocati che sono legati a filo doppio alle logiche e ai ricatti del sistema P2. Il messaggio implicito e vagamente minaccioso che scaturisce dal sequestro pilotato del Piano è piuttosto trasparente: nessuno pensi di potersi defilare, il progetto va avanti e verrà realizzato.
6 Così ricostruito il contesto in cui si colloca il Piano, risulta più agevole l’analisi del suo contenuto e del suo significato complessivo.
Nella premessa viene precisato che l’aggettivo “democratico”, che compare nel titolo, “sta a significare che sono esclusi ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema”. Con queste parole si intende escludere qualsiasi progetto di golpe di tipo tradizionale (quali il tentativo di golpe Borghese del dicembre 1970), coerentemente al mutato atteggiamento americano che si era manifestato dopo il 1974, quando lo scandalo Watergate aveva provocato l’allontanamento di Nixon. Questi fatti avevano parzialmente modificato le modalità di intervento della Cia in Europa, nel senso di astenersi dal sostenere ulteriori progetti golpisti, pur senza abbassare la guardia “di fronte alla prospettiva, che continuò a rimanere sgradita, di un pieno coinvolgimento del Pci nel governo del paese”.
Sempre nella premessa, come alternativa al rovesciamento del sistema, si propugna la strada della rivitalizzazione del sistema, “attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori”. Il che comporterà necessariamente – si aggiunge subito dopo – “alcuni ritocchi alla Costituzione successivi al restauro delle istituzioni fondamentali”.
Se si legge con attenzione il Piano, si osserva che il sostantivo “sollecitazione” e il verbo “sollecitare” vi compaiono ben otto volte, sempre assumendo un curioso valore semantico simile a quello che essi assumono in ingegneria meccanica, dove, con il termine “sollecitazioni”, si intendono le azioni esterne che, agendo su una struttura o su un sistema, ne modificano lo stato provocandone una deformazione.
Ebbene, le modalità delle sollecitazioni che il Piano intende esercitare su “tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina”, con la pretesa di determinare la rivitalizzazione e il restauro, sono descritte nelle pagine successive del testo in termini tali da metterne in risalto – al contrario – la loro natura decisamente eversiva. Si può convenire che il fine non è quello di rovesciare il sistema attraverso un golpe di tipo tradizionale, ma l’intenzione è certamente quella di svuotare il sistema costituzionale dall’interno attraverso operazioni occulte, che ben possono definirsi di golpismo strisciante.
Ecco, ad esempio, come viene esplicitato il primo obiettivo del Piano: “Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi [di lire] sembra sufficiente a permettere a uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo”.
I partiti politici da controllare attraverso questi improbabili uomini di buona fede vengono elencati così: “i partiti politici democratici, dal Psi al Pri, dal Psdi alla Dc al Pli (con riserva di verificare la Destra Nazionale)”. Il Pci, nel Piano, non viene mai menzionato.
Colpisce in questo documento – sia detto per inciso – il linguaggio tronfio, grottesco e penosamente maschilista e sussiegoso che viene impiegato e che denota, tra l’altro, la totale assenza di senso del ridicolo in chi l’ha redatto. Va da sé che non si parla mai di donne ma solo di uomini, forse anche perché le donne sono mediamente più dotate di senso del ridicolo.
Poche righe più sotto si afferma che “indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club […] ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità”. Le prospettate dimensioni ridotte di questo “club” dimostrano che non si sta parlando dell’intera Loggia P2, ma di un organismo ben più ristretto di uomini, di cui vengono pomposamente indicate le caratteristiche irrinunciabili: “debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale”.
Segue l’indicazione dei compiti e della stessa ragion d’essere del suddetto “club”. Esso dovrà operare come “un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare”. E dovrà inoltre “stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale”.
In altri termini, gli uomini del “club” dovranno avere la caratura necessaria per vigilare autorevolmente sull’evoluzione del golpe strisciante e per garantirne il buon esito, mantenendo anche i necessari contatti ad alto livello con gli ambienti nazionali e internazionali disposti e idonei ad appoggiare utilmente tale sofisticato progetto eversivo.
7 Nella parte successiva, il Piano entra nei particolari dei procedimenti da adottare per ottenere i risultati desiderati.
Così, relativamente al mondo politico, occorre anzitutto “selezionare gli uomini […] ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica”. Dopo di che sarà necessario “affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti […] a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti”.
Subito dopo l’attenzione si sposta sulla stampa. Anzi, sui giornalisti, dato che “la stampa […] va sollecitata a livello di giornalisti attraverso una selezione”. Più precisamente, anche nei confronti dei giornalisti il Piano prevede un’oculata selezione così concepita: “Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico, in modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l’ambiente”. Ovviamente il controllo della stampa si ricollega direttamente al controllo del mondo politico: “Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti”.
Nel medio e lungo termine, infine, il Piano prevede riforme radicali in materia di ordinamento giudiziario, tali da minacciare l’indipendenza della magistratura: responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del pm, riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento, separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici.
Si prevede anche la “modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni del successore”.
8 Dopo il sequestro pilotato del Piano di rinascita democratica (4 luglio 1981) il governo Spadolini procede senza gravi ostacoli per alcuni mesi. In settembre viene promulgata la legge istitutiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, che inizia i lavori in dicembre sotto la presidenza di Tina Anselmi. Nel gennaio 1982 Spadolini vara la legge in materia di associazioni segrete, che introduce nella legislazione penale il relativo delitto associativo e che dichiara lo scioglimento della Loggia P2.
Le difficoltà iniziano nella primavere del 1982 e vengono dal Psi di Bettino Craxi e Gianni De Michelis. Questi insistono vanamente perché il craxiano Leonardo Di Donna (affiliato P2) venga nominato presidente dell’Eni. Craxi, il 31 marzo a Rimini, critica pesantemente Spadolini. De Michelis, che è ministro delle Partecipazioni statali, pretende le dimissioni del presidente democristiano dell’Eni Alberto Grandi, succeduto a Giorgio Mazzanti (affiliato P2) travolto dallo scandalo Eni Petromin, per fare spazio a Di Donna. Spadolini non ne vuole assolutamente sapere.
È così che il governo Spadolini cade una prima volta in agosto, ma si rinnova subito grazie alla promessa di astensione da parte del Pci di Berlinguere. Cade definitivamente l’11 novembre 1982, dopo che il premier ha nuovamente rifiutato la nomina di Di Donna alla presidenza dell’Eni. Gli subentra un governo guidato da Amintore Fanfani, dal quale De Michelis, confermato ministro, ottiene l’assenso alla nomina di Di Donna, venendo però gelato dall’opposizione del Presidente Pertini: “Mai cariche pubbliche a chi è implicato nella P2”.
È chiaro, comunque, che la P2 ha recuperato terreno. Sono illuminanti in proposito le annotazioni che si leggono nei diari di Tina Anselmi dopo la caduta del governo Spadolini:
Basta cambiare Spadolini con Fanfani perché la P2 rialzi la testa? Troppi segnali lo dimostrano: la sicurezza dei piduisti, molti che collaboravano hanno oggi paura e diminuisce la collaborazione” (30 novembre 1982).
Vedo Spadolini a Palazzo Chigi […] Mi dice che la caduta del suo governo si può datare al 30 ottobre quando lui si è rifiutato di nominare subito Di Donna. Pertini pensa che ci sia stato un factum sceleris fra Fanfani e Craxi, per spiegare la soluzione alla crisi di governo. […] Ho detto a Spadolini dei fatti che evidenziano una ripresa della P2” (1 dicembre 1982).
Mi telefona a Castelfranco Spadolini. […] Mi riferisce che ha parlato con Pertini di questa ripresa della P2” (3 dicembre 1982).
Un anno e mezzo dopo, al termine dei lavori della Commissione parlamentare, Tina Anselmi scrive:
Visita a Pertini. Mi ringrazia per quello che ho fatto per il Paese e per l’Italia. Mi conferma la sua stima e la sua amicizia, per il coraggio che ho. Annota che nel Palazzo non si avrà la volontà di andare a fondo e di accogliere la mia relazione (10 maggio 1984, ore 18:30).
9 Ventiquattro anni dopo, in una conferenza stampa televisiva del 31 ottobre 2008, Licio Gelli rivendicherà con orgoglio alla Loggia P2 la paternità del Piano di rinascita democratica, con queste parole: “Peccato non averlo depositato alla Siae per i diritti, tutti ne hanno preso spunto: l’unico che può portarlo avanti è l’attuale presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”.
I giornali riportano la notizia con un certo risalto. Ma il diretto interessato (tessera P2 numero 1816), destinatario di quello scomodo complimento, non si scompone e non lascia trapelare nessun commento.
Giuliano Turone
Il contesto e la teorizzazione del golpe strisciante
tratto da Loggia P2 – Il Piano e le sue regole
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Contro gli incappucciati della finanza, Castelvecchi Editore 2013
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La Politica con il cuore (con Stefania Pezzopane), Castelvecchi Editore 2010
La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, Chiarelettere Editore 2011
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