D. Che cosa può rappresentare un’analogia o un simbolo?
R. “Egli creò questi mondi, l’Oceano Celeste, i lucenti Raggi, la Morte, le Acque.
Il Celeste Oceano è laggiù, di là dal Cielo, e il Cielo ne è il fondamento; i Raggi sono lo spazio intermedio; la Morte è la terra. Di sotto alla terra sono le Acque” (Aitareya Upanisad: I, 2).
“La luna è infatti la porta del mondo celeste” (Kausitaki Upanisad: I, 2).
“L’aurora è il capo del cavallo sacrificale, il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco vaisvanara le sue fauci spalancate, l’anno il suo essere” (Brhadaranyaka Upanisad: I, I, 1).
Altrove leggiamo che l’universo è formato di terra, aria e cielo; oppure di tre stati denominati Virat, Hiranyagarbha e Isvara, più un Quarto chiamato Turiya.
Se dovessimo prendere alla lettera termini, come oceano, spazio, cielo, aria o atmosfera, acque, ecc. , dovremmo concludere che questi scritti sono delle favole e neanche tanto felici, oppure dei giochi sibillini per persone perditempo, o ancora, dei miti di gente primitiva priva di buon senso. E, in effetti, per alcuni sono veramente tali.
Ma fatto sta che in questi scritti si parla di conoscenza dell’Essere e del non-essere, di Infinito e relativo, di noumeno e fenomeno, cose queste che non possono essere di menti primitive, ma di veri filosofi (tralasciamo per il momento quella che è l’ispirazione non umana di certi testi o dottrine).
Nella Brhadaranyaka Upanisad (I lettura) e nella Chandogya Upanisad (VI, II, 1), ad esempio, si dice che l’Essere è l’irradiazione del Non-Essere, e che dall’Essere emersero le determinazioni della manifestazione fenomenica. Per quanto si voglia far credere di trovarci di fronte a dei miti elaborati da menti primitive, in tutta verità non ce la sentiamo di avallare tale credenza.
“Dal non-essere conducimi all’Essere, dalle tenebre conducimi alla luce, dalla morte conducimi all’immortalità” (Brahadaranyaka Upanisad: I, III, 27).
Quando ci si accosta a una scienza, filosofica o no, per la giusta interpretazione occorre rifarsi ad alcuni princìpi di fondo, diversamente potremmo cadere in grossi errori di valutazione.
Prima di tutto, ogni scienza ha una sua terminologia, una sua struttura o impalcatura concettuale e di riferimento che occorre tener presente. Inoltre, v’è anche da considerare l’epoca a cui appartiene la stesura della scienza o filosofia. Così, i geroglifici egiziani non sono immagini o disegni per i bambini, ma un preciso linguaggio dei tempi che risponde ad altrettante precise idee, anche di ordine metafisico.
Diremo che in tutti i tempi e in tutti i luoghi ogni scienza ha avuto e ha un suo linguaggio e un suo geroglifico. Che cosa può rappresentare la formula chimica H2O se non un geroglifico? Eppure questa formula contiene una verità di fondo, racchiude un’idea che solo gli “addetti ai lavori” possono decifrare.
Che cosa sono altresì parole come “aria”, “cielo”, “uovo d’oro”, “acque”, ecc., e che cosa vogliono rappresentare?
Quando, al nostro livello umano, si vuole presentare o comunicare una verità sperimentata o rivelata, l’unico mezzo che si ha a disposizione è quello del linguaggio, che può assumere diverse possibilità espressive: figurato, analogico, simbolico, discorsivo, metafisico, ecc.
Un Insegnamento tradizionale o iniziatico è quasi sempre simbolico, anche figurato e analogico. Perché? Per due motivi fondamentali: perché mediante il simbolo, o l’analogia, cerca di evocare nel discepolo la verità simbolizzata, dal momento che la verità iniziatica non è diretta alla mente analitica, ma al “cuore” del discepolo. Perché, inoltre, il simbolo e l’analogia escono fuori del tempo e dello spazio. Quando ci esprimiamo con la “formula”: il Sole è il Dio vivente universale, ciò fa comprendere che questo simbolo non solo è valido per noi, e per coloro che vivevano ai tempi del re egiziano Amenhotep-Akhenaton, ma il sole è un potente simbolo che nasconde una verità metafisica. L’analogia tra il sole fisico e quello metafisico è adeguata e risponde alla Scienza tradizionale.
È evidente però che chi non conosce la chiave della Scienza tradizionale può prendere un abbaglio e considerare il sole fisico identico a Dio o Essere supremo. Un’analogia non è un’identità, come il simbolo, preso a se stante, è un’immagine vuota e anche priva di senso. La croce, ad esempio, è un simbolo che racchiude una precisa verità iniziatica; non solo, ma il simbolo, essendo per sua natura sintetico, racchiude differenti verità secondo il livello o sistema di coordinate a cui lo si vuole riferire. Da qui tutta una scienza del simbolo che non è oggetto di trasmissione discorsiva. E non può esserlo per tante ragioni.
Dire a una persona che la parola-simbolo “cielo” – oppure “acque”, “uovo d’oro”, “oceano”, ecc. – racchiude una precisa condizione coscienziale, una “dimensione” o uno “stato” dell’Essere, serve a ben poco. La Realtà in quanto tale è ineffabile, e solo mediante simboli, analogie, immagini, geroglifici può essere comunicata: se il simbolo-analogia riesce a penetrare nella coscienza della persona può darsi ch’esso si sveli nel suo significato esoterico.
I Veda-Upanisad, tanto per prendere un Ramo della Tradizione filosofica o Philosophia perennis, sono di ordine simbolico, analogico, figurato. Molti dei suoi termini, come Brahman, atman, Isvara, jiva, Siva, ecc., sono profondamente simbolici: rappresentano precisi stati coscienziali, “funzioni”, dimensioni o domìni dell’Essere. Pensare che Brahman sia le “acque” fisiche, o il “sole” fisico, o l’ “aria”, composta di ossigeno e azoto, significa essere molto lontani dalla giusta interpretazione del simbolo.
Pensare che il “mercurio” dell’Alchimia, altro Ramo della Tradizione, sia quello del termometro per misurare la temperatura, significa essere sprovveduti e “ingenui”.
L’atman è il nucleo atomico che, per quanto dia vita e movimento ai suoi involucri elettronici, se ne sta inalterato ed equidistante: questa è un’analogia, è un’immagine, ma non un’identità. Tra l’atman e l’atomo fisico corre un abisso.
Il termine “simbolo” deriva dal greco simbolon e indica le due metà o parti corrispondenti di un oggetto che venivano conservate da due diverse persone al fine di potersene servire come segno di riconoscimento. Simbolon significa ancora: segno divino, parola d’ordine, segno distintivo, ecc. Ciò ci suggerisce l’idea che quando due metà o due parti si uniscono e combaciano si riscopre l’unità, che è sintesi. Quando il Celeste Oceano e la Terra si uniscono, si riconoscono unità, e l’Armonia delle sfere risuona nello Spazio-vita.
Il termine opposto a simbolon è diabolos che significa: gettare attraverso, calunniare, opporre, contrastare, travisare, ingannare; in altri termini, disunire. E ciò che disunisce o separa sono l’ahamkara, o senso dell’io, e il manas, o mente empirica.
Raphael
tratto da Il Sentiero della Non-Dualità (pag 105)
Edizioni Asram Vidya
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