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607. L’Età Perduta di Pier Carpi

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Presentiamo di seguito un articolo su cui invitiamo i nostri lettori-ricercatori a riflettere sostanzialmente perché non è più tempo dei veli che celano la “Conoscenza” liberatrice. Pier Carpi, che è passato oltre il velo della materia (nel giugno 2000), ha cavalcato quel coraggio di coloro che osano posizionarsi al di là del Vero e del Falso, del Bello e del Brutto, del Buono e del Cattivo. Noi l’abbiamo conosciuto in divina amicizia e con questo articolo vogliamo ricordarlo.

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lascio a te tristezza e pena della mia immortalità

Il grido nicciano Dio è morto, non poteva trovare più facile terreno di cultura superficiale nel nostro tempo, che tutto fraintende e manipola, per portare alla mistificazione non demifisticatrice. Che tutto vuole, afferra e consuma con la fretta di chi sa di essere a sua volta consumato, divorato. Un tempo che conosce il prezzo di ogni cosa, ma il valore di nessuna. E quando il grido Dio è morto si era a sua volta mercificato ed era stato consumato, ecco quello ancora più violento, ancora più pericoloso: Satana è morto.
Perché il nostro tempo ha accettato, nei suoi strati più superficiali, s’intende, questi due slogan, alzandoli con la facilità e la falsa felicità che non erano possibili in tempi precedenti e sicuramente non saranno possibili in futuro? È semplice. Perché si trattava di due persone-idee facili da uccidere, perché esse stesse già moribonde, in quanto vecchie. Facile dar per morti due vecchi, in tradizione e in rappresentazione iconografica. Facile e gratuito, senza alcun rischio. Dio e Satana sono morti perché vecchi, non perché li abbiamo uccisi noi, incapaci di delitti, poiché ci mancano certezze, scienze e armi culturali per delitti tanto grandi, proprio nel momento in cui le ideologie crollano, inutili e fragili come i loro fondatori e i loro cattivi maestri, nel pieno della confusione delle lingue e delle idee, senza nemmeno avere alle spalle la bellezza, per quanto tragica, della caduta della torre di Babele.
Nell’iconografia medievale, Satana, in tutte le sue metamorfosi, vi viene presentato brutto e orribile, perché gli vengono attribuiti soprattutto tutti i mali della vecchia. È sdentato, la pelle cadente, il corpo flaccido, ricco di rughe, laido e bavoso. Come un vecchio, infatti, concupisce le donne, soprattutto le vergine e le bambine. Attribuire al male, per darne immagine popolare, le caratteristiche esasperate dei malanni della vecchia, era semplice e di facile presa su un pubblico semplice, che dalle rappresentazione sacre traeva la propria cultura, in modo quasi esclusivo. Quelle immagini erano l’unico fatto culturale, l’unico media di quel tempo, un grande potere che asserviva l’arte col fine di conservarlo, questo potere. solo in epoca recente, il potere, inteso esso stesso come Satana e forza del male in quanto potere, sotto qualunque forma, abbandonava l’arte, che non serviva più ai suoi scopi di dominio delle menti, per impossessarsi della scienza e della tecnologia, che del potere sono vassalle. La riflessione è triste, circa il decadimento dell’uomo e il successo indubbio del potere, se si riflette sul fatto che si ritiene superfluo impossessarsi della mente dell’uomo perché utilizzando scienza e tecnologia, ci si accontenta di impossessarsi del suo corpo, ritenuto più importante, dando alla mente e allo spirito una dipendenza vitale dalle esigenze del corpo. Il grave è che si punta non sulla necessità corporale, ma sul superfluo, sul falso bisogno, su cose create appositamente inutili e rese tecnicamente indispensabili per l’uomo d’oggi. Come, ad esempio, il fatto di essere giovane, o almeno giovanile, anche quando è vecchio. Perché la vecchia, e l’invecchiamento, nel nostro tempo, sono stati trasformati in tabù più temuti dall’uomo della morte stessa. Si potrebbe dire che il potere con tutti gli strumenti di cui dispone, ha fatto sì che l’uomo si dica che è importante che la morte arrivando, ci trovi giovani, o almeno giovanili.
La morte, essa pure resa iconograficamente orribile perché rappresentata come una vecchia, una megera quasi sempre con capelli bianchi su un viso a teschio. Se a satana, considerato la scimmia di Dio, sono stati dati gli attribuiti di vecchio, con tutti gli aspetti esteriori più ributtanti della vecchia, in senso di decadimento e di malattia, a Dio invece sono stati donati, sempre nella iconografia medievale intesa come mezzo di informazione e di controllo del potere sulle masse, tutti gli attributi della vecchiaia in senso positivo: forza della maturità, bellezza, presenza fisica, fascino, carisma che proviene dalla intera figura e soprattutto dalle luci del viso e da quelle degli occhi. Un gran bel vecchio, padre insieme buono e dolce, ma terribile, da temere, a immagine e somiglianza del patriarca ideale delle famiglie del tempo, l’uomo che, più invecchiava, più era saggio, infallibile, ma anche terribile, buono e un po’ burbero, il patriarca che dominava la famiglia, il paese, la tribù. In pratica, se nelle scritture è detto che Dio creò l’uomo a propria immagine e somiglianza, nell’iconografia medievale, erede della tradizione biblica, ma soprattutto di quella orale, è stato l’uomo a raffigurare Dio a propria immagine e somiglianza, contravvenendo con estrema leggerezza al comandamento di Dio stesso, che vietava la raffigurazione delle cose del cielo e della terra, iniziando proprio dall’immagine del Creatore.
Un Dio e un Satana vecchi, dunque, adatti ai secoli e anche ai decenni passati, ma non certo ai nostri, dove i vecchi, che detengono effettivamente il potere, hanno creato il culto della gioventù e del giovanilismo, non solo come fatti di consumo, ma anche come cortina fumogena dinanzi alla realtà che vede i vecchi al potere ovunque e i giovani, nonostante impennate di ribellione passeggere e comunque o volute e manovrate dai vecchi o da questi ultimi presto fatte proprie, per trasformarle in mode, in altri oggetti di consumo. Le ribellioni studentesche, il femminismo, il movimentalismo degli anni scorsi, infatti, erano in parte voluti da centri di potere, per sistemare lotte interne e movimenti di assestamento sempre a livello di potere. E si sono esauriti in mode, dagli abiti ai libri di consumo, da una certa musica a una certa letteratura, da un certo cinema a una certa pittura, che i giovani hanno creduto di creare, ma che in effetti hanno esclusivamente pagato e consumato sempre più in fretta. Nel segno di una società dominata dai vecchi, coi giovani, invecchiati più che mai dentro, e spesso anche esteriormente, intenti a imitare i vecchi, per potere un giorno diventare come loro e riuscire a prendere il loro posto come vecchi, invecchiati anzitempo.
Se il fatto non fosse rivoluzionario, e pericoloso per lo stesso potere, comunque se fosse possibile, oggi si offrirebbero l’immagine di un Dio giovane e di un Satana vecchio. Di un Dio sano e di un Satana ammalato. Perché la vecchiaia, secondo i canoni fissati oggi dal potere, è sinonimo di paura, a volte anche di terrore. Andando in questo modo contro ogni vera tradizione, intesa non come conservazione, ma proprio come fatto rivoluzionario. Perché ogni vera tradizione è figlia di una vera rivoluzione, mentre ogni falsa tradizione è figlia di una rivoluzione tradita. Per stare in campo religioso, la tradizione delle scritture, in tutto l’iter giudaico-cristiano, vuole il vecchio come sinonimo di forza, di saggezza, di potenza, persino di capacità sessuale. E il giovane posto nei ruoli di discepolo, spesso relegato nella chiave della regola del silenzio, come nella scuola pitagorica e nelle discipline neopitagoriche.
Quanto fosse importante la vecchiaia intesa come bellezza della maturità, lo dimostra anche l’invecchiamento della figura della Vergine, figlia diretta delle vergini partorienti della tradizione etrusca, una madre di Dio alla quale dare un’età materna, sui trent’anni circa, e spesso molto di più, in alcuni casi presentata come una vecchia affranta dal dolore. Quando è più che noto che la Myriam-Maria della tradizione cristiana ha partorito tra i dodici e i quattordici. Ma una ragazzina, una bambina, quale avrebbe potuto infondere sui fedeli abituati a considerare la madre quale sinonimo di adulta, se non di vera e propria vecchia da venerare? La bambina madre Myriam, diventa quindi la giunonica Madonna che conosciamo attraverso secoli di involuzione dell’immagine di quella Myriam di Nazareth che resta uno dei principali misteri religiosi, basti pensare che la città di Nazareth è stata fondata più di un secolo dopo la nascita del Christo.
Alla matura bellezza di Maria che schiaccia il serpente e sconfigge il demonio, come la donna chiamata a distruggere l’essere che ha perduto l’umanità nell’abisso del peccato originale sotto forma di serpente nell’Eden, a causa di un’altra donna, Eva, ecco che l’iconografia medievale oppone la vecchiaia e la bruttezza con tutti gli esasperati malanni del peggior decadimento della vecchia, per altre donne, le streghe, le seguaci o le succube di Satana. Vecchie, laide, malate, cadenti, quasi scheletri viventi, le streghe dovevano suscitare orrore presso i timorati di Dio. I quali ultimi forse sarebbero rimasti affascinati, ammaliati o forse anche sedotti nella fede, se avessero conosciuto la verità. Che le streghe, secondo le cronache più attendibili e i resoconti dei processi della Santa Inquisizione, erano quasi sempre donne bellissime. E altrimenti non poteva essere. Infatti, quasi sempre, le streghe erano accusa tedi avere rapporti carnali col demonio o altre creature delle tenebre e quindi di essere esperte nella seduzione, tanto da rovinare le famiglie, concedendosi a uomini sposati. Erano in pratica o prostitute o ninfomani e come tali da condannare non già per motivi di eresia o altri tanto cari agli autori del testo inquisitoriale principe, il Malleus Maleficarum, ma per motivi sociali e di ordine pubblico. Minavano la famiglia, base di una gerarchia di potere che arrivava, nei vertici, alla struttura della Chiesa e dell’Impero. La stessa Giovanna d’Arco, processata appena diciottenne, venne accusata con veemenza non tanto perché strega che udiva le voci delle sue sante e dell’Arcangelo Michele o per i prodigi che essa attribuiva alla volontà di Dio e i suoi avversari ai suoi legami con Satana, quanto perché lei , ragazza, commetteva il sacrilegi odi indossare abiti maschili. Fu questo il motivo principale usato dagli inquisitori per accanirsi contro di lei e poter poi costruire, nel modo subdolo che si sa, il corollario degli atti d’accusa. E anche Giovanna d’Arco, nell’iconografia apologetica come in quella denigratoria, viene quasi sempre presentata brutta, quando invece era molto bella, e comunque molto vecchia.
La vecchiaia, un’età meravigliosa, un tempo che ci è stato rubato dal potere, perché della vecchiaia vuole avere l’esclusiva, offrendoci in cambio grotteschi giovanilismi, coi relativi costi spirituali e sociali, ha subìto nei secoli una drastica mutazione d’immagine, astutamente calcolata e programmata. Da età dell’oro, coi suoi doni di salute, di equilibrio, di saggezza, di potenza ed esperienza sessuale, è stata trasformata nell’incubo della malattia, della debolezza, dell’inutilità, soprattutto dell’emarginazione sociale. È stato sin troppo facile porre in atto questa manipolazione della realtà e delle stesse leggi naturali. Sarà difficilissimo riappropriarsi di quanto ci è stato rubato, perché non è facile costruire una scienza e una cultura della verità, perché debbono scontrarsi col potere.
La tradizione, sul tema della vecchiaia e dell’invecchiamento, ci tramanda due saghe mitiche, legate però a due personaggi storicamente esistiti.
Il mito del dottor Johannes Faust, alchimista, medico e occultista della scuola magica di Praga, confratello di Paracelso e Cornelius Agrippa di tradizione protestante. E quello di Raimondo Lullo di Majorca, alchimista, scrittore, scienziato e poeta, appartenente alla tradizione cattolica. Ed è importante notare come le due matrici religiose siano fondamentali, poiché questo vale per quasi tutta l’arte, in particolare per la poesia e la musica. Vivaldi nella tradizione cattolica e Beethoven in quella protestante, Manzoni cattolico, sebbene venato di influssi giansenisti, e Goethe protestante. È indubbio, che senza Lutero non avremmo mai avuto la grande musica e la grande poesia accese dalla fede protestante. Entrambi i miti, quello di Faust e quello di Lullo, parlano della giovinezza da conquistare, esasperandola sino al concetto di immortalità senza invecchiamento, di sconfitta della vecchia e, in estremo, della morte stessa. In pratica, la sconfitta di Dio e la sconfitta stessa dell’uomo. Johannes Faust, esoterista e grande iniziato, firma il famoso patto col diavolo. In cambio della giovinezza, offre la propria anima. Viene accontentato. Ora, sfrondando le molte manipolazioni leggendarie e tralasciando i cascami di tanta cattiva letteratura, Mefistofele offre la giovinezza a Faust, intesa come tempo di godimento, di amore, soprattutto per la simbolica Margherita, di lussuria e di ricchezza. Alla resa dei conti, Faust ribatté di aver chiesto la giovinezza non come tale, ma come tempo. Tempo per cercare la verità, per completare le sue ricerche, poste tutte in una sola direzione: arrivare a Dio, il bene e il bianco, attraverso la penetrazione del male e del nero, Satana. Perché senza il buio non può esservi la luce, senza il maschio non c’è femmina, senza il vero non c’è il falso. Faust ha ingannato Mefistofele, arrivando a Dio non grazie al misticismo, ma per la via iniziatica, proprio affondandosi nelle tenebre del suo nemico, Satana. E così è salvo. Ha seguito quella che, in esoterismo, è definita la via secca. In questo mito, la giovinezza è vista come età dell’oro dal male, come tempo uguale agli altri, dal bene. Poiché Faust avrebbe accettato anche più vecchiaia da Mefistofele, ma ha dovuto prendere ciò che gli offriva come tempo, nel grande equivoco. La giovinezza intesa come momento ineguagliabile della vita, secondo il Male, il tempo, anche quello della vecchiaia, inteso per quello che è e che si sa vivere, secondo l’iniziato e il maestro di vita, Johannes Faust.
Raimondo Lullo era invece un giovane poeta e alchimista di Majorca, considerato in odor di zolfo per le ricerche e gli esperimenti alchemici che praticava nel suo castello eretto con pietre rosse. Innamoratosi di Ambrosia di Castiglia, “figlia di maggio, dai re contesa”, entrò a cavallo nella cattedrale di Majorca per chiederle il suo amore. La bellissima Ambrosia disse che anche lei lo amava e che lei questo amore lo voleva eterno oppure lo respingeva, per non vederlo appassire con l’invecchiamento della carne, piegata e piagata dalle malattie e da decadimento. Disse a raimondo, famoso come alchimista per aver fornito alla corte di san Giacomo un tesoro di monete d’oro, ancora note ai nostri tempi come raimondini, di trovare l’elisir dell’eterna giovinezza e dell’immortalità. Solo a questa condizione sarebbe stata la sua compagna. Raimondo Lullo accettò. E si chiuse nel suo castello di pietre rosse, tra atanor, polveri di proiezione, alambicchi, mandragore, nello studio dell’elisir dell’eterna giovinezza. Fu un lavoro lungo e difficile, ma alla fine riuscì: ottenendo l’elisir dell’immortalità, Raimondo Lullo lo bevve e quando fu certo della realtà della propria scoperta, con l’ampolla in mano, corse al palazzo della bella Ambrosia. Venne ricevuto da una dama in nero, velata, e si buttò ai suoi piedi, offrendole l’immortalità in cambio dell’amore che gli era stato promesso.
Allora la donna si alzò il velo e si tolse gli abiti di dosso, restando nuda e mostrando di un orribile spettacolo: era invecchiata, e nel modo peggiore, perché gli anni erano trascorsi, nell’attesa, senza che Raimondo Lullo se ne rendesse conto. La vecchiaia e orribili mali avevano trasfigurato il suo viso, infierito sul suo corpo. Ora Ambrosia di Castiglia non poteva accettare l’offerta dell’immortalità per un corpo distrutto e si rendeva conto di quanto stolta e vuota fosse stata la sua richiesta. Aveva capito il valore di invecchiare, anche nel dolore, e di morire. Chiedendo soltanto perdono a Dio del proprio orgoglio e aspettando con gioia il momento di essere chiamata a lui. Morì ben presto, Ambrosia, ma la stessa cosa non fu possibile a Raimondo, che voleva spegnersi al più presto, per raggiungerla in cielo. Era immortale, ma non eternamente giovane. Cercò la morte ovunque, mentre il suo corpo invecchiava e si copriva di piaghe sempre più orribili. Implorò Dio di concedergli la morte, che cercò in mille imprese, per anni e anni, inutilmente. Poi andò solo in Terra Santa, a lottare come un gigante immortale contro i saraceni. Venne torturato, ridotto a una sola piaga, sepolto sotto una montagna di pietre. E non riusciva a morire. La sua pregiera fu finalmente accolta e dal cielo, in piena notte, Dio mandò un arcobaleno sulla montagna di pietre. Qui si recarono alcuni marinai che presero quel corpo deforme e, messolo sulla loro barca, fecero vela per Majorca. Durante il viaggio, chiedendo un sepolcro in cielo perché in terra per lui non potevano esservene, Raimondo morì e il suo corpo salì in cielo, a raggiungere Ambrosia di Castiglia.
Il sogno dell’immortalità senza invecchiamento ricorre continuamente nella tradizione e nel mito. Dall’elisir di Cagliostro che, con un rito all’età di quarant’anni, riporta l’uomo ai vent’anni, sino alla leggendaria figura del conte di Saint-Germain, l’essere immortale, che conosceva i segreti di ogni arte e di ogni scienza, l’uomo che tentò di salvare, quando avrebbe dovuto essere morto, Maria Antonietta dalla prigione del tempio. Di lui parla Voltaire in una entusiastica lettera di presentazione a Luigi XV, di lui parlano molti, che giurano di averlo incontrato in seguito, sempre uguale, sempre giovane. L’ultima, la teosofa Annie Besant, che scrisse di averlo incontrato in India nel primo decennio del Novecento. Miti e leggende che ripropongono l’orgoglio dell’uomo che intende vincere non solo la morte, ma anche l’invecchiamento. Ciascuno di noi, nell’agire in un ambiente, ne è condizionato o lo condiziona, e quindi può anche vampirizzarlo. La nostra giovinezza non può che invecchiare gli altri, anche le cose e le idee. Come ci dimostra il giovane-vecchio Oscar Wilde nel suo Ritratto di Dorian Gray. Se in passato la ricerca dell’eterna giovinezza e dell’immortalità erano strumenti di lotta contro il potere, oggi è la riconquista della vecchiaia, nel senso più totale, un atto rivoluzionario. Cosa mai sarebbe l’immortalità, se non un eterno, drammatico ricordare?

Pier Carpi
tratto dalla Rassegna bimestrale del Centro Studi Esoterici ed Iniziatici Conoscenza
Anno XXV – N. 6 Novembre/Dicembre 1989

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