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595. La manipolazione nella spiritualità

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Anche il migliore dei sadhaka può essere ingannato, dagli impostori della spiritualità, finché non sperimenta gli stadi superiori del risveglio: condizione, davvero per pochi, in cui si dischiudono le possibilità del reale “vedere-sentiresottile (citradrsti o vijnanadrsti), sostenuto dall’inequivocabile faro illuminante della “buddhi”. Prima di tale risveglio il sadhaka, proprio per la limitata natura e formazione degli organi sensori dell’essere umano ordinario, non vede, non ode, non tatta, non gusta, non odora molte cose; infatti, molte energie sottili e supersottili sfuggono ai suoi sensori. È nella pratica di una corretta sadhana, portata fino in fondo agli stadi superiori, che studiando e ricercando può, di fatto, risvegliarsi e realizzarsi avendone, delle realtà sottili, una esperienza consapevole. Una sadhana, che include correttamente gli insegnamenti di un Maestro, prevede il risveglio, anche graduale, dell’antahkarana (buddhi, ahamkara, citta, manas) quale costituente del corpo sottile (lingasarira).

Nella spiritualità non bisogna ignorare l’opera insidiosa dell’Oscurità, quell’influenza nefasta che viene sferrata negli ambiti dediti alla “ricerca della verità” per motivi spirituali, un’opera svolta dal Maligno mediante dei sadhaka sedotti dall’illusione di un potere da poter esercitare sulle coscienze che cercano la luce, controllarle, guidarle, pensando anche di fare del bene. Il serpentino fascino del Lato Oscuro fa cadere, nella rete egoica delle illusioni (ajnanadrsti), molte persone dedite alla spiritualità, facendone degli inconsci agenti del male. Gli ego dei sadhaka sedotti dal Male vivono sotto influenza, vengono manipolati dalle Forze Involutive (provenienti dai piani ultrafisici) e a loro volta spinti a manipolare. Gli ego sotto tale influenza, appartenenti ai più diversi ambiti spirituali (chiese, scuole, centri spirituali, asram di maestri, ecc.) stanno sotto il dominio della contro-iniziazione, a diversi gradi e livelli.

I sadhaka, cioè coloro che hanno fatto la scelta di percorrere un sentiero realizzativo (una sadhana), ovvero di separare la Luce dalle Tenebre, rischiarando il proprio ego oscurato, corrotto, cercano di sviluppare e di rinforzare in l’elemento sattvico (rispetto alla mescolanza dei tre guna) dirigendolo verso le altezze di una reale trasformazione divina.
La sadhana che punta sul sattva accende una forza dominante che fa orientare il sadhaka verso la vera conoscenza, verso la consapevolezza e il dominio di sé.

Il sadhaka che invece si fa manipolatore di coscienze ha lasciato prevalere la forza dominante della natura rajasica, una grandezza egoistica mascherata di saggezza esoterica, per imporsi al mondo degli uomini, per il personale orgoglio spirituale. Dietro ai sadhaka manipolatori operano gli asura.
La contro-iniziazione prende di mira le migliori correnti spirituali (asram di un maestro, una scuola esoterica, ecc.) controbilanciando due tipi di operazioni: l’insidia effettuata dall’interno, seducendo l’ego di sadhaka di una certa importanza (quelli aventi cariche all’interno dell’organizzazione spirituale di appartenenza, quelli benestanti economicamente e quelli che esercitano una certa influenza); l’attacco sferrato dall’esterno per indebolire la fiducia dei vari sadhaka affratellati nella corrente spirituale.

Alcuni sadhaka-devoti di un Maestro che ha lasciato il corpo fisico, caduti sotto l’incanto della seduzione del richiamo del potere spirituale, si fanno manipolatori di coscienze, e una volta accomunati i personaggi giusti iniziano l’opera di manipolazione sui propri fratelli-devoti, toccati emotivamente dalla perdita fisica del maestro comune, cominciando mediante una suggestiva uscita pubblica.

Durante un’opera di manipolazione, coloro che la esercitano fanno sempre finta di dire tante cose, e poco accessibili ai più, per non far comprendere proprio niente, ma cercando solo di lasciare l’impressione, in chi ascolta, di aver percepito un “qualcosa”, fatto che rassicura e convince i più.
Rientrano nelle modalità della manipolazione il “cosa viene detto” e il “come viene detto” per ottenere una risposta condizionata nei manipolati, direzionando la loro opinione, i loro convincimenti, i loro credo, azionando anche forme di coinvolgimento degli astanti (evento che ottiene sempre un certo effetto, come fa il prestidigitatore che distrae il pubblico per non far notare il trucco-inganno usato).

Quando si è incontrato, nell’esistenza umana, un vero Maestro ed è accertato che “Questi” ti abbia accettato (incluso nella propria Aura mediante un “sutra”) come “discepolo”, probando prima e accettato in ultimo (per le potenziali “qualificazioni” necessarie), significa che ti è stato “consegnato” (mediante il processo del “tradere”) il “Maestro nel cuore, la “Via” immateriale nelle strade del mondo e gli “Insegnamenti” perenni. Che altro può volere un ente planetario che ha avuto tale rara possibilità? Non gli resta che percorrere fino in fondo, cadendo e rialzandosi, quella “Via”, supportato dal bagaglio sapienziale ricevuto e da onorare.
Quando si è davvero divenuti “discepoli” di un Maestro un senso di pienezza, di completezza accompagnerà per sempre, nella buona o nella cattiva sorte; non si sentirà più quel senso di incompletezza di cui soffre l’uomo ordinario, che per questo insegue un bisogno dietro l’altro senza mai estinguerli. Finché ci sarà quel senso di incompletezza l’ente planetario cercherà ovunque ciò che lo può far sentire completo, senza parti mancanti. La mancanza di equilibrio, di armonia e di commensura, in una ricerca spirituale, ne fa una ricerca vacua, vana, inefficace, illusoria, dove si espande l’ego (in grado di assumere molte maschere, da quelle di discepolo evoluto che dispensa aiuto e consiglio a tutti a quelle, in alcuni casi, di umile iniziato) e diventa irraggiungibile la possibilità verso il .

“Molti si definiscono ‘devoti’ ma questa rivendicazione non ha alcun significato in se stessa. Quando scrivete una lettera, non potete essere sicuri che il messaggio sia giunto dove volevate se il destinatario non ne conferma la ricezione; in modo simile, che uno sia un devoto o meno deve essere dichiarato dal Signore Stesso. Arjuna non disse a Krsna ‘Io sono un Tuo devoto’ né il Signore Krsna si accontentò di dire ‘Arjuna, tu sei un mio devoto’. Perché il Signore Krsna scelse di dire ‘Tu sei Mio amico e devoto’ invece di chiamare Arjuna semplicemente ‘amico’ o ‘devoto’? In questa dichiarazione c’è un significato spirituale profondo che vi diverrà chiaro solamente quando vivrete la vita spirituale. Se Krsna avesse detto ‘Tu sei Mio amico’, l’ego di Arjuna sarebbe gonfiato ed egli si sarebbe preso delle libertà illecite con Krsna; se Egli avesse detto ‘Tu sei Mio devoto’, Arjuna sarebbe diventato estremamente sottomesso quindi il Signore Krsna dichiarò ‘Arjuna, tu sei Mio devoto e amico’.

Sri Sathya Sai Baba
Discorso tenuto a Trayi nel Luglio 1988.


Purtroppo anche l’aver incontrato un grande Maestro ed aver ricevuto il migliore degli insegnamenti non preserva il sadhaka-devoto dal subire un inganno, se la “pratica” nella sadhana non ha rispettato i tanti ammonimenti del Maestro. Basta solo, a mettere a rischio ogni sadhaka, la mancanza di vera disciplina: la forza emanata dalla disciplina protegge dalle insidie del visibile e dell’invisibile.

Un sadhaka deve raggiungere una profonda comunicazione fra l’”Individualità” e la “Personalità”, così saprà di essere ad un importante stadio della propria sadhana, senza alcun dubbio.
Quando nel sadhaka i sentimenti d’ingiustizia, gelosia, invidia, collera, impazienza, avversione, repulsione agitano la sua mente anziché presentare possibili soluzioni costruttive di perdono, di pace, di equilibrio, di armonia significa che nella sua sadhana ha prevalso il serpente della suggestione, guidato dal desiderio che fa cadere il pensiero spirituale sulle strade mortali dell’ego. Il sadhaka deve sempre vigilare sui possibili incantamenti che l’ego può scagliare avvelenando la “Personalità” separandola dall’”Individualità”, compromettendo i risultati della sadhana e sviandola dalla giusta direzione.

Avere una visione dell’esistenza non significa riferirsi ad essa come ad una mappa: la mappa è sulla carta dove per comprendere bisogna unire i vari punti di quanto si esplora o si ha intenzione di esplorare. La visione di cui parliamo è la rappresentazione interiore di quanto la posizione coscienziale che stiamo sperimentando ci permette di cogliere, di poter comprendere dell’intera realtà: la visione è la coscienza viva sperimentata, con tutti i limiti ancora da superare ma reale, viva, insegnante, senza rigidità perché non guarda con occhio locale ma con uno sguardo non-locale.
Chi abbandona la condizione di profano tende a lasciarsi alle spalle la superficialità per privilegiare la profondità, bandisce gli spigoli in favore della fluidità: si avvicina sempre di più agli stati-luoghi dell’essere attraverso osservazioni colte dalla propria percezione lungo le interazioni con lo spazio e con il tempo. Gli sforzi sinceri motivati dall’amore profondo per una ricerca della conoscenza portano ad incontrare il magico momento, in cui si abbattono le barriere che determinavano l’osservatore e l’osservato, in cui si intravede chiara un’altra possibilità, un diverso stato-luogo a procedere che testimonia l’azione reale nell’invisibile e la dinamica del fare nel visibile.
Il mondo in cui sembra immerso l’ente planetario, ordinario o risvegliato, appare come ad un universo fenomenico, soggetto, però, ad una serie infinita di trasformazioni continue che solo a certi livelli di risveglio è possibile cogliere come ad una profonda unità dietro i vari strati.
L’ente planetario è un essere spirituale che attraversando l’idea dell’uomo si incarna in un microcosmo attraverso il quale operare provvisoriamente, per un certo tempo, su più piani e su scale diverse. Quest’uomo-microcosmo ha un nucleo (l’io-ego, l’ahamkara) che cerca di regolare e dirigere le sue operazioni, ma in mancanza di quello che viene chiamato “risveglio” ne è consapevole solo in minima parte.
Il sadhaka che non cura le proprie debolezze, le proprie fragilità, lascia prevalere l’emotività senza bilanciarla con lo sviluppo dell’intelletto spirituale e per questo diventa facile preda dei manipolatori, fino a seguire, come nella profanità, quello che fanno tutti perché sicuramente è giusto, è vero, è normale, è sicuro.

Infatti l’aspettativa innocente di un sincero sadhaka, nei confronti di un incontro-evento (come un uscita pubblica), può essere motivo-causa per una convinzione errata (asat[non-realtà; ciò che non è, né esiste in assoluto] scambiata per sat[il reale; ciò che è esistente]), convinzione suscitata, provocata dai persuasori occulti di una spiritualità a rovescio (contro-iniziatica) per meri fini di potere anti-tradizionale. Il sentire devozionale, nel cuore del sincero sadhaka, può essere autentico, la circolazione dei sentimenti di pace e di amore, tra gli astanti presenti all’incontro-evento, più che vera, perché tutti tesi e concentrati nello stato d’animo di una grande aspettativa annunciata; ciò che non è sincera è la devozione manifestata dal manipolo di manipolatori. La manipolazione dei persuasori occulti prevede sempre il bando del dubbio e la lievitazione di una crescente aspettativa, per mezzo di modalità appropriate dell’arte occulta della persuasione. Gli astanti rappresentano il polo negativo e i manipolatori il polo positivo: condizione che rende facile e possibile la persuasione di quanto si vuol far credere che stia accadendo, scatenando così, effettivamente, una circolazione di energie facilmente percepibili da tutti, che affratellano (quel tipo di energia però – piacevole – ma che si può sperimentare anche nei grandi incontri tra persone che seguono lo stesso interesse, tipo la partita di calcio, il concerto, un congresso, ecc.). L’aspettativa provoca proiezioni, crea o attiva “pensieri-forma” inerenti a quanto psicologicamente preannunciato già dai manipolatori.
Uno stato d’animo corrisponde sempre ad uno specifico stato pranico-energetico (a livello di nadi, cakra, aura e kundalini) ma si può dire anche che uno stato pranico-energetico, sapientemente indotto, può provocare uno stato d’animo corrispondente.
L’aspettativa crea “travasi” di energia.
I molti astanti, aventi carattere comune, radunati di fronte ad un incontro-evento annunciato (la manifestazione della presenza del Maestro, passato oltre il velo della materia, nel corpo sottilelingasarira o suksmasarira – ), danno inizio a “una qualche cosa”, “da cui deriva una qualche cosa”. Ovviamente gli organizzatori annunciano “qualcosa” che non tutti possono essere in grado di “vedere-sperimentare”: solo i puri di cuore sono in grado di percepire una tale esperienza. Una sentenza annunciata. Praticamente sono già esclusi, a priori, tutti, o quasi. Tutti tranne i pochi che hanno organizzato: tutti dovranno credere sulla parola e accontentarsi delle eventuali emozioni che possono attraversare il corpo emotivo degli astanti. Sorrisi, perfezionismi nelle parole offerte e giovialità diffusa dovrebbero bastare a rendere credibile qualche occasionale supposto miracolo (?).
Ma è certo che un Maestro possa prestarsi a certe infantili sceneggiature in nome di una presunta missione inconclusa, da completare in un certo arco di tempo, per una morte prematura del corpo fisico? È credibile una ostentata e ridicola mimica attorno ad uno spazio fisico che accoglierebbe la presenza della forma sottile e dei suoi movimenti, invisibile ai più, del Maestro? Accentuare una mimica corporea per rendere visibile agli astanti il senso dell’ascolto delle parole del Maestro, perché dovrebbe indurre a “credere” chi non si ritiene ancora pronto a vedere, per mancanza di purezza di cuore? Ma davvero un Maestro può prestarsi a tanto? Ha bisogno di tutto ciò per “trasmettere” ulteriori insegnamenti dopo quelli già consegnati tramite il corpo ancora in vita? Perché non dovrebbero bastare gli insegnamenti già consegnati ai discepoli? Cosa può essere consegnato di così prodigioso che non abbia già fatto nella forma fisica grossolana? Pensare in tal senso significa ignorantemente (ignoranza metafisica) limitare la natura trascendente di un Maestro: cosa impossibile per un vero Maestro.
È davvero così che funziona nelle cose spirituali? O tutto ciò dimostra, soltanto a chi è rimasto in possesso del proprio senso critico (non avendo percezioni sottili), una madornale ignoranza metafisica, un gigantesco bisogno di protagonismo mascherato di umiltà devozionale (una prepotente appropriazione indebita della credulità di devoti in buona fede ma ingenui e carenti della giusta conoscenza), una smisurata fame di potere spirituale? Orchestrare un tale spettacolo sul nome e sulla forma di un Maestro assume il senso di una realizzazione di un piano di “Brand Strategy” integrato da una operazione di “People Strategy”, per dare all’evento la sua giusta collocazione: una mistificazione che deve convincere e creare un seguito.
Certe cose accadono anche tra le migliori persone in buona fede, tra i più sinceri devoti mossi, per ingenuità, da pronunciate aspettative perché viene a mancare quanto serve per non cadere in simili trappole, cioè l’informazione esoterica, l’acquisizione vera della dottrina metafisica, un minimo di effettiva pratica di dharana, dhyana e samadhi, anche della pratica di un’analisi discriminativa. La ricerca ed il bisogno del sensazionale porta più facilmente verso i sentieri dell’inganno che verso una esperienza reale del trascendente.
I sadhaka che appartengono ad una corrente spirituale (cioè alla scuola di un determinato Maestro) spesso non sanno di portare con sé, nella propria aura, un’“impronta” specifica che li distingue dai discepoli di un altro Maestro. Questa “impronta” è come se scorresse negli involucri energetici che circoscrivono, racchiudendolo, l’Atman: questi sono i kosa anandamaya, vijnanamaya, manomaya, pranamaya.
I manipolatori tendono a creare una nuova corrente spirituale (da manovrare), da mescolare a quella già esistente, per poterla sovrapporre a quella effettiva del Maestro e guidarla: una tipica operazione contro-iniziatica di insidia spirituale. Così lavora l’Oscurità. Ma ad aprire le fenditure, attraverso le quali l’Oscurità si insinua, sono sempre l’ignoranza metafisica, l’arroganza spirituale, la fragilità psichica, il bisogno di supporto psicologico frainteso per ricerca spirituale, la superficialità che cerca solo sensazioni misteriche che la nutrano, il bisogno di appartenenza a “qualcosa” di importante per non sentirsi incompleti, ecc. .
In pochi iniziano il viaggio della sadhana con una buona base di auto-esplorazione effettuata, per non incontrare problemi irrisolti a sadhana avanzata, quando non si potrà più fare finta di niente o di essere così evoluti da non perdere tempo con alcuni aspetti della personalità non affrontati a suo tempo. La vita spirituale non ama l’ipocrisia e così prima o poi interverrà in momenti opportuni, secondo le logiche karmiche e dharmiche, che però risulteranno sempre dolorose.
Il sadhaka non deve vergognarsi né sentirsi in colpa se scopre e riconosce di essere caduto in una prova che la vita gli ha messo innanzi, o se non ha riconosciuto un inganno cadendovi tra le fauci. L’importante è risvegliarsi, accorgersi dell’errore, riconoscere l’annebbiamento, rialzarsi e procedere con più vigore lungo la sadhana: dopo la maturazione di un errore le possibilità di crescita evolutiva sono moltissime.

Quando un Maestro lascia le spoglie fisiche mortali i discepoli hanno il compito impeccabile di testimoniare i suoi insegnamenti non dimostrare di essere creativi, nell’inventarsi stramberie che hanno solo il fine di mettere in bella mostra gli ego non ancora smantellati con la sadhana. Anche tra i migliori asram di grandi Maestri accadono cose spiacevoli, specie quando il Maestro muore: tutti scavano nel suo pensiero e nella sua storia di corpo-personaggio cominciando a manomettere, a distorcere, a creare falsi miti, a travisare, a costruire cornici di comodo (per mostrare la propria immagine accanto a quella del Maestro), un tutto corrispondente agli interessi egoistici di ciascun devoto o discepolo. Tutto ciò può accadere anche nella più perfetta buona fede, ma accade perché la propria sadhana ancora è carente, non cavalca i livelli richiesti dal Maestro che però ha consegnato quanto necessita al discepolo per raggiungere l’eccellenza nel processo di realizzazione. In molti, improvvisamente, sembrano in grado di dire “… questo me lo ha detto il Maestro …”. La prudenza e il rispetto imporrebbe a tutti i discepoli, nessuno escluso, di attenersi all’essenziale del suo insegnamento, a quelle “certezze luminose” (i vari insegnamenti costituenti la Vidya) che il Maestro ha già consegnato e che non hanno bisogno di aggiunte. Di fronte alla scomparsa fisica del Maestro tutti i discepoli dovrebbero partecipare a garantire una continuità seria e onesta di quanto da lui consegnato (insegnamenti, discorsi, indicazioni) solo fino all’ultimo minuto di vita corporea. Evitare ogni possibile ombra di sospetto, di dubbio, di non perfettamente comprensibile per tutti dovrebbe essere un imperativo. Lì dove sembra che Lucifero abbia messo gli specchietti per il suo facile gioco di insidia bisognerebbe coraggiosamente intervenire. Colui che tenta i discepoli sul piano delle vrtti provocate dall’immaginazione umana, cioè diabolica, inganna con pratiche oscure. L’immaginazione, come insegna la Bhagavad-Gita, origina i desideri e per questo, chi vuol essere devoto-discepolo, vi deve rinunciare. Non bisogna dimenticare che una sadhana prima di avere una forma universitaria prepara attraverso le forme esperienziali elementari fino ad arrivare gradualmente alle classi successive. Lo scopo, anche se a livelli diversi, è sempre quello di separare il puro dall’impuro, la luce dall’oscurità.
Il Maestro lascia, ad ogni discepolo, un solo dovere: offrire il proprio servizio (cioè la diffusione seria ed onesta del suo insegnamento per garantirne la continuità). Al Maestro sempre presente nel cuore del vero discepolo bisognerebbe offrire la propria fedeltà.

La “Sfera dell’Alto” non a caso invia sempre, mediante le Strade Alte, i suoi emissari (Maestri, Iniziati, Vibhuticolui che incarna un potere del Divino per svolgere una certa missione – e Tulku – colui che manifesta certi poteri occulti e agisce con forza nel mondo per una missione speciale – ) per aiutare gli enti planetari in generale, ma soprattutto i sadhaka in difficoltà (fiducia persa, smarrimento, caduta spirituale, annebbiamento intellettuale, influenze asuriche, ecc.).
Una sadhana percorsa correttamente nel rispetto delle indicazioni date da un Maestro o da una tradizione relativa assicurano una buona protezione; ma se certi aspetti della personalità vengono trascurati si aprono fenditure che mettono a rischio di influenza il sadhaka.

L’insidia seduce le intelligenze, le tenta evocando in loro bisogni da poter riscattare, vuoti da poter riempire, sicurezza da poter conquistare, potere da manifestare, ma ciò che essa può dare solamente è quell’illusione che rende ciechi all’unità dell’essere e schiavi della molteplicità delle sue produzioni. L’insidia divide, separa, sovverte, distrugge: è causa di dispersione, spezza l’unità dello spirito e inclina al Caos che chiama libertà.

Ogni sadhaka sappia che nulla gli potrà impedire un giorno, se egli vorrà, di assurgere alla posizione coscienziale di “Iniziato incognito”: il sentiero va percorso fino in fondo, con tutti gli sforzi necessari e gli atti di coraggio della verità. La coscienza dell’Iniziato sperimenta citradrsti (la visione interiore) sottoforma di vive e chiare immagini, grazie alla buddhi completamente risvegliata. L’Iniziato, completamente risvegliato, realizzato, illuminato e liberato può fare affidamento completamente sui propri strumenti: drsti, la visione interiore; drsi, la percezione; lipi, le comunicazioni scritte viste con la visione interiore; vijnana, la conoscenza intuitiva gnostica.

A voi trovare una risposta!

 

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