Nella Bhagavadgītā il Signore Krsna espone vari tipi di insegnamento che sembrano essere contraddittori. Egli dà ad Arjuna istruzioni relative al giusto modo di agire (karma) per l’adempimento del suo dovere. Infatti, vi troviamo indicazioni come: “Combatti, dunque, o Bharata!” (II, 18); “Perciò, tu pure compi ogni azione alla stregua degli antenati” (IV, 15); “Colui che compie l’azione inerente al suo dovere …” (VI, 1); “Compi, dunque, l’azione dovuta …” (III, 8); “Compi, dunque, in funzione sacrificale …” (III, 9). Nell’ultimo capitolo della Gītā il Signore dice: “Chi si trova ad aver piacere nel proprio lavoro, raggiunge la perfezione” (XVIII, 45), e mette in evidenza come ognuno abbia il dovere di compiere il proprio svakarma, ovvero l’azione rispondente alla propria natura. Tutte queste affermazioni dimostrano che Bhagavān ha impartito ad Arjuna l’insegnamento del Karma Yoga, che è l’insegnamento principale della Gītā.
Ma in altri passi della Gītā troviamo Krsna che parla di ritirarsi dall’azione. Il Signore dice: “… senza agire e senza essere causa di attività” (V, 13); inoltre, c’è l’ingiunzione di ritirarsi da soli in un luogo solitario (VI, 10). Quindi, sono istruzioni che scoraggiano l’azione. Come possono essere conciliate queste indicazioni apparentemente contrastanti? Nella Gītā, quando l’agire-karma viene messo in evidenza quale modalità primaria, la devozione-bhakti e la conoscenza-jnana sono considerate di ausilio alla’azione stessa. Quando invece vengono lodate la bhakti o il jnana, le altre due modalità acquistano una funzione ausiliaria. La risposta a questo conflitto apparente si trova nel commento di Sri Sankara alla seconda parte del verso XVIII, 46. Egli osserva che la parola siddhi nel verso non si riferisce alla liberazione immediata e definitiva (moksa), ma alla purificazione della mente e alla pratica yoga quali mezzi che conducono alla conoscenza (jnana). La conoscenza del Brahman diventa possibile solo quando la mente è stata purificata tramite la giusta azione ed è quindi in grado di concentrarsi tramite lo yoga. Se la mente è intorpidita e agitata dai desideri sarà distratta e degradata e la luce della conoscenza non vi potrà risplendere.
Anche la devozione-bhakti, come l’azione-karma, è un’ancella della conoscenza-jnana. Il Signore dice: “Tramite la bhakti si giunge a comprendere la mia natura qualificata” (Bhagavadgītā: XVIII, 55); ciò significa che la bhakti riveste il Supremo degli attributi di nome, forma e qualità essendo essi naturali e necessari per il devoto. Una simile bhakti attira la grazia della Divinità che fa sorgere nel devoto la conoscenza-jnana della vera natura del Supremo; tale conoscenza avrà come effetto il riassorbimento della coscienza nel Supremo stesso. La Gītā usa l’espressione visate tad anantaram (“… immediatamente entrate in Me”): riassorbimento in Lui fino a non essere più distinguibili da Lui, come un pezzo di ghiaccio che si scioglie e diventa tutt’uno con l’acqua in cui è posto o come i fiumi che perdono la loro individualità quando si uniscono all’oceano. Va detto che l’espressione tad anantaram non indica alcuna successione temporale – una catena di eventi che accadono uno dopo l’altro – ma denota immediatezza o assenza di intervallo.
I vari insegnamenti che indicano le modalità di karma, bhakti e jnana si basano sulle differenti qualificazioni degli individui; il karma, se attuato con perseveranza, porterà alla bhakti e questa al jnana. Arjuna, in preda a un senso di angoscia, viene sollecitato ad agire (karma) conformemente al suo stato e alla condizione mentale del momento. Questo è il motivo per cui il Signore all’inizio ha messo l’accento sul karma.
Ci si potrebbe chiedere quale sia l’azione che ci compete per natura, cioè il nostro svakarma, nell’attuale situazione. Anche nelle attuali condizioni di vita tutti dovrebbero cucinare il proprio cibo almeno una volta la settimana e rendere la dieta giornaliera più semplice possibile. Se ciò viene fatto, non ci si dovrà preoccupare per quanto riguarda il cibo quando si è lontani da casa. Nessuno dovrebbe usare la seta per il proprio abbigliamento dal momento che essa si ottiene uccidendo migliaia di bachi da seta. Ragioni di economia domestica esigono che si rinunci al caffè. Ognuno dovrebbe imparare a meditare con l’aiuto dell’upadesa mantra ricevuto da un guru qualificato; coloro che non sono stati iniziati in un mantra, dovrebbero ripetere almeno il nome del Signore e concentrarsi su di esso. Che ognuno segua il sentiero della devozione com’è tradizione della sua famiglia. Che nessuno sia orgoglioso della propria casta o dello status sociale; si dovrebbe pensare soltanto a svolgere i doveri inerenti alla casta di appartenenza, senza alcuna idea di superiorità o di inferiorità. La devozione verso Dio porterà all’unione con Lui, qualunque sia la nostra casta. La coscienza di casta si può sradicare solo se si segue con convinzione il dharma e tramite la bhakti e il jnana. Un santo, o un saggio, non ha alcuna consapevolezza di casta in quanto trabocca di amore devoto (bhakti) e di conoscenza suprema (jnana). Quando le azioni degli uomini si discostano dal dharma, la bhakti recede dal loro cuore e la luce del jnana viene oscurata nella loro mente; è allora che le distinzioni di casta assumono grande importanza.
Quando coloro che occupano posizioni di preminenza si battono per l’abolizione del sistema delle caste, dovrebbero anche richiedere maggior impegno nel campo del dharma, della bhakti e del jnana. Mettendo l’accento solo sull’abolizione del sistema delle caste, non faranno altro che accentuare tale distinzione; sarà come chiedere a un bambino di non pensare alla scimmia quando deve prendere la medicina. La distinzione di casta potrà indebolirsi solo se si avrà il più grande rispetto per il dharma, la bhakti e lo jnana. Non veneriamo forse i grandi realizzati jnani e bhakta indipendentemente dalle loro caste? Essi, che sono i più grandi e i più nobili tra noi, si considerano come i più umili. Secondo gli Sastra, l’arroganza della superiorità di casta è un grave errore (papa). Casta implica precisi doveri, e ognuno dovrebbe compiere i doveri propri della casta a cui appartiene con umiltà e devozione mettendo da parte l’orgoglio di appartenenza. Ognuno, indipendentemente dalla propria casta, dovrebbe ritenersi un nikrsti (di rango inferiore) e non un utkrsti (di rango superiore). Una tradizione a Srirangam vuole che quando qualcuno viene convocato per ricevere gli onori nel tempio, dovrebbe presentarsi dicendo: ecco colui che è più umile di un cane. Questa umiltà è chiaramente espressa nei canti ispirati dei santi Saiva e Vaisnava.
Che l’Onnipotente ci doni forza e intelligenza per seguire il giusto sentiero.
Sri Candrasekharendra Sarasvati
tratto da L’Appello dell’Acarya
Edizioni Asram Vidya