Più che celebrare la discesa della Luce sulla Terra, il Solstizio d’Inverno ogni anno torna a riproporci il tema dell’apparenza della morte, che è semplicemente stasi di riposo per la ripresa di una vita rinnovata, una rinascita per una esistenza resa più consapevole dall’esperienza riflessiva dell’attesa.
Nel giorno che segue la nascita della Luce, cioè nel periodo in cui la gran Madre Terra – caduta in letargo – si prepara al proprio risveglio, ed è già da quel momento che si ha l’apparire di una nuova vita, e ogni risvegliato alla propria essenziale natura e destino festeggia il reinizio del suo cammino reintegrativo con rinnovato impegno, reso più vigile dalle passate esperienze.
È questa una ricorrenza ritenuta sacra da tutte le Tradizioni Occidentali con riferimento precosmico, allorché l’inconoscibile ed ineffabile Propator emanò la Luce, che in noi si esprime come intelligenza.
È appunto questo evento che fissa per la nostra comprensione il “Fiat Lux” dal quale emerse dalle Tenebre la Luce, rendendo così manifesto il Mistero della dualità cosmica: Luce e Buio, Conoscenza e Ignoranza, vale a dire delle Tenebre che si dileguano al sopravvenire della Luce, della Ignoranza che si risolve con la progressiva manifestazione della Conoscenza, del Male che esiste solo come deficienza del Bene.
La festività del Natale coincide con il Solstizio d’Inverno, la cui celebrazione si perde nella notte dei tempi; venivano nell’antichità accesi dei fuochi, si brindava, ed ognuno donava ai propri cari qualcosa che gli avrebbe ricordato quella ricorrenza.
Al Solstizio d’Inverno si celebra uno dei misteri più grandi dell’esistenza: la rinascita del Sole Immortale che – oltre all’evento visibile conosciuto astronomicamente – è correlato intimamente con la triplice natura umana: fisica, psichica e spirituale.
Il Solstizio d’Inverno è di fatto scandito dall’entrata del Sole nel segno del Capricorno; un ingresso determinante l’inizio del ciclo stagionale, che segna il punto di partenza di un arco di 360 gradi, durante il quale il Sole attraversa – in senso antiorario – le 12 fasce zodiacali fino a toccare di nuovo il suo punto di partenza, a chiudere l’anno solare, il quale così forma un cerchio, la cui circonferenza è data dal tempo che il Sole impiega a percorrere l’ellittica. Il termine “annus” significa appunto “cerchio”, o ciclo, ed anticamente stabiliva uno dei cicli temporali del cosmo; è solo in tempi più a noi vicini che ha assunto un senso più limitato, cioè quello di anno.
La vita nell’universo si manifesta per cicli, e nulla può aver vita sul piano terrestre che non faccia parte integrante di un ciclo più ampio, il quale a sua volta sarà compreso in un altro ancora più grande; e così fino ad abbracciare tutto il creato, quale manifestazione visibile del Potere e dell’Amore dell’Ineffabile Propator.
La vita umana non sarebbe praticamente possibile se il Sole in questo suo indefinito nascere e morire non condensasse l’alternarsi delle stagioni, il che permette la coltivazione della terra e, a livello fisico, i ricambi umorali del nostro corpo; e mentre questo avviene esteriormente, altrettanto accade nella nostra interiorità.
Da ciò l’antica astrologia riuscì a stabilire le strette relazioni fra i Pianeti del nostro sistema e le ghiandole endocrine, poiché gli ormoni possono essere considerati il primo anello, o ponte tra l’energia cosmica e la materia, in quanto esercitante una funzione regolatrice e stimolante per il funzionamento del complesso sistema psico-fisico dell’uomo, in accordo a quanto ci dice la Tavola Smeraldina del tre volte saggio Ermete: quel che è in alto, è come quel che è in basso, al fine di operare il miracolo di “una sola cosa”.
E se così stanno le cose, l’uomo è una sola cosa con l’esistenza, come parimenti microcosmo e macrocosmo coincidono, anche se si mostrano a noi come due stadi separati di un’unica realtà; dovremo dunque necessariamente concludere che quanto avviene al di fuori di noi, si ripete esattamente all’interno di ciascuno di noi, poiché l’uomo nel suo piccolo rappresenta un sistema solare in miniatura.
Il Solstizio d’Inverno chiude un ciclo e ne apre un altro nel travagliato pellegrinaggio dell’umanità verso il suo compimento: nasce il Figlio di Dio da Madre-Vergine!
Se i Cristiani scorgono nel racconto evangelico la storia di un solo ed unico Figlio di Dio, per la Tradizione Ermetica quella storia ha un significato ben più profondo di quanto appare in superficie; pur non negando il carattere storico di Gesù, l’Ermetismo afferma che Gesù – fiore dell’umanità – incarnando il Cristo eterno fu il messaggero annunciato di una sublime speranza umana e il seminatore della Divina Luce, il quale aveva dissolto in sé il “fisso” e coagulato il “volatile” per cui il simbolo che più evidenzia è la sua realizzazione, è il “Sacro Cuore” simbolo appunto della Grande Opera Cristica. Nel suo stesso nome “Jehoshuah” (= Gesù in ebraico, formato da “Jod” = il Principio della Vita, “He” connesso strettamente con le inesauribili forme in cui la Vita si esprime; “Vau” che non pertanto permane unica vita, cioè He, Jehoshuah dunque, un nome ineffabile di sole consonanti, il che fa si che ciascuno può aggiungervi le vocali che preferisce e quindi pronunciarlo a suo modo, e ove ciascuno può inserirvi il suo “schin” (= fuoco) individuale; è così che l’uomo Gesù divenne il Cristo vivente.
Questo il mistero del Cristo e della sua dottrina, trasmesso sin dai primordi di santuario in santuario, avvolto nel più geloso segreto, fino ai conventi degli Esseni. L’Ordine Essenico apparve ufficialmente sul teatro della storia circa un secolo prima della nascita di Gesù, e disparve un secolo dopo la sua morte, senza però estinguersi.
Un compito immane incombeva agli Esseni di Palestina, preparare la via al cristianesimo e assicurarne il trionfo, nella loro comunità viveva virtualmente sin dalla loro origine il Messia, il Cristo che Gesù incarnò e che il mistero più profondo circonda e avvolge; mistero che l’avvicinarsi della Luce gradatamente dirada, finché un bagliore d’incendio lo illumina, squarcia il velo, il Cristo sorge dall’Esseno ed espande nel mondo la sua Luce (Ego sum Lux mundi); 15 secoli dopo Mosè rinnovò le rivelazioni di quest’ultimo. La nuova parola che egli predica è la parola antichissima dei nostri lontani Padri, ossia la dottrina segreta dei santuari, il che spiega l’ostilità del sacerdozio ebraico, chiuso nelle forme materiali del culto, che lo riteneva profanatore dei misteri, reato che la legge del tempo sanzionava con la morte. Secondo la legge ebraica del tempo la crocifissione di Gesù fu legale, e necessario era pure il suo sacrificio perché il mondo fosse salvato.
Colla divulgazione della Dottrina Segreta fatta dal Maestro Gesù, l’Essennato perdeva la sua ragione di essere come istituzione esterna, per cui ritorna nell’ombra e nel segreto dei santuari per custodire intatta la dottrina integrale, della quale Gesù aveva divulgato una parte. Il termine Esseno significa “medico”, “risanatore”, “terapeuta”, in riferimento al vocabolo “Assé” che in aramaico e nella lingua Talmudica ha infatti tale significato. Lo storico Filone, scrivendo in greco intorno agli Esseni alessandrini, li definirà “terapeuti” nel senso che abbraccia sia il corpo che lo spirito.
Quello che più ha colpito le masse in Gesù sono le sue guarigioni che il cattolicesimo romano presenta come “miracoli” e che invece testimoniano al sua caratteristica di Esseno. E tutta la sua opera è essenzialmente essenica: abito, portamento, atti, parole, idee, come pure le sue locuzioni, le cure che prodigò agli infermi, perfino il termine che egli usa per indicare la salvezza, che chiama salute; e la sua è appunto considerata la dottrina della salute.
Anteriormente all’Essennato, l’antichità ebraica conobbe l’ordine dei “Nazirei”, che dell’Essennato hanno tutte le caratteristiche, ed è perciò che Gesù è detto spesso “il Nazireo” ed i suoi seguaci “i Nazzireni”.
L’aver tradotto “Nazireo” con “Nazzareno” come abitante di Nazareth è un errore che è gravato per secoli sulla giusta interpretazione della figura di Gesù, sin da quando furono generati sia Gesù che Giovanni (il Battista), i quali furono consacrati a Dio, e perciò considerati “Nazirei” (= santificati) e tali crebbero, cioè santi.
Gli Esseni, che si fecero conoscere prima con quel nome, furono i custodi della rivelazione trasmessa da Abramo ai Patriarchi e affidata in seguito da Mosè ai 70 iniziati. La loro origine va cercata ove si origina la dinastia davidica, cioè nell’innesto di un ramo pagano nel ceppo ebraico; è quindi fuori dall’ebraismo la vera radice Essenica, che poi germogliò e crebbe in Israele.
La Bibbia rivela l’origine del pensiero mosaico dal sacerdote etiopico Jetro (suocero e maestro di Mosè); è dunque a Jetro che dobbiamo far risalire l’origine degli Esseni, gli ultimi legittimi depositari dell’esoterismo mosaico di Gesù il Cristo.
Il seme di Adamo – memore della sua origine – è vissuto sempre in una aspirazione profonda inestinguibile: la ricostituzione della perduta immagine divina, o per dirla in linguaggio evangelico, la redenzione del peccato originario ad opera dell’amore.
La storia, più che una successione materiale di eventi umani, è un ascenso continuo di sforzi verso Dio, è come un ripetersi incessante della lotta fra Giacobbe e l’Angelo, fra i limiti della nostra natura essenzialmente infinita e le tenebre che la riflettono in noi.
Il Padre che si incarna nel Figlio per riscattare il mondo dal peccato è la forma trascendente sotto cui è espressa in ogni epoca e presso ogni popolo questa lotta suprema, ove sono impegnate le forze più pure dell’umanità. Il Verbo si fa carne per redimere la carne, Dio si fa uomo perché l’uomo incarni Dio?
Da oltre 20 secoli la figura del Cristo domina le nostre coscienze per tradursi in forma di vita: Gesù fin dal grembo della madre fu consacrato, e appena superata la fanciullezza si preparò tra i “Nazirei” (o Esseni) alla sua missione.
L’adolescenza e la giovinezza di Gesù non sono citate nei Vangeli.
La parentela che Luca attesta tra Gesù e il Battista è sintomatica; essi erano fratelli di iniziazione, ed entrambi crebbero e si fortificarono in spirito, dimorando nel deserto, cioè presso i Maestri esseni, fino al momento della loro missione pubblica.
Gesù, lasciato il deserto, scese nei villaggi ad annunciare il Regno, il cui codice lo troviamo espresso sinteticamente nel “sermone della montagna”. Egli rivela le virtù del primo battesimo d’acqua, che purifica il corpo, e mediante il quale l’anima si libera del peccato d’origine rendendosi pronta a ricevere il secondo battesimo, il battesimo di fuoco e di spirito, col quale si ha la rinascita come “Figli di Dio”, un’operazione senza alcun segno caratteristico perché avviene a livello sottile, nel cuore umano.
La leggenda è spesso più vera della storia, perché riflette il carattere ideale di un personaggio, quella parte ciò che sopravvive alla morte.
La verità storica è parziale e limitata, mentre la verità mitica è eterna.
Gesù ci appare più vero nella sua leggenda che non nell’aridità della sua biografia storica. Più che le vicende della sua vita, è interessante il significato ideale della sua dottrina, che è stata l’espressione più perfetta dell’amore.
La sua leggenda è tuttavia unica e non può essere paragonata a nessun altra; la vita dei Rabbi di Palestina è stata storia-leggenda-dottrina-modello e rivelazione della manifestazione divina sulla terra; l’incantesimo del suo influsso non cesserà con lo scorrere del tempo.
Lo spirituo feconda la materia, ove la creatura – immagine lontana del suo creatore – attesta, nel suo circolo infinito ed eterno, il processo della creazione. L’uomo col suo pensiero suscita dal nulla entità viventi: le sue idee, il cui mistero di formazione ci è impenetrabile, proprio come il mistero della croce. La legge dell’analogia collega la creatura al creatore senza definire i legami che li uniscono, in quanto ciò che è sotto è come ciò che è sopra.
L’autore del IV° Vangelo conosciuto come Giovanni si definisce una voce, una voce riportata all’essenza di un messaggio che è la sua ragione di essere, e in esso si consuma come in un olocausto; ed egli ci mostra il Cristo solare, il Leone di Giuda, il Sole invitto, che mette in fuga le tenebre illuminandole, per cui inizia col dire: “Nel Principio era il Verbo …”, e la vita è tutta un succedersi di principi, o ricominciamenti, dei quali l’ultimo è il reinizio con una finalità precisa, in quanto principio di vita nuova, e quindi un’iniziazione, quale risveglio della coscienza della propria vera natura, che è in netto contrasto con quella che appare, poiché cela il suo segreto nella sua semplicità.
Ad ogni Solstizio d’Inverno la Gran Madre Natura, al sopravanzare delle Tenebre sulla Luce, adombra la fine della vita sciogliendosi nella ripresa del cammino ascensionale del Sole. Ogni Solstizio d’Inverno è dunque il reinizio della Natura, ove i quattro elementi (= terra-aria-acqua-fuoco) nella stasi del riposo s’armonizzano in un perenne alternarsi del morire e del rinascere, in un rituale cosmico e umano.
Solstizio, termine proveniente dal latino sol-sta (= il sole si ferma, sta fisso) scandisce i ritmi di morte – rinascita o resurrezione; al Solstizio d’Inverno il Sole inizia ad allontanarsi dalla Terra, e la durata dei giorni della Luce si accorciano poiché il Sole si concentra su se stesso prima di continuare il suo viaggio attorno allo zodiaco.
Gli antichi romani celebravano il Solstizio d’Inverno e il giorno della sua ricorrenza annuale era detto “Dies Natalis Solis Invicti” ed era dedicato al dio Giano, quale ipostasi solstiziale del Sole. Giano era raffigurato con tre facce, due visibili ed una invisibile, di cui le due prime rappresentano rispettivamente il passato ed il futuro e perciò stesso invisibile, mentre la terza rappresenta il presente, che è invisibile nel senso che è per lo più subendolo, anziché vivendolo consapevolmente.
A questa data si festeggiava nell’antico Egitto la nascita di Osiride, il Salvatore (= Soter), in Grecia di Bacco ed il Siria di Adone; il Cristianesimo – ove confluì e si sintetizzò tutta l’antica saggezza – festeggia al 25 dicembre d’ogni anno l’incarnazione del Verbo/Logos Eterno, riallacciandosi all’eterna storia del Dio Sole – emanazione visibile del Sole invisibile – che discende sulla materia vergine a fecondare le acque.
Ancora oggi il Cristo solare è tra noi, ma non agisce più dall’esterno, cioè dal Sole; s’è reso prigioniero dell’anima umana in attesa di un atto libero dell’uomo che faccia risplendere all’esterno la sua Luce. Perché la luce sopita risplenda anche all’esterno l’anima dell’uomo deve diventare trasparente, nel senso di non fare resistenza, non si opponga al passaggio della Luce Spirituale che necessita per rendersi visibile dell’assenzo umano, il che è per ogni uomo l’assumere la natura del Cristo per esprimerla nella quotidianità nella sua purezza in ogni pensiero, sentimento ed azione.
Giovanni nel suo IV Vangelo afferma: “Al Principio la Luce risplendette nelle Tenebre, ma esse non l’hanno ricevuta …”.
Ma quando la riceve diventa trasparente, e l’uomo può allora dire di ogni suo pensiero, sentimento ed azione: “Non io, ma il Cristo in me”. In ragione di ciò sempre Giovanni ci annuncia: “Voi siete Dei”, rivelandoci così che Dio è in noi, e che di conseguenza il Centro dell’Universo è il cuore dell’uomo; è Luce che – quando è riconosciuta – brilla illuminando, cosicché gli eventi e le cose del mondo – pur permanendo gli stessi – sono perciò visti nella loro essenzialità: è l’iniziatico “cambiamento dei lumi”.
È privilegio dell’uomo e suo preciso compito di fugare le Tenebre con la conoscenza da lui acquisita, al fine di realizzare quel processo di individuazione, ove tutte le componenti dell’essere vanno ad integrarsi nella coscienza, dando finalmente luogo all’umano compimento.
Come nella corolla del fiore, al centro del frutto (le parti più caduche) avviene il mistero della fecondazione del germe destinato a sopravvivere, così nella natura individualizzata umana si feconda e si prepara il germe imperituro che collega assieme le varie facoltà dell’individualità, e in sé le sintetizza per farle sopravvivere nel tempo.
Ma perché ciò avvenga, occorre il sacrificio della corolla nel fiore, e della polpa nel frutto, al fine di convertire la complessa energia del vegetale e proiettarla nel tempo; nell’individuo la fecondazione del suo germe spirituale implica il sacrificio della sua coscienza separativa e la conversione di tutte le più intense energie alla cultura del nuovo essere, in cui si riassumerà sublimato ed immortalato il frutto del cosmico lavoro dell’io.
Il nuovo essere sarà il risultato di un sacro amore fisico che con misteriosa alchimia corona un lungo processo che era lo scopo e la giustificazione di essere della pianta in tutte le sue fasi; nell’uomo dal mistico connubio fra l’anima e lo spirito, nasce la coscienza nuova, il Cristo nel cuore che è la finalità e la ragione di essere di tutte le fasi di crescita individuale. Tale finalità nell’antichità fu raggiunta da pochi eletti; il Gesù di Palestina, con il suo insegnamento e l’esempio della sua vita realizzò questa possibilità per tutti, molto tempo prima che l’umanità ne fosse pronta, per cui Paolo, l’apostolo delle genti, afferma: “Bambini miei, per cui io provo di nuovo i dolori del parto finché il Cristo sia formato in voi” Galati IV, 19.
La nascita del Cristo nell’anima non ha nulla a che vedere col culto speciale alla gloriosa personalità storica di Gesù, ma con la fede il Lui.
Il Cristo, che i discepoli ad Emmaus e Maria di Magdala al sepolcro non riconobbero, in quanto usavano solo lo strumento dei sensi, non avendo ancora sviluppato il senso della vista interiore, è il Cristo che l’umanità andrà gradatamente riconoscendo, ovvero il seme cristico che germoglia nell’uomo, allorché la propria fase individuale evolutiva si sviluppa.
Il Cristo cosmico (= il Verbo di Giovanni) è il principio universale tramite il quale tutto è stato fatto e che è la Via, la Verità e la Vita, la stessa luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo.
La sua nascita nell’anima costituisce la seconda nascita, la rigenerazione o nascita dall’alto, vale a dire l’affiorare nel campo dell’autocoscienza dell’elemento essenziale della natura umana in essa crocifissa e sepolta. Come il cumulo sempre crescente delle esperienze di una coscienza separativa segna l’inizio della redenzione e annuncia un’altra legge che non annulla, ma integra e completa la prima, questo è l’inizio di una vita nuova che poi è la stessa vita, ma vissuta in maniera diversa col percepire la radice unica della realtà universale che farà d’ora in poi convergere i suoi sforzi verso una direzione nuova culminante nell’amplificazione in Cristo.
Questo il mistero del Cristo e del Regno, però questo non rappresenta la perdita della capacità di una coscienza individuale, ma è l’acquisirne una più ampia, conservando la facoltà di ampliarsi ed espandersi nell’universalità senza perdere la propria nota particolare: è in pratica oltre all’ampliamento coscienziale, un riportare nel particolare l’afflato dell’universale.
E, malgrado i tempi oscuri e gravi di minaccia, in qualche recesso dell’anima collettiva dell’umanità già da tempo il Cristo mistico è nato e si sviluppa adombrato dalla forza benedicente dello spirito.
Oggi, come oltre venti secoli orsono i potenti del mondo, presentendo nell’affermarsi della sua Presenza il dominatore che li deporrà, le loro forze più basse lo cercano per farlo morire al mondo, ma i Magi (= le Potenze alte dell’intelletto) avendo scorto brillare la sua stella, già si avviano verso di Lui per sottomettergli i loro doni.
Tau Johannes
tratto da Conoscenza (Anno XXXX– n° 6 Novembre-Dicembre 2003)
Rivista dell’Accademia di Studi Gnostici