Ogni sadhaka (ricercatore-ente individuato) deve sapere che in qualità di jivatman (il jiva è un raggio dell’atman) è situato nel corpo in maniera triplice: con visva (nell’apertura dell’occhio destro) esperimenta gli oggetti esterni; con taijasa (all’interno della mente) gli oggetti sottili; con prajna (nell’akasa-spazio racchiuso nel cuore) l’unità della coscienza.
L’ego, l’ahamkara, è quella “parte” della mente (antahkarana), contenuta nel corpo sottile, il lingasarira, che esprime la coscienza separata che non permette, neanche al sadhaka, di scegliere la propria realtà, finché non sarà in grado di scegliere con la coscienza universale.
Per un sadhaka è importante imparare ad accedere alla coscienza universale, cosa che molti ricercatori spirituali dicono-credono a parole senza averla mai realizzata veramente. Sono davvero pochi i sadhaka che si dedicano, con l’esperienza, l’intuizione e la discriminazione-discernimento, a tale importantissimo compito. La sadhana è un processo profondo e complesso da attivare, non una semplice passeggiata divertente alla new age. Chi avvia realmente una sadhana (questo processo realizzativo) deve “rallentare” il ritmo esistenziale rispetto ai canoni vigenti della società umana: il sadhaka deve rallentare e rilassarsi per ottenere dei risultati nel proprio procedere realizzativo. Rilassarsi non significa restare inerti: bisogna saper agire, cioè saper “fare-agire” (come insegna la Bhagavad-Gita) contemporaneamente ad “essere”.
Il cervello fisico di un essere umano comune (ordinario, non risvegliato – ha prana-sakti ma non coscienza –, praticamente la condizione della maggior parte dell’umanità) produce solo onde cerebrali incoerenti e queste gli fanno manifestare, quindi, uno “stato incoerente” (in pensieri, parole e azioni) nelle risposte comportamentali e comunicazionali.
Il cervello fisico di un sadhaka (un individuo che percorre un sentiero realizzativo) tende a produrre onde cerebrali coerenti, quindi, anche se occasionalmente, manifesta uno “stato coerente” nel rapportarsi nel mondo delle relazioni e nel suo modo di essere. Ciò è dovuto alla motivazione interiore con la quale si muove nella vita e alle pratiche che svolge (il riferimento ad un principio assoluto, preghiere, mantra, bhajan, asana, savasana, pranayama, dharana, dhyana, ecc.) anche se non assiduamente. In una sadhana esistono i tempi di maturazione per ogni singolo sadhaka.
Il cervello fisico di un risvegliato presenta oltre a un ben consolidato “stato di coerenza” delle proprie onde cerebrali anche una incredibile capacità di entrare in coerenza con il cervello di un altro individuo o più individui. Come è possibile una cosa del genere? È possibile perché quello che chiamiamo “stato di risvegliato” (lo stato di un Illuminato, di un Realizzato, di un Liberato) corrisponde ad uno stato di coscienza non-locale (ecco perché si manifestano capacità come la telepatia, la precognizione, ecc.). Il risvegliato grazie alla consapevole connessione alla coscienza universale può risuonare con qualcuno che è distante milioni di anni luce (o che esisteva mille anni fa o, addirittura, che nascerà tra mille anni).
Tutto ciò che si trova nell’esistente vibra: non esiste separazione perché tutto è collegato, tutto e tutti sono in vibrazione, Tutto è Uno.
Quando due o più individui entrano in “risonanza” in Fisica direbbero che “sono in fase tra di loro”, significa che sono entrati in ritmo, si sono sincronizzati dall’interno. Con tale evento viene superato il principio di causalità della materia, della forza e dell’energia.
Ritornando al cervello fisico di un sadhaka (di chi ha scelto un sentiero per risvegliarsi completamente alla Realtà ma che non è ancora un “risvegliato” completo) possiamo confermare, sotto la giusta comprensione di queste questioni, che le pratiche come lo Yoga, o di altre tradizioni spirituali, tendono a provocare, nel praticante determinato, uno “stato di coerenza” che riesce a tradursi nella “trasformazione” dell’individuo, portandolo a quella realizzazione, liberazione di cui le tradizioni esoteriche parlano. Intendiamo, riguardo alla trasformazione, per quanti seriamente vi si dedicano con profonda dedizione: si tratta di un cammino che richiede grandi sforzi, sacrifici, coraggio ed una ferrea costanza.
La meditazione (dhyana) è una delle pratiche (sperimentatissima ormai a livello scientifico per lo studio degli stati di coscienza) che tende a far sperimentare lo stato di coscienza non-locale (al di là dello spazio-tempo).
Sono molti, ormai, i neuro-scienziati cognitivi che studiano e ricercano sulla natura del sé, sulla mente e la coscienza. Esistono, infatti, moltissimi studi, di ricerca e sperimentazione, sugli stati alterati di coscienza, sulla meditazione, sulle visioni, sulle energie sottili, l’ex-statis (essere fuori del corpo) o OBE, ecc.
Sperimentare con la meditazione, di tanto in tanto (non è detto accada ad ogni meditazione), uno stato di coscienza non-locale significa assaggiare quello stato di coscienza definito, dalla tradizione esoterica, di “Uno-senza-secondo”. La “parte” (l’individuo) in quel momento si eleva allo stato non-locale e questo gli permette di entrare in coerenza con un altro individuo, un gruppo, una piccola o grande collettività, elevati a quel livello di possibilità. In realtà tutti possono partecipare a questa possibilità perché tutti sono connessi e partecipano ad Uno-Unità del quale non sono però ancora consapevoli: tale consapevolezza, che sopraggiunge ad un certo punto del sentiero realizzativo, segna l’effettiva trasformazione in atto del sadhaka che non può che avviarsi verso il consolidamento dello “stato di coerenza”, lo stato di coscienza non-locale per far nascere l’Illuminato, il Realizzato, il Liberato.
La comprensione di tali questioni non è così facile senza una adeguata “posizione coscienziale” idonea a penetrare una così velata verità.
È come se esistesse una sola Coscienza che comprende tutte le coscienze degli esseri umani (gli esistenti, i vari Jiva). Il Jiva che raggiunge lo stato non-locale diviene consapevole di essere “parte” di un’Unità, cioè di essere Jivatman-Brahman.
In un Jiva condizionato dall’ahamkara (memoria io-mio) non vi sono le possibilità della consapevolezza dell’Unità (dell’Uno-senza-secondo), ma vi è presente solo quell’illusione di un io separato da tutto il resto che vede solo possibilità orizzontali (il divenire, i cambiamenti continui degli ego-corpi-personaggi e dei loro conflitti) e non verticali (la consapevolezza dell’unità che vede l’individuale nell’universale).
Il “consapevole” dell’Unità vede l’Uno-senza-secondo, la coscienza unitaria non-locale; colui che non è consapevole di questa unità è uno che “percepisce” la differenziazione , la divisione tra la “parte” e il “Tutto”, tra soggetto e oggetto, vede ogni cosa collocata in modo locale (spazio-temporale). Chi non è consapevole di questa unità è l’ente (il jiva incarnato nei tre stati esistenziali, il grossolano, il sottile e il causale) che si identifica col divenire, soggiace al karma ed al samsara e ne deve rispettare le leggi.
Il meditante abituale, fortemente motivato spiritualmente, provoca in sé stati di espansione di coscienza che favoriscono la connessione con la coscienza unitaria universale.
L’essere umano nella sua condizione ordinaria subisce un confinamento spazio-temporale dal quale non può sottrarsi. Solo inserendosi in un processo realizzativo ha la possibilità di sconfinare da questi limiti ed esperimentare altre realtà dell’esistenza. L’apice del sentiero realizzativo è possibile raggiungerlo solamente trascendendo il piccolo “io” con cui l’essere umano si identifica, cioè è necessario uccidere l’ahamkara, l’ego (io-mio). È necessario, in effetti, trascendere l’intera mente, l’antahkarana (buddhi, ahamkara, citta, manas), perché lo spazio e il tempo sono prodotti della mente, non sono indipendenti da essa.
Superare la mente significa potersi connettere alla coscienza universale.
Il passaggio dall’”io” al “Sé” è lo svelamento della Realtà oltre la maya.
L’individuo-jiva sperimenta tutti i giorni degli “stati di coscienza”: da uno stato ordinario di veglia ai diversi stadi del sonno, ma anche degli stati “speciali” di coscienza riguardanti certi momenti “creativi”, alcuni momenti particolarmente “lucidi”, insoliti momenti “intuitivi” ed eccezionali momenti di profondo “rilassamento”. Ogni attività cerebrale emette onde.
Tutti gli stati di coscienza, ordinari o speciali, sono rappresentati dalle onde cerebrali (onde elettromagnetiche): onde beta (frequenza variabile da 14 a 30 Hz), onde alfa (variabile da 8 a 14 Hz), onde theta (tra i 4 e gli 8 Hz), onde delta (tra 0,5 e 4 Hz).
Le onde beta riguardano le attività normali di veglia, gli stimoli esterni (valutazione, sopravvivenza, ordinamento, selezione). Un esempio: durante i momenti di stress o di ansia le beta offrono la possibilità di tenere sotto controllo la situazione con una veloce soluzione al problema.
Le onde alfa prevalgono sui momenti introspettivi (rilassamento, yoga, yoganidra, meditazione, momento tra il sonno e la veglia). La mente è calma e molto ricettiva.
Le onde theta emergono nell’impegno della mente durante una ispirazione creativa, una visualizzazione, l’immaginazione. Si manifestano in una meditazione profonda, nella fase REM del sonno, nel balenio intuitivo-conoscitivo.
Le onde delta si manifestano nel sonno senza sogni (queste onde sono proprie della mente inconscia), nell’abbandono totale da parte dell’individuo (riscontrate nei casi di auto-guarigione, come in un inconscio processo di autorigenerazione).
Oltre la realtà percepibile da tutti, quella grossolana visibile e toccabile dei sensi ordinari, ne esiste una “sottile” che, oltre a comprendere onde termiche, onde elettromagnetiche, materia oscura, ecc., abbraccia quelle “energie sottili” di cui parla la scienza esoterico-spirituale (nadi, prana, cakra, aura, kundalini, ecc.) e che non cadono sotto il dominio della percezione dei sensi comuni.
Alcuni individui, dotati per nascita (karma) o per uno sviluppo derivato da pratiche spirituali, riescono a percepirne (a livello tattile o visivo) la presenza, la portata ed il loro movimento, finanche, pochissimi però, a direzionarne l’andamento.
Le più sottili di queste energie, cioè alcuni elementi primi sono addirittura i costituenti fondanti dell’intera manifestazione universale (prakrti), nel suo aspetto formale sottile (hiranyagarbha) e grossolano (viraj). Questi elementi primi nel piano sottile vengono chiamati bhuta, nel piano grossolano mahabhuta. La prakrti è, quindi, la base trascendentale della manifestazione universale: da essa emergono universi, galassie, sistemi solari, loka, infiniti mondi con infiniti esseri. Muladharacakra, in linea con prakrti, è la base, la radice di quanto avviene nel mondo del nome e della forma.
Queste energie sottili e invisibili hanno, nell’“Edificio Uomo”, i loro corrispondenti nel sistema nervoso, nel sistema ghiandolare, nel sistema circolatorio, nel sistema urogenitale, nel sistema muscolo scheletrico, ecc.
I cakra connettono i vari livelli esistenziali (fisico, mentale-emozionale, spirituale). In ognuno di questi livelli l’energia-prana si manifesta con un corpo-veicolo specifico (corpo grossolano-sthulasarira; corpo sottile-lingasarira; corpo causale-karanasarira).
Il prana, ad un livello superiore, rappresenta la totalità delle energie universali (l’hiranyagarbha), significa che esso esiste a tutti i livelli della manifestazione. Il prana assume valenza metafisica perché segue il jiva lungo le peregrinazioni nel samsara. La guaina pranica che riveste l’atman prima del corpo fisico è pranamayakosa (sede dei cakra, e corrisponde alla parte più densa del corpo sottile, cioè il lingasarira).
Il lingasarira si suddivide in tre tipi di veicoli: buddhimayakosa (veicolo intellettivo); manomayakosa (veicolo mentale); pranamayakosa (veicolo pranico). È costituito dai cinque elementi sottili (i bhuta); dalle cinque facoltà di percezione (jnanendriya); le cinque facoltà di azione (karmendriya); i cinque soffi vitali (i prana); e la mente (antahkarana) con le sue quattro funzioni: buddhi (intelletto-illuminazione), ahamkara (senso dell’io-mio, l’ego), manas (mente empirica) e citta (mente subconscia).
Risulta evidente l’importanza che riveste il corpo sottile, il lingasarira, nella sadhana di un sadhaka-yogi-praticante. Lo studio, la ricerca, l’intuizione, la pratica, la discriminazione-discernimento sono le chiavi per la comprensione e la presa di coscienza del lingasarira per farne un uso consapevole.
Bisogna sapere che l’individuo-jiva quando ha la mente collegata alle diverse cose esteriori (oggetti, persone, eventi) ed è identificato con il corpo fisico grossolano (lo sthulasarira) produce molte vrtti (modificazioni, fluttuazioni, onde, attività mentale in genere), e quando ciò accade significa che il jiva si trova in jagrat, lo “stato di veglia”. In jagrat la mente è collegata al cervello fisico. Jagrat è per forza di cose associato al mondo fisico grossolano.
Se invece la mente entra in hita nadi, la particolare nadi che parte dal cuore, il jiva si trova in svapna, lo “stato di sogno”. In svapna la mente è in espressione nel corpo sottile, il lingasarira. Svapna è infatti associato al piano sottile dell’esistenza. In tale stato i sensi sono assorti ed è attiva e operosa solo la mente, senza alcun limite: la mente è soggetto e oggetto. Tutte le impressioni ricevute e percepite dai cinque sensi, nello stato di veglia fanno sognare il jiva. La funzione della mente (l’antahkarana) deputata a percepire interiormente è quella di manas. Ogni individuo-jiva ha le sue creature di sogno secondo le forti tendenze del proprio carattere (della personalità).
Se la mente entra in puritat nadi, il jiva si trova in susupti, lo “stato di sonno profondo senza sogni”. In susupti la mente non è presente con i suoi giochi proiettivi e il jiva resta assorto nella sua causa (il corpo causale, il karanasarira). Il Sé, infatti, continua ad esistere anche senza le esperienze perché la coscienza è sempre esistente: nel sonno profondo il jiva è unito al Sat.
Il sadhaka-yogi-praticante deve conoscere il Reale (Sat) e i mezzi che ad esso conducono: egli conoscerà grazie ai giusti mezzi i tre aspetti, sat-cit-ananda, inscindibili e consustanziali al jivatman.
Il sadhaka-yogi-praticante non può ignorare la conoscenza, la presa di coscienza e l’uso dei cakra per seguire la luce della pura coscienza.
I cakra, maggiori e minori, ruotano ad una predeterminata frequenza (vibrazione): sottostanno ad uno dei principi di risonanza.
Un cakra che risuona ad una particolare frequenza assorbe energia-prana da quella frequenza-vibrazione.
Muladharacakra è il cakra al centro del perineo, tra l’ano e i genitali, e viene considerato il cakra di base (della radice = mula) della colonna vertebrale (adhara) nel quale è raccolta kundalini che può essere ridestata da uno stato di “risveglio spontaneo” (dovuto a meriti karmici di vite precedenti) o dalle pratiche svolte dal sadhaka-yogi-praticante (pranayama, asana, mudra, mantra, yantra). Il suo bijamantra è il suono lam (la nasalizzata). Questo cakra è connesso col principio individuale dell’essere (è l’essere che si è materializzato, è disceso-caduto-incarnato) e corrisponde all’elemento terra. In una sadhana appropriata gli influssi che partono da muladhara possono essere guidati, lungo susumna, risvegliando tutti i successivi cakra fino al sahasraracakra (l’unione di Sakti con Siva). Il suo organo di senso è il naso mentre l’organo di azione sono i piedi. Favorisce la stabilità. Qui nasce la materia che alimenta il divenire, proprio perché muladhara sta alla radice del sistema dei cakra quindi è dal suo risveglio che la consapevolezza si espande fino a sahasrara. Nella pertinenza di questo cakra rientrano la prostata del maschio e il famoso “punto G” della femmina (sotto l’uretra, tessuti residui embrionali della prostata al femminile, tracce concrete dell’antico essere androgino) che rivestono importanza per la generazione dell’energia sessuale. L’energia sessuale, in questo cakra, ha bisogno, per andare verso l’esterno, della stimolazione dello svadhisthanacakra, direttamente legato agli organi genitali (pene e clitoride). Questi cakra stimolando l’eiaculazione (maschile) e l’orgasmo (femminile) spingono l’energia sessuale verso l’esterno (l’altro da sé). Tali aspetti, nel Tantra, vengono considerati quale esperienza spirituale per la trasformazione del seme (che sviluppa un certo potere nel corpo sottile, il lingasarira), sia nella forma di Tantra della mano sinistra sia del Tantra della mano destra.
Muladhara è il cakra con cui l’individuo va oltre la coscienza animale per affermarsi come un essere umano dotato sia di prana-sakti sia di manas-sakti.
Il guna di muladhara è prevalentemente tamas.
Nel dominio di muladharacakra vi è il primo dei tre granthi (i nodi psichici, lungo susumna, che ostacolano il cammino di kundalini; rappresentano dei livelli di consapevolezza dove il potere di maya, l’ignoranza, è molto forte), il brahmagranthi: riguarda un eccessivo egoismo, attaccamento ai piaceri fisici, agli oggetti materiali e al potere di guna-tamas.
Il simbolo dello sivalingam fumoso (detto dhumra lingam) e non ben delineato in muladharacakra è il simbolo del corpo sottile, cioè del lingasarira che ancora esprime il vivere di una vita istintiva.
Dharana su muladhara visualizza una luce color rosso risplendente: lo yogi, con la volontà, irradia il colore-luce verso l’ano, le gambe e i piedi donando loro prana-forza e benessere.
Svadhisthanacakra è il “cakra della propria sede”, situato alla radice del pene e della vagina: cakra relativo alla procreazione e al mantenimento della specie. Corrisponde all’elemento acqua. L’organo di senso è la lingua (sede del gusto) mentre l’organo di azione sono le mani. Il suo bijamantra è il suono vam (va nasalizzata). Un simbolo antichissimo legato a questo cakra è la yoni-lingam (la penetrazione della yoni-vagina dal lingam-pene).
Svadhisthanacakra è il cakra corresponsabile, insieme a muladhara, del risveglio di kundalini. In un tempo lontanissimo dall’oggi, prima di una certa “caduta”, kundalini risiedeva in svadhisthana anziché in muladhara.
Questo cakra indica-rappresenta la parte emozionale dell’individuo, infatti il suo colore è l’arancione che favorisce i processi germinativi: qui è presente la vita ma anche la morte, è presente la possibilità di evoluzione ma anche di involuzione.
Svadhisthana è situato al termine del midollo spinale ed è il cakra che controlla l’inconscio.
Il guna di svadhisthana è prevalentemente tamas.
Dharana su svadhisthana visualizza una luce color arancione: lo yogi, con la volontà, irradia il colore-luce verso gli organi genitali e tutta la zona pelvica donando loro prana-forza e benessere.
Manipuracakra è il cakra della “città dei gioielli” (mani = gioiello e pura = città) situato all’altezza del plesso solare. In Tibet viene chiamato mani padma (“loto ingioiellato”). Il suo bijamantra è il suono ram (ra nasalizzata). Corrisponde all’elemento fuoco, quindi è un cakra relazionato al dinamismo, all’energia, alla volontà e alla conquista. Il jiva incarnato è in questo cakra che sperimenta l’azione e la tensione del desiderio-avversione, dell’attrazione-repulsione, ecc.. In questo cakra abbiamo uno stato di coscienza sensitiva. L’organo di senso sono gli occhi (la vista) mentre l’organo di azione è l’ano (apparato escretore). La caratteristica di questo cakra è il calore: per questo alcune tradizioni (yoga, tibetana, taoista, alchemica, ecc.), mediante particolari tecniche, si giovano di questo calore di manipura. Il potere del fuoco di questo cakra può trasmutare ogni materia, separare o riunire ogni costituente, non a caso si interessa della funzione dell’apparato digerente. Funzioni psicologiche sono l’azione, la volontà, la consapevolezza della vita. Manipura irradia e distribuisce il prana all’intera struttura umana. Il guna di manipura è prevalentemente rajas.
Il piano (loka) a cui appartiene manipura è l’ultimo dei piani mortali. Fino a manipura esiste un modo di pensare “dipendente”, ma quando kundalini penetra anahatacakra si impone un modo di pensare “indipendente”: è in anahata che l’individuo acquisisce il potere di materializzare e realizzare i propri pensieri e desideri.
Dharana su manipura visualizza una luce gialla: lo yogi, con la volontà, irradia il colore-luce agli organi interni dell’addome donando loro prana-forza e benessere.
Anahatacakra è il cakra che è sede del jivatman nel corpo sottile (lingasarira) da dove emana la consapevolezza di essere. Il suo bijamantra è il suono yam (ya nasalizzata). Corrisponde all’elemento aria. L’organo di senso di anahata è la pelle (il tatto) mentre l’organo di azione sono i genitali (lingam o yoni). Il suo simbolo esoterico è la stella a sei punte. In questo cakra si realizza lo stabile equilibrio delle dualità e l’armonia dell’individuale che si connette con l’universale, si manifesta l’Amore. Qui lo Yogi conquista la Saggezza.
Anahata appartiene al primo dei piani immortali, cioè al mahaloka.
Nel dominio di anahatacakra vi è il secondo dei tre granthi (i tre punti lungo susumna in cui le nadi ida e pingala si incrociano, formando un nodo), il visnugranthi: riguarda la schiavitù dell’attaccamento emozionale, l’attaccamento alle persone, l’attaccamento alle visioni psichiche interiori e al potere di guna-rajas.
Anahata è un cakra molto importante per l’individuo dedito alla spiritualità. In molti anahata funziona appena, e in pochi è risvegliato completamente: c’è differenza, infatti, tra un cakra funzionante e un cakra risvegliato. Nella maggior parte dell’umanità attuale è molto attivo muladhara e quasi del tutto risvegliato. Anahata, quando completamente risvegliato, è caratterizzato da un sentimento di amore universale, da un amore senza aspettative, da una grande compassione spirituale.
Dharana su anahata visualizza una luce verde: lo yogi, con la volontà, irradia il colore-luce alle braccia, al petto, a polmoni e cuore donando loro prana-forza e benessere.
Visuddhacakra è il cakra situato all’altezza del plesso oro-faringeo (altezza della tiroide) ed il suo bijamantra è il suono ham (ha nasalizzata).
Il significato di visuddha è “perfettamente purificato”, infatti nel processo di risveglio spirituale della coscienza del sadhaka-yogi, kundalini vi perviene con il raggiungimento di una così profonda purificazione da pervadere il corpo sottile (lingasarira) e l’intera Aura di una pura luminosità tale da attrarre l’attenzione dei Maestri delle Strade Alte.
Visuddhacakra si correla all’elemento etere (akasa, anche nel senso di spazio) e si rapporta ad un organo di senso come l’orecchio e alla bocca come organo d’azione.
Visuddha è centro della comunicazione e dell’espressione creativa: questo cakra, in alcune circostanze, può dare problemi di udito, di cervicale, di comunicazione verbale, affezioni respiratorie, disturbi alla tiroide. Visuddha richiede consapevolezza e responsabilità.
La pratica di dharana su questo cakra realizza il vuoto (“quantico”).
Visuddha verso il suo pieno sviluppo sancisce l’inizio di un nuovo tipo di esistenza per il sadhaka-yogi-praticante, una vera e propria nuova modalità di essere: qui ciò che prima era memoria diventa coscienza-consapevolezza-conoscenza. Il potere di visuddha nel suo pieno sviluppo è enorme (anche il potere della trasformazione della materia in una energia più elevata, una alchimia spirituale).
La meditazione su visuddhacakra aiuta a ridurre o eliminare i problemi legati a questo cakra sia a livello fisico grossolano sia a livello sottile. Aiuta la meditazione su questo cakra, con buoni effetti su di esso, un cristallo di rocca (anche da portare al collo).
Visuddha dona la facoltà di una elevata discriminazione: il suo elevato sviluppo fa esperimentare correttezza ed esattezza nelle comunicazioni telepatiche, ma anche l’accettazione della dualità e della polarità facendo nascere comprensione e discernimento.
Dharana su visuddha visualizza una luce blu risplendente: lo yogi, con la volontà, irradia il colore-luce verso la gola e il collo donando loro prana-forza e benessere.
Ajnacakra è il “cakra del comando” (chiamato anche “Guru cakra”), è un cakra che esprime determinati stati di coscienza. Risiede al centro tra le sopracciglia. Il suo bijamantra è il suono om (AUM). È il centro della percezione divina o visione spirituale. In questo cakra risponde la dimensione mentale sottile, l’ahamkara e la buddhi. In ajna confluiscono le tre più importanti nadi – ida, pingala e susumna – che si fondono in un unico flusso di consapevolezza fino a sahasrara. In questo cakra, quindi, sfocia la susumna dove kundalini, quando risvegliata a quel livello, sopraggiunge per svelare, illuminare e, tramite una corrente luminosa, unire il muladhara a sahasrara, per la manifestazione di Paramasiva.
La pratica di concentrare la mente su questo “punto” di unione (tra le sopracciglia) porta queste tre grandi forze a trasformare la coscienza individuale da ego-dualità a Sé-unità universale. Il sadhaka-yogi-praticante finché resta nella consapevolezza della dualità non può accedere al samadhi. Praticare una sadhana di “risveglio”, cominciando da ajnacakra, permette di ottenere una mente purificata in modo tale da essere in grado di affrontare il risveglio degli altri cakra senza troppi problemi dal punto di vista karmico (i semi karmici che esplodono perché portati in superficie dalla purificazione).
In ajnacakra, quando risvegliato ad un grado elevato, si esperimenta la comunicazione diretta (da mente a mente) con il proprio Guru esteriore (è così che un Maestro comunica con i discepoli avanzati). In esso, nello stato di meditazione profonda, si sentono le istruzioni del Maestro interiore. Ajnacakra è chiamato anche “l’Occhio di Siva”, in quanto Siva è considerato la personificazione della meditazione (dhyana) associata al risveglio di ajna, per l’appunto.
La ghiandola pineale andrebbe considerata come un tutt’uno con sahasrara così come la ghiandola pituitaria con ajnacakra. Pochi sanno che un bambino (otto-dieci anni) perde l’innocenza (perdita del contatto della propria natura spirituale), come si suol dire, non perché il suo ego scopre il sesso, ma per la degenerazione della ghiandola pineale, momento in cui si attiva la ghiandola pituitaria, cominciando a secernere gli ormoni che eccitano la consapevolezza sessuale e la personalità egoica. Nello Yoga le tecniche come trataka e shambhavi mudra servono a rigenerare e mantenere sana la ghiandola pineale.
Ajnacakra è l’entrata per sahasraracakra.
Nel dominio di ajnacakra vi è il terzo dei tre granthi, il rudragranthi: riguarda l’attaccamento ai fenomeni psichici, ai poteri (siddhi), all’idea di sé stessi.
Il simbolo dello sivalingam nero (dai contorni ben delineati) in ajnacakra è il simbolo del corpo sottile, cioè del lingasarira che esprime una consapevolezza più evoluta del muladhara e le varie capacità risvegliate. Il lingam nero (detto itarakhya lingam) è la chiave per la grande dimensione di vita spirituale.
Dharana su ajna: lo yogi inspira lentamente e profondamente; trattiene il respiro sentendo che l’aria nei polmoni si converte in prana; visualizza il prana potenziare l’energia del midollo allungato; concentra il prana potenziato tra le sopracciglia e lo invia alla parte del proprio corpo, o del corpo di qualcuno che sta male, che ne necessita per bruciare il male.
Sahasrara è il “cakra che non è cakra”, situato sulla corona del capo (brahmarandhra) come dimora di Siva dove si unisce con la sakti kundalini a compimento dell’ascesa lungo la susumna. È, quindi, in sahasrara la corrispondenza-connessione con la coscienza universale.
La portata di sahasrara realizza lo “stare qui e ora” e “l’essere al di là dell’oltre”: questa è la sua grandezza. Il potere dei cakra risiede in sahasrara.
Il momento della realizzazione del Sé o samadhi è l’unione di Siva e Sakti e la morte dell’uomo individuale (la morte della mente – manas-kama – , dell’ahamkara, della consapevolezza egoica).
Il simbolo dello sivalingam luminoso (detto jyotir lingam) in sahasrara è il simbolo del corpo sottile, cioè del lingasarira che esprime la coscienza illuminata.
Quando kundalini raggiunge sahasrara il sadhaka-yogi-praticante conosce la consapevolezza detta supermentale, la supercoscienza, la consapevolezza del proprio Sé: egli nel suo viaggio coscienziale ha esperimentato, prima di giungere a sahasrara, la consapevolezza sensoriale, poi quella mentale e infine quella supermentale. In sahasrara viene a conoscere il samadhi nelle sue tre forme principali: savikalpasamadhi (con fluttuazioni o proiezione-differenziazione); asampragyata, il samadhi senza consapevolezza; nirvikalpasamadhi (senza alcuna fluttuazione o proiezione-differenziazione). Nel samadhi termina la sadhana del sadhaka-yogi-praticante perché inizia la presa di consapevolezza totale (l’essere il Brahman stesso).
Ogni cakra maggiore è indipendente dagli altri cakra: significa che un cakra (che sia muladhara, svadhisthana, manipura, ecc.), in cui si è risvegliata kundalini sakti questa va direttamente in sahasrara, in un particolare corrispondente centro del cervello.
Il sadhaka-yogi-praticante, forte di quanto appreso lungo la sadhana ha ben chiaro di non essere il corpo, di non essere la mente ma di essere l’Atman, lo Spirito onnipervadente: può procedere in modo determinato verso la vetta del proprio percorso realizzativo.
Quando il risveglio spirituale raggiunge il proprio compimento l’ente realizza la connessione con la coscienza unitaria universale, divenendo consapevole di tutte le dimensioni di esistenza, acquisendo il potere di entrare in questi regni potendo, volendolo, sostenere e dare la vita alle dimensioni inferiori, in qualità di “dèi creatori”.
“Noi – ripetiamolo – siamo esseri o, meglio, coscienza universale, inclusiva, onnipervadente e dovremo riprendere la nostra natura, risolvendo quella seconda natura artificiosa e illusoria che ci siamo creati (natura dell’”ombra”) e che ci ha fatto disconoscere la nostra origine divina. Ed è tale l’identificazione con questa seconda natura che ai più è difficile, quasi impossibile, prospettare la prima. Diremo, senza mezzi termini, che i più sono alienati, e non può non essere così”.
da Essenza e scopo dello Yoga
di Raphael
Edizioni Asram Vidya
Si consigliano, per approfondire, i seguenti libri dell'autore:
Il Sentiero Realizzativo
La Visione, il Mezzo e la Trasformazione
Alla Fonte - Cammino esoterico
Darsana: il "punto di vista" esoterico
Il Segreto della Conoscenza esoterica
Prospettive di esoterismo
La sadhana in pratica: verso il Sè superiore
Lo Yoga è "posizione coscienziale"