Il sadhaka deve avere la “visione” sintetica di ciò che sta perseguendo con la propria sadhana. Deve restare concentrato, con lo sguardo interiore, sulla “visione” di quanto persegue sapendo benissimo che, quanto racchiuso in concetti metafisici, in detta “visione”, deve essere “realizzato” nella coscienza.
Egli deve essere consapevole del fatto che ogni volta che svolge una “pratica spirituale” è come se uscisse dal mondo del divenire, dove c’è la limitazione dello spazio-tempo, ed entrasse nel dominio della metafisica, nella trascendenza. La sadhana del sadhaka è il luogo-stato di coscienza della “devozione metafisica”.
Prima dell’effettiva realizzazione la sua “visione” è l’impalcatura delle cognizioni da realizzare: ma tra l’osservare le cognizioni e il realizzare “corre l’abisso”, come dice Raphael sorridendo.
Il sadhaka partendo dal pensiero che “la realtà non è fuori dall’Essere, ma entro l’Essere” si troverà grandemente avvantaggiato lungo gli sforzi diretti a conquistare la Verità del Sé.
Il sadhaka non deve fare di sé stesso un erudito, ma deve puntare tutto affinché la conoscenza si realizzi in coscienza: egli deve realizzarsi quale coscienza-consapevolezza-conoscenza.
La sadhana deve essere, quindi, “dottrina” e “pratica”.
Si lasci sollecitare, il sadhaka, da un detto della sruti:
“Parabrahman Pratyagatman”
l’”intimo atman è il Brahman Supremo”
E questo Brahman Supremo è privo di “qualificazioni” (“nirvisesa”) e di “attributi” (“nirguna”). Il sadhaka, vero discepolo dello spirito, deve guardare ogni giorno a questo “Assoluto Metafisico”. In aiuto dei sadhaka di tutti i tempi c’è il simbolo per eccellenza, l’AUM, che non solo facilita la comprensione della realtà metafisica, ma può accendere la stessa “Meditazione” del discepolo: l’AUM è il simbolo vivente che racchiude in sé i corrispondenti tre aspetti del Brahman:
1 lo stato grossolano, l’insieme degli esseri viventi, l’Entità Universale, vaisvanara, rappresentato da A;
2 lo stato sottile-energetico-mentale cosmico, taijasa, rappresentato da U;
3 lo stato causale, dove ogni cosa è allo stato potenziale, prajna, rappresentato da M.
Questi tre stati rientrano nella realtà dei fenomeni, cioè dell’energia (la sakti), nel grande spettacolo universale della Prakrti che condensa i suoi oggetti a diversi gradi di manifestazione. Questi stati, e tutto ciò che li riguarda, non sono reali in se stessi, non sono assoluti, e offrono il necessario per l’incessante Samsara, il perenne flusso del divenire trasmigratorio, l’indefinita successione di nascita-morte-rinascita al quale può porre fine solo la Liberazione, la Moksa.
Lo stato grossolano emerge da quello sottile: ogni forma, nel manifestato, possiede una porzione di mente cosmica.
Le vere radici di tutti e tre questi stati affondano nel “Quarto”, il quarto Stato, Turya, Brahman Nirguna, l’Assoluto Metafisico.
Il sadhaka per realizzare tali conoscenze, accedere all’ultima verità (il Turya), deve utilizzare vicara, il discernimento-discriminazione, analizzando le proprie esperienze.
Non deve dimenticare il sadhaka che è stata donata la pratica dell’AUM, per la Meditazione, pratica che concerne il far risuonare le tre note (A-U-M), ciascuna delle quali corrisponde ad una esperienza-fenomeno (nei tra stati: grossolano, sottile e causale), fino a entrare-perdersi nel Silenzio-Turya, il Fondamento (Brahman Nirguna).
La sadhana non è un mezzo di conoscenza sensoriale, ma di realizzazione: il sadhaka-discepolo deve “comprendere, risolvere e trascendere il fenomeno-maya-serpente (come allegorizza Sankara).
Sappia, il discepolo, che Turya-Assoluto non è da concettualizzare ma da “svelare”: non bisogna rappresentarsi o immaginare la realtà, ma Essere veramente la Realtà.
Ogni sadhaka dovrebbe sapere che la sruti (la Tradizione di origine non umana) guarda dal punto di vista dell’ordine metafisico considerando che la Realtà è senza secondo (senza nascita, causa ed effetto). La metafisica va al di là del fisico, dello psichico e dello spirituale.
La metafisica ricerca l’Assoluto, la Realtà senza secondo e quindi non possono essere validi gli schemi concettualizzati.
Il sadhaka-yogi deve rimuovere gli ostacoli che non permettono alla Verità di svelarsi: si tratta di un’operatività coraggiosa che richiede certe qualificazioni.
Si tratta di raggiungere, di svelare ciò che non ha alcuna relazione con gli oggetti, per questo si dice che la Conoscenza è Brahman stesso, onnipervadente.
Il destino di un autentico sadhaka-yogi è trovare la strada che lo porti alla realizzazione dell’Essere trascendente assoluto.
Il sadhaka-yogi che si evolve grazie agli sforzi e ai sacrifici del proprio lavoro riesce a guardare-vedere i “processi” della Prakrti, la manifestazione universale nella quale si generano i mondi, gli oggetti e gli enti, da essa vengono prodotti tutti i “nomi” e tutte le “forme”.
La Prakrti stimolata da Purusa origina il primo elemento, buddhi; è questo “riflesso” che, divenendo consapevole di se stesso, produce l’ahamkara, il “senso dell’io”; poi dall’ahamkara procedono la mente e gli organi dei sensi, gli organi motori e le venticinque categorie di cose prettamente materiali.
Viene creata la posizione “dello spettatore che si identifica con lo spettacolo”.
Il lavoro del sadhaka-yogi consiste nel ridare al Purusa la dignità di “essere ciò che è”: questa è la sua vera sadhana basata, soprattutto, sulla conoscenza.
E la consapevolezza gli dà la conoscenza dei tre veicoli-guaine usati nella investigazione in quanto Jiva incarnato:
1 corpo causale, cioè karanasarira, che nell’ordine individuale corrisponde all’anandamayakosa, allo stato di coscienza non differenziato prajna e alla condizione di “sonno profondo senza sogni” susupti. Nell’ordine universale corrisponde allo stato informale Isvara;
2 corpo sottile, cioè lingasarira o suksmasarira, è il corpo mentale-energetico-luminoso che corrisponde allo stato coscienziale di taijasa e alla condizione di “sonno con sogni” svapna. Questo corpo sottile, in realtà, si suddivide in tre veicoli: il veicolo intellettivo (buddhimayakosa o vijnanamayakosa) appartenente al piano causale; il veicolo mentale (manomayakosa); il veicolo pranico-energetico (pranamayakosa). In dettaglio è costituito dai cinque elementi sottili (suksmabhuta), comprende le cinque facoltà di percezione (jnanendriya), le cinque facoltà di azione (karmendriya), i cinque soffi vitali (prana) e la mente-organo interno (antahkarana e le sue quattro funzioni: buddhi, ahamkara, manas e citta). Il corpo sottile accompagna l’Anima nel processo di trasmigrazione;
3 corpo fisico grossolano, cioè sthulasarira, composto da annamayakosa (involucro prodotto dalla trasformazione, elaborazione e assimilazione del cibo) che corrisponde allo “stato di veglia” jagrat.
Questi tre aspetti del Brahman si suddividono in ulteriori cinque veicoli chiamati kosa che costituiscono l’espressione totale dell’ente planetario, dalla più grossolana alla più sottile:
1 annamayakosa, è il corpo di cibo (sangue, carne, ossa, ecc); il livello di consapevolezza del piano fisico denso;
2 pranamayakosa, è il corpo pranico concernente la struttura umana;
3 manomayakosa, è il corpo mentale, riguarda le operazioni coscienti entro la sfera della mente;
4 buddhimayakosa, è il corpo psichico, è la dimensione della personalità che opera nel piano astrale.
5 anandamayakosa, è il corpo di beatitudine, il rivestimento più interno del Jiva. Costituisce il corpo causale ed è la sede del Jiva nello stato di sonno profondo (susupti).
Il corpo sottile è un costituente dell’antahkarana, cioè l’organo interno, ovvero la mente nella sua intera estensione (buddhi, ahamkara, manas e citta) e ha delle importanti funzioni.
Sotto il velo dell’ignoranza metafisica, l’Avidya, il sadhaka-yogi deve far l’eroe per riuscire a distinguere, con la giusta visione, che il Jivatman è, essenzialmente, Sat-Cit-Ananda, ovvero Esistenza, Coscienza, Beatitudine.