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666. I Limiti della Mente di Raphael

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D – La mente può comprendere l’Assoluto-Brahman?
La conoscenza intellettiva può penetrare il mistero dell’Essere?

R – La mente, abbiamo detto, è uno strumento percettivo alla stregua di quello fisico; costituisce un semplice veicolo mediante cui l’ente viene in contatto con certe possibilità di essere. Come tutti i veicoli, o strumenti di contatto, è limitato e contingente. Essa apprende la verità, diremo, per via indiretta; ciò implica che compara, paragone, seleziona e poi trae le conclusioni che, ovviamente, non sono assolute, né possono esserlo. L’uomo, in fondo, si è accorto dell’imprecisione della mente, e per sopperire a questa deficienza ha cercato di scoprire sistemi logici e forme di ragionamento analogiche, sillogiche, ecc., basate su certi presupposti induttivi o deduttivi. Ma tali sistemi sono scaturiti proprio da quella mente condizionata, quindi non possono ritenersi assoluti. La stessa scienza deve di continuo modificare i suoi concetti ritenuti in precedenza validi. La forma-immagine della materia di un fisico dell’Ottocento non è la stessa del fisico atomico di oggi. Nella vita universa ci sono diversi piani di manifestazione e di coscienza; l’uomo possiede differenti “finestre”, ciascuna essendo atta a mettersi in contatto con un particolare piano di esistenza. La vista fisiologica, ad esempio, serve soltanto se sussistono certe modalità di ambiente. Se la luce solare dovesse mancare, la rètina dell’occhio non registrerebbe più niente. Ora, la mente afferra le percezioni analizzandole, comparandole e concettualizzandole, ma rimane nell’ambito del sensoriale, del duale, del frammentario, del tempo e della causalità. Inoltre, osserva solo dati esterni a , voglio dire che riconduce tutto ad oggetto di percezione. Ma come possiamo comprendere il soggetto che conosce? Se ci affidiamo ancora alla mente, essa riporta in modo automatico il soggetto, che vogliamo conoscere, ad oggetto e questo oggetto presuppone un’altra volta un soggetto conoscente.
In questo processo la mente proietta una forma-immagine del vero oggetto ed è su quella forma-immagine che determina la sua attività pensativa. Ciò significa che essa non opera sulla cosa in sé, ma sulla proiezione della sua stessa immaginazione. Così, abbiamo una interpretazione dell’universo secondo la forma-immagine mentale dell’uomo, non secondo l’intrinseca realtà.
Un proverbio indù dice: possiamo ballare sulle nostre spalle? No. Ebbene, la mente non può comprendere se stessa. Qui possiamo notare il limite di uno strumento conoscitivo e affermare l’umiltà e l’accettazione di una constatazione. Ma la mente, che produce l’io, il tempo, lo spazio e la causalità, non si arrende e nel suo moto ignorante tenta di definire, concettualizzare, afferrare ciò che è senza tempo, senza causa, senza spazio: insomma, non è autorisplendente, autoconoscente. Dietro ad essa esiste qualcosa da cui trae un modesto riflesso conoscitivo. Questo qualche cosa lo possiamo paragonare al sole che risplende di luce propria. Compito del processo realizzativo è quello di farci ritirare la coscienza in questo Sole Centrale che non abbisogna di nessuna mente-pensiero per conoscere poiché comprende e si autocomprende. Se questo atman centrale viene paragonato al sole e la mente alla luna, a che cosa serve quel pallido riflesso della luna, quando il sole splende allo zenit.

D – Se la mente è un impedimento alla conoscenza dell’atman, come posso superarla?

R – La mente può costituire un impedimento quando si ostina ad esercitare una prerogativa che non le appartiene. Se riesce a comprendere, tramite l’illuminazione super-mentale, i suoi giusti limiti, può essere di valido aiuto come lo sono, d’altra parte, gli altri veicoli.

D – Si tratta solo di riportarla nelle sue giuste misure, darle il suo giusto posto e la sua giusta funzione?

R – Si. Occorre dare alla mente la sua propria dimensione, che è misura, poi portarla al silenzio attivo. In tale solitudine mentale emergerà l’Ignoto.

D – Come è possibile riportare la mente alle sue giuste dimensioni se è essa la causa dell’inganno?

R – Stiamo girando attorno allo stesso problema. Cerchiamo di uscirne. Comunque, il fatto che possiamo in modo conscio formulare, direzionare, inibire il pensiero, vuol dire che noi non siamo il pensiero-mente. Se potete fare le affermazioni che avete fatto adesso, vuol dire che esiste un centro dietro la mente che può intervenire e vedere lo scorrere delle idee-immagini mentali. D’altra parte, occorre sperimentare quella condizione in cui si rimane senza pensiero, senza immagini.

D – Io ho provato questa condizione e ne riconosco la validità, ma vorrei capire meglio quel meccanismo che purtroppo mi strappa dalla condizione di assenza di pensiero. Insomma, che cosa è che mi spinge ad uscire da quella, chiamiamola, posizione di quiete, di silenzio, di solitudine?

R – Per comprendere questo evento prima di tutto dobbiamo esaminare il dinamismo del processo pensativo e poi risalire alla causa che spinge la mente a riprodurre un’idea-immagine. La mente è una forgiatrice e nello stesso tempo un registratore di immagini; non sa pensare se non con modelli ideali; una pura astrazione è, appunto, impensabile. Possiamo, così, paragonarla ad una pellicola cinematografica sulla quale si plasmano immagini, intere sequenze pensative. Patanjali nei suoi Yoga-Sutra dice che la mente prende la forma dell’oggetto pensato o percepito, e a sua volta il jiva-soggetto interno (anima cristallizzata e individuata) assume quella delle funzioni mentali. Dunque, abbiamo che il jiva-io s’identifica con la forma-immagine proiettata dalla mente la quale, a sua volta, diventa l’oggetto percepito; tutto questo è un gioco mentale.
Vi prego, seguiamo questo processo con grande attenzione, potremmo pervenire a delle interessanti scoperte. Facciamo un esempio: la mente di un attore proietta l’immagine di Giulio Cesare (in quanto sta recitando questa parte), l’io-attore – quindi il jiva-individuo – s’identifica con la sua immagine mentale a tal punto da dire: io sono Giulio Cesare. Ciò produce una scissura tra l’entità reale e quella che potremmo chiamare illusoria. Fino a quando dura la scissura, ci troveremo di fronte a una condizione esistenziale di … sogno.
Ed è proprio da questa condizione che dobbiamo svegliarci. Il vero Risvegliato è appunto colui che ha risolto tutte le scissure ritrovandosi incondizionato. Dunque, abbiamo sovrapposto allo sfondo dell’Assoluto in noi una serie di immagini e di non realtà fino a scambiare lo stesso Assoluto con queste immagini di sogno.
È ciò che vuol dire Sankara quando afferma che scambiamo la corda per il serpente. Il serpente non è altro che una nostra modificazione di pensiero, una nostra innocua proiezione-immagine con la quale il jiva-io si è fuso cadendo nell’avidya-ignoranza. Non è il caso di inoltrarci su come la mente riproduca in immagini le forme oggettive o le varie indefinite percezioni sensoriali.
Ora, se rammentiamo quel cinematografo mentale che ci porta di continuo nel mondo del divenire, scopriremo che tra una percezione e un’altra esiste uno iato, un vuoto; come lo abbiamo anche tra un fotogramma della pellicola cinematografica e un altro, o come la stessa scienza lo ha scoperto tra un fotone di luce e un altro. Che l’universo fosse un continuo-discontinuo, la metafisica vedanta lo sapeva da tempo.
La meditazione dello yoga-vedanta porta al rallentamento della sequenza pensativa-immaginativa fino a quando non si entra in quel continuo non manifesto che è vera Realtà non soggetta a cambiamento. Che cosa sia questo Vuoto-Realtà, questo Silenzio divino, questa possibilità non oggettivante e proiettante lo dovremo scoprire; ogni speculazione intellettiva sarebbe vana, che il pensiero non farebbe che creare altre immagini illusorie, altre concettualizzazioni da soddisfare solo i mentalisti.
Veniamo alla seconda istanza della domanda.
Che cosa è che ci riporta nel divenire? Mi sembra questa la domanda.
Se abbiamo sperimentato non dico la fase ultima del processo samadhico – perché quella condizione-non condizione di cui abbiamo parlato prima rappresenta proprio un tipo di samadhi -, ma almeno quella della autopresenza o dell’osservatore, ci saremo accorti che appena realizzata la quiete della mente, questa si ritrova nell’ingorgo pensativo perché delle forme-immagini sono entrate con prepotenza nella nostra spazialità. Possiamo dire: il dinamismo energetico delle immagini immagazzinate in noi ci condiziona in modo considerevole. Solo chi ha vissuto questo processo meditativo può riconoscere che cosa siano i contenuti psichici, il loro potente dinamismo e la loro esuberante capacità di condizionamento. Liberarsi da questo passato, da questo accumulo, da queste larve vaganti, da questi fantasmi che odorano di cipresso, è condizione del vero aspirante alla Realizzazione.
È proprio questo dinamismo, dunque, che ci spinge – ogni qualvolta tentiamo di portare silenzio nella mente – ad estrinsecarci ed esteriorizzarci. E occorre fare molta attenzione, perché inibire la mente non serve a niente, anzi è controproducente. Il silenzio mentale è il risultato non d’inibizione, ma di soluzione dell’intero accumulo energetico imprigionante
Così, due sono i fattori che inducono la mente a plasmare immagini-sogni: il primo è prodotto dalla nostra immensa risorsa energetica subconscia di ideali cristallizzati che chiedono soddisfacimento; il secondo dall’abitudine della mente estrovertita, non controllata, che modella e solidifica le varie percezioni.
Il controllo della tendenza all’estroversione oggettivante della mente e la soluzione delle forze subconscie costituiscono i due più importanti pilastri del tirocinio yogico vedantico.

D – Lo psicanalista può risolvere questi problemi?

R – Lo psicanalista non risolve, ma asseconda l’istanza subconscia. Sta qui la differenza tra lo yogi e lo psicanalista; questi opera a livello della personalità maturando istanze relative all’io in conflitto, quegli, invece, opera a risolvere e trascendere l’intera individualità umana. Tra i due non ci sono opposizioni, ma metodi e finalità diversi per cui è bene astenersi da ogni paragone.

 ***

R – Riprendiamo il dialogo dell’altra sera e cerchiamo, come è nostra abitudine, di realizzare quella giusta attenzione che ci potrà portare nel mondo del significato. Ci sono persone nuove questa sera; mi è stato detto comunque che molti hanno già sentito la registrazione. Possiamo dunque procedere con le domande.

***

D – Ho sentito la registrazione dell’ultima sera e ho trovato la soluzione a certi miei dubbi di discepolo, non ho compreso però la differenza tra mente, pensiero, idee, ecc. Che cosa è che devo risolvere: la mente, i pensieri o altro? È importante questa risposta per me.

R – Quando parliamo di veicoli, d’involucri o di guaine, ci riferiamo a quel composto-energetico che è mantenuto in una certa forma dalla potenza vitale di un Centro interiore. Quando tale Centro ritira la sua forza coesiva da un veicolo, questo si disintegra e si disperde nello spazio. Possiamo notare un tale processo osservando la fine del corpo grossolano che indossiamo. Ogni veicolo si esprime con certe qualità e caratteristiche che sono inerenti alla sua natura.
Così, quello mentale è un composto energetico che risponde a determinate possibilità; diremo, è sensibile al mondo delle percezioni, delle idee, dei concetti. La mente ha la capacità di visualizzare o proiettare interi universi e di percepirli in modo simultaneo.
Ciò che condiziona lo stesso veicolo, è la solidificazione energetica delle idee-immagini. Un’immagine mentale è carica d’energia, costituisce un potenziale di vita che deve trovare, presto o tardi, una via di sfogo, di scarico, altrimenti si trasforma in tensione. Un contenuto mentale costituisce una bottiglia di Leida, può scoppiare nella nostra spazialità psichica da un momento all’altro; rappresenta un tumore psichico che, non risolto, produce turbamento e conflitto. Quindi, non è il veicolo in quanto tale che bisogna distruggere, ma i prodotti fossilizzati che ristagnano nella sua stessa circonferenza e che condizionano e avvelenano.
Come il corpo fisico produce certe cristallizzazioni che col tempo diventano rifiuti e vanno eliminati per non avvelenare il sangue, così la mente produce certe cristallizzazioni ideali-concettuali che vanno eliminate se non si vuole andare incontro a malattie psichiche.
L’individuo, purtroppo, si attacca con forza ai suoi contenuti mentali fino a creare veri stati anormali o di grave conflitto; egli non è mai quello dell’oggi, del presente; è sempre quello del passato, della sua memoria; vive di continuo nel tanfo dei suoi cadaveri psichici putrefatti. La coscienza dell’essere è dilaniata tra il peso determinante di milioni di giorni defunti, solidificati e il momento presente che è la sua vera condizione di esistenza.

D – Sarebbe questa una sorta di purificazione ad un livello profondo?

R – Esatto. Il Vedanta pone il problema della purificazione in termini vibratori. Mi spiego. Un contenuto psichico di orgoglio o senso di separatività produce in noi un certo stato vibratorio che, a sua volta, si sintonizza con altri stati similari, venendo così ad accentuarsi. Noi attiriamo vibrazioni corrispondenti al nostro stato. Il nostro odio attira odio, la nostra superbia attira superbia, e così via. Se vogliamo rompere questo cerchio vizioso di squallore, dovremo saper vibrare in modo da toccare quelle armoniche superiori che trascendono la nostra peculiare condizione umana egoica. Tutto ciò costituisce un profondo processo alchemico, e significa operare con intelligenza oltre che con comprensione della legge delle vibrazioni. Invero, non c’è idea, concetto, contenuto di coscienza che non sia la risultante di una possibilità energetica vibratoria. Le idee viaggiano su armoniche di luce. La parola è sostanza che vibra. Un’entità, a qualunque dimensione possa appartenere, è una modalità coscienziale vibrante; ogni forma è un effetto-moto energetico, è un ritmo, una sinfonia ondulatoria di luce.
Un minerale, un vegetale, un animale, una stella, un bel viso o un bel fiore, un sorriso o uno sguardo di bimbo: tutto questo non è altro che armonia di ritmi. La perfetta commensura vibratoria dà l’armonia. Come possiamo notare, non è soltanto pronunciando la parola amore che possiamo farlo emergere, ma prima di tutto evocando in noi stessi un adeguato ritmo o un rispondente stato armonicale. Purificare significa eliminare tutte le disarmonie vibratorie. Non è una questione moralistica, tutt’altro; è armonizzarsi con il suono universale dell’Essere.

Raphael
Alle Fondi della Vita
Edizioni Asram Vidya

 

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