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662. Vedanta e Buddhismo: qualche riflessione

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Il Vedanta (“compimento dei Veda”) è il coronamento dei Veda. È costituito essenzialmente dalle Upanisad. È uno dei sei darsana brahmanici chiamato Uttara Mimansa. Il Vedanta esprime tre correnti principali:
1 advaitavedanta (non-dualismo), codificato da Sankara;
2 visistadvaitavedanta (monismo qualificato), codificato da Ramanuya;
3 dvaitavedanta (dualismo), codificato da Madhva.

Esistono altre correnti: bhedabheda; dvaitadvaita; suddhadvaita.

L’affermazione principale delle Upanisad è il mantraTat Tvam Asi” (Tu sei Quello): definisce il rapporto fra il Tu, l’atman (l’anima presente in ogni essere) e il Quello, il brahman (l’Assoluto) trascendente che pervade tutto l’universo. Il brahman (infinito, impersonale, immobile, si trova al di là di ogni definizione) non può essere colto dalla mente umana.

Il Buddhismo è il corpo dell’insegnamento del fondatore storico del Buddhismo che, nella famiglia di provenienza (nato circa nel 563 a.C.) degli Sakya, gli venne dato il nome di Siddhartha Gautama (quasi contemporaneo dei filosofi greci Eraclito, Pitagora, ma anche di Mahavira).
I princìpi della dottrina sono racchiusi nel discorso fatto, a Benares, ai discepoli dopo la sua illuminazione, conosciuto come il “Discorso sulla messa in moto della Ruota della Legge”. Espone quella che viene chiamata la “Via di Mezzo” (madhyamapratipad), le “[Quattro] “Nobili Verità” (aryasatyani) e l’”Ottuplice Sentiero” (astangamarga).
Questo è quanto deve essere considerato Buddhismo; le altre correnti derivate da esso, proprie e improprie, non sono la pura dottrina del Buddha Sakyamuni, per quanto apprezzabili e affascinanti possano apparire.

La “Via di Mezzo” è indicata dal Buddha per raggiungere l’Illuminazione: è la via equidistante dagli estremi del piacere e dell’ascesi.

Le “Quattro Nobili Verità”:
1 (c’è il dolore) la vita è radicata nella sofferenza (dukkha) [si intende anche caducità e imperfezione];
2 (il dolore ha una causa) la sofferenza è provocata dall’ansia (tanha) di potere, felicità e lunga vita;
3 (il dolore può essere superato) eliminando quest’ansia è possibile liberarsi dalla sofferenza e raggiungere il nirvana;
4 la strada per eliminare l’ansia e la conseguente sofferenza è seguire l’”Ottuplice Sentiero” (astangamarga).

L’”Ottuplice Sentiero” è una guida alla pratica buddhista quotidiana: non è un rituale dove necessita un’elite sacerdotale, ma parla dello stile di vita e dell’insegnamento concreto aperto a tutti. Si tratta di otto princìpi correlati: 1 retta fede; 2 retta decisione; 3 retta parola; 4 retta azione; 5 retta vita; 6 retto sforzo; 7 retto ricordo; 8 retta concentrazione. La ricompensa dell’aver seguito rettamente tale sentiero è il raggiungimento del nirvana.

La dottrina del sunyata (termine che indica la natura di vuoto, la non-consistenza delle cose illusorie) assume diversi significati a seconda della scuola o dei testi di riferimento post-Buddha, ma è indubitabile che Buddha Sakyamuni abbia inserito, nell’insegnamento della dottrina, la “vacuità” (sunyata”). Egli, dalla posizione coscienziale di “Illuminato”, non limita e non obbliga a prendere in considerazione una “prospettiva”, un solo “punto di vista” rispetto ad un altro, ma lascia alla profonda riflessione del discepolo la scelta illuminante. Egli propose le diverse tesi: queste, infatti, sono interpretazioni del suo pensiero originario. Egli incoraggiava nel prospettare che una volta intuita, compresa e risolta la tesi, basata sulla propria esperienza, la verità si sarebbe palesata.
Così la corrente buddhista vainasikavada considera, per il destino di ogni ente, certa la sua distruzione (vinasa), e quindi il vuoto-sunya è la realtà.
La corrente madhyamapratipad (“Via di Mezzo”) considera sunya la non-identificazione (da qualsiasi attributo-qualità), cioè non esprimente un vuoto-nulla ma l’impossibilità di concepire o definire una qualsiasi entità reale.

Alcuni riferimenti:
1 la dottrina della vacuità negli Agama-Nikaya del Buddhismo dei Nikaya e del Buddhismo Theravada;
2 la dottrina della vacuità nelle scuole Mahayana Madhyamaka e Cittamatra;
3 la dottrina della vacuità nei Prajnaparamitasutra;
4 la dottrina della vacuità nelle scuole Mahayana del Sutra del Loto e del Buddhismo Chan e Zen (Tibet, Mongolia meridionale, Cina, Giappone, Corea, Vietnam);
5 la dottrina della vacuità nelle scuole Vajrayana (cinesi, giapponesi e tibetane).

 

“I monaci non vorranno più ascoltare e studiare i sutta proclamati dal Tathagata, profondi nel significato, che giungono oltre il mondo e riguardano la “vacuità” (sunnatapatismyutta) ma presteranno solo ascolto ai sutta profani proclamati dai discepoli, composti dai poeti, poetici e adornati di belle parole e sillabe”.

Buddha Sakyamuni
(Ani Sutta, Samyutta-nikaya, 20,7 – Canone Pali)

 

“Non si diventa brahmano in virtù della crocchia, della stirpe o della nascita. Colui nel quale c’è verità e rettitudine, questo benedetto, è un brahmano”.

Buddha Sakyamuni
parole nel Dhammapada (poema pali sul dharma)

 

La “Vacuità” (sunyata) non è il puro nulla, ma la negazione di ogni categoria mentale, quindi della realtà non si può dire nulla. Le categorie buddhistiche stesse hanno solo valore strumentale: la sunyata è strumentale ad ottenere la liberazione.

Il vero Buddhismo non è conosciuto dai molti che si professano buddhisti, accomunando la propria setta di appartenenza al Buddhismo di Siddharta Gautama, il Buddha Sakyamuni.
Un chiaro esempio lo si ha con la Soka Gakkai (fondata nel 1930 da Tsunesaburo Makiguchi – 1871-1944), con il Daimoku, che non è il Buddhismo tradizionale insegnato da Buddha, ma è quello del monaco buddhista giapponese Nichiren Daishonin (vissuto nel 13° secolo, nella tradizione Tendai), che fondamentalmente si basa sulla recitazione del mantra DaimokuNam-myoho-renge-kyo”, del quale la Soka Gakkai ha assorbito alcuni insegnamenti (che hanno formato la scuola Nichiren Shoshu, considerata già eretica dalle altre scuole Nichiren).
L’attuale presidente a vita della Soka Gakkai è Daisaku Ikeda, un figlio di pescatori diventato miliardario facendo il padre-padrone della setta, che nulla ha a che fare con il vero Buddhismo (i concetti essenziali dell’insegnamento del Buddha sono praticamente assenti nella formula elaborata dalla dottrina di Nichiren).
Il Buddha ha abolito qualsiasi “oggetto di culto” in quanto considerati illusori e dannosi e la Soka Gakkai adotta il “Gohonzon” (“oggetto di culto”) e altre forme di attaccamento.

Esiste un rapporto tra il (atman) del Vedanta e la Vacuità del Buddhismo?
Assumendo il giusto atteggiamento della semplicità, mettendo da parte l’arroganza dell’intelletto non illuminato, si può ben vedere che entrambi guardano alla stessa realtà da due discostate prospettive, utilizzando anche un linguaggio diverso.
Cosa dice il vero Buddhismo?
“Tutto è anitta”: questo dice, e aggiunge anche “anatta”.
In sanscrito “anitya” è “impermanente” (ciò che non è eterno, ciò che è transitorio) e “anatman” è “privo di sé” (è ciò che non è l’atman, che non ha realtà; lo si può dire per l’ahamkara che si modifica continuamente, e appare e scompare).

Il Buddhismo con “anitta” e “anatta” tenta di far comprendere che quanto esiste in questo mondo, in rapporto ad un princìpio superiore sfuggente alle facoltà umane, lo si può rappresentare al meglio con la “Vacuità”. Inoltre il Buddha parla di “non-nato”, di “non-condizionato” e della “coscienza del nirvana”.
I rsi (Saggi) del Vedanta e del Buddhismo non hanno detto cose diverse: hanno utilizzato un “linguaggio” e un “punto di vista” diversi.
Per il Vedanta, ad esempio, il sé individuale permanente, legato all’ahamkara (ego), non esiste; anche per il Buddhismo l’ego permanente non esiste. Si hanno, quindi, due concezioni del piuttosto inesprimibili, indefinibili: anirvacaniya per il Vedanta; Vacuità (sunyata) per il Buddhismo.

L’atman o il brahman-turya, nell’advaitavedanta, viene considerato un’infinita pienezza di possibilità e non un vuoto-assenza negativo. Infatti nel vuoto della mente si può realizzare pienamente la pura Consapevolezza non duale (atman-brahman).

 

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