Scadimento dei costumi
“Quando il Tao fu disconosciuto
Ci fu [solo] l’uomo e la [sua] giustizia;
quando apparve l’astuzia e la diffidenza
allora ci fu l’ipocrisia;
quando tra parenti nacque discordia
allora ci fu [solo] commiserazione e affezione;
quando il regno cadde nell’anarchia
allora emerse l’indulgente ministro”.
Lao-Tse : Tao te ching, XVIII
Quando la “Volontà del Cielo” viene disconosciuta l’uomo, avendo perso il Punto di riferimento trascendente e rimanendo solo con il suo piccolo io, legifera in modo non giusto; di qui nascono, di conseguenza, tutte quelle qualificazioni che appartengono a una coscienza egoica: astuzia, diffidenza, prevaricazione, ipocrisia, sentimentalismo, ecc.
Quando si perde il giusto accordo con la Norma celeste, tra i parenti nascono la discordia e i falsi rapporti guidati da semplici sentimenti individuali.
Quando la Visione viene meno, il governo cade nell’anarchia ed emerge il “principe” che, per perpetuare il suo governo, cerca di essere indulgente e accomodante verso i suoi sudditi.
L’ente, obliando il Tao, quale fondamento metafisico, scende gradualmente di livello coscienziale fino a divenire mero disordine (pura quantità), e la società stessa, più che espressione di persone governate dal Sacro, rappresenta una massa informe di individui guidata da emozioni utilitaristiche che spesso si risolvono in violenza fisica e psichica. È lo stadio di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes). È lo stadio in cui i Valori universali, sacrali, gerarchici sono elusi, spesso combattuti.
Nell’Età oscura vi è il trionfo della filosofia del divenire, nella forma materiale (quantità) a scapito della qualità; vi è il trionfo del nichilismo, e quindi dell’antitradizione; vi è l’affermazione della semplice interrelazione emotiva sociale che offre servizio unicamente al corpo-mente, servizio che le stesse religioni, intrappolate per decadenza nel solo processo contingente, ne esaltano il valore e l’ideale.
Quando il Principio trascendente (verso cui l’ente dovrebbe tendere per riconquistare quella Coscienza universale che ha perduto) viene eluso, allora ogni espressione istituzionale: religiosa, politica, economico-sociale, si oscura. La religione diviene dottrina particolarmente morale e sentimentale (sfera dell’io); la politica dottrina utilitaristica di potere, di demagogia e di autoaffermazione; l’economia una gigantesca macchina di sfruttamento dell’ambiente, e non solo di questo.
Nell’Età oscura la Verità si trasforma in opinione che varia secondo il momento e l’utilità dell’ente e degli enti preposti al governo delle dicotomie umane. Non vi è niente di stabile, di permanente, né tampoco di superiore all’io empirico; il reale è solo ciò che l’occhio vede e il tatto tocca. Una verità del momento viene contraddetta da un’altra verità del momento successivo, una legge di un giorno è contraddetta da una legge del giorno successivo; una sentenza giudiziaria è contraddetta da un’altra sentenza successiva; l’individuo dell’oggi è contraddetto dall’individuo del giorno che viene.
In una società del genere non vi sono valori a cui fare capo, a cui tendere, in cui trovare motivazioni valide per la propria e altrui rigenerazione. È una società appiattita, ottenebrata, al servizio di pochi che sanno ergersi e predominare demagogicamente. In essa non vi è il Sacerdos capace di traghettare l’individuo decaduto verso l’Universale, non vi sono Kṣatriya, virili ingenium, che prima dell’Azione hanno saputo imporre Ordine in se stessi e trovato quella Dignitas solare che deriva da una superiore Statura; non vi sono Vaiśya che producono per la necessità e non per i desideri inappagabili dell’uomo contingente (consumismo).
In questa società di Ordini sociali vengono sovvertiti falsando la struttura tradizionale e generando il decadimento dei costumi.
Tutte le rivoluzioni basate sul trasformismo politico-sociale hanno fallito perché non sostenute dalla “Volontà del Cielo”. Ma una rivoluzione che si impone dall’Alto necessita di Sacerdotes, depositari della Scienza Sacra, e di autentici guerrieri (Bellator probus), difensori di quella Scienza, che sappiano con una mano tendere verso il Principio e con l’altra impugnare la Spada sacrale ristabilitrice di valori della Tradizione universale; vale a dire, del Ṛta (Ordine universale). In una società esclusivamente “profana”, di cultura, di istituzione e sentimenti profani, in una società che è arrivata al limite dell’abisso degenerativo e in cui il sacrum facere si è spento, occorrono elementi (più che uomini di “buona volontà” e sospinti dal kāma-manas) capaci di Volontà trascendente, in grado di aggregare Anime eroiche (e non una ciurma di io empirici) che sappiano risvegliare nel cuore dell’ente quell’Eros, sete del divino e del sacro, che solo può avere la forza di far risorgere i “morti viventi” in coscienze illuminate.
In uno stadio di extrema tempora occorrono coscienze estremamente motivate per sovrastare la marea calante delle tenebre livellatrici e pietrificatrici. E se queste coscienze dovessero palesarsi, il risultato sarebbe senz’altro positivo.
Per riproporre il Tao occorrono, dunque, enti noetici, aristocratici, nell’accezione tradizionale, non quelli guidati dal pensiero dianoetico e nichilista privi di ogni legittimazione spirituale. Occorrono coscienze che sappiano esprimersi con una inconfondibile superiorità metafisica derivante da uno stato di essere (e da uno stile di vita) che sa imporsi sulla natura inferiore (animo irascibile e concupiscibile, secondo Platone) e da una norma etica che promana direttamente dal “Cielo”, e quindi dalla Tradizione primordiale.
La coscienza Kṣatriya non è sottoposta al volere del mondo degli uomini ma è al servizio innanzi tutto della Tradizione unica primordiale. Ciò implica che lo Kṣatriya non è alle dipendenze di ciò che sono le particolarizzazioni specifiche di settori del comparto umano: religioso (quale singolo Ramo tradizionale tra i tanti), politico-partitico, economico, ecc., tutto ciò appartenendo al tempo-spazio. Gli Kṣatriya sono gli Asceti della vita eroica la cui disciplina è forgiata dalla Virtus interiore, sono una Militia celeste, un’élite di coscienze qualificate la cui Spada è al servizio esclusivo del ristabilimento del Ṛta universale stravolto e oscurato (ma non infranto) dalla fallace avidyā del mondo degli uomini o, meglio, dalle individualità scisse dal contesto universale.
Invero, il dharma del puro Kṣatriya, il quale, è il caso di insistere, è al servizio non dell’umano decaduto ma del Divino, può attuarsi in una società autenticamente tradizionale.
Lo Kṣatriya è fuori dalle ideologie proposte dalle individualità, è fuori dalle singole correnti speculative di pensiero, è fuori da tutti gli interessi contingenti che opprimono la massa degli enti; lo Kṣatriya, comprendendo l’Ordine universale, perché proposto dal Sacerdos metafisico (avendolo “visto”, dalla radice vid: vedere con l’occhio spirituale, di qui i Veda), s’impone solo quando quell’Ordine viene disconosciuto. Quando il “così in basso” non risponde più al “così in Alto”, lo Kṣatriya emerge, con la sua Dignitas e con la sua Potestas, per ricondurre l’avidyā sociale sotto l’ègida del Diritto o, parlando in termini di guna quando il tamas e il rajas trionfano, lo Kṣatriya irrompe per eliminare o almeno frenare il disordine in modo che il Sacerdos possa riproporre quell’Insegnamento capace di traghettare verso la realizzazione dello stato coscienziale del sattva-armonia.
Quando, come esposto nella Bhagavadgītā, l’Ordine viene ignorato, Arjuna, sotto la direzione di Kṛṣna (che rappresenta la Coscienza universale), prende l’Arco sacro e combatte per riportare l’Equilibrio incrinato.
La Tradizione è rappresentata da un Corpus di Conoscenze che si esprime a diversi gradi e comparti dell’operare umano. Conoscenze che non provengono dal pensiero dualistico individuato, ma discendono dal “Cielo” tramite coscienze qualificate affinché l’ente possa reintegrarsi all’Ordine universale (e andare ancora oltre), scopo primo e ultimo dell’Adamo decaduto. Tutto ciò è Ritmo, e la stessa vita è rito.
Nel tempo-spazio questa Conoscenza viene adattata ai vari popoli concretizzandosi così in ciò che possiamo chiamare i Rami tradizionali dell’unica Conoscenza primordiale. Se quest’ultima rappresenta il tronco, il Centro, fondamento unico metafisico e sovrastorico, i vari Rami ne sono le sue diramazioni. Laddove un singolo partito politico o un semplice Ramo tradizionale, fra i tanti, cerca di appropriarsi dell’unico tronco sovrastorico, particolarizzandolo ed esclusivizzandolo ai propri fini, abbiamo un rovesciamento di valori: l’Universale dipende dal particolare e non viceversa. Ora può anche avvenire che questo “particolare”, in nome dell’Universale, imponga con l’astuzia e la violenza il proprio “idealismo teologico” o politico sovrapponendolo al Principio metafisico. Però va ricordato che tutto ciò che proviene da una mentalità esclusiva e temporale appartiene soprattutto a quel periodo storico che viene chiamato Kaliyuga o Età del ferro.
L’Universale si esprime con leggi e costituzioni; la Politéia platonica, più che col nome repubblica, va intesa come Costituzione basata sull’Ordine, Ṛta, Dharma universale, essa non è né un partito politico né un partito teologico. Così i Veda, le Upaniṣad, il Dharmaśāstra, ecc. non rappresentano un partito politico, teologico o altro di ordine contingente, propongono invece la Legislazione del grande Legislatore universale, dato che l’universo intero, compresi i vari enti che in esso dimorano, è governato da Leggi, da perfette concordanze, da numero e linee. Ecco il Cosmos divino, ed ecco la legislazione umana che dovrebbe commensurarsi a tale Armonia.
Se in un particolare periodo storico, per la potenza dell’inconscio collettivo dissacrante che stordisce anche i migliori, è difficile trovare Coscienze sovraindividuali, basta preparare quei singoli già predisposti per favorire eventi futuri.
D’altra parte, se la vera Rivoluzione (metánoia) per i più non può attuarsi, allora si lasci che il ciclo si volga inesorabilmente al tramonto perché da una “catastrofe” imposta dal “Cielo” non può non rinascere un’epoca purificata e illuminata. Dopo il tramonto vi è sempre l’alba, e l’umanità non è la prima volta che subisce questa alternanza di tenebra-Luce.
Chi è fisso nel Principio che è e non diviene non ha nulla da temere; di là da ogni sentimentalismo borghese vi sono necessità cosmiche che sanno rimediare alla cecità di enti che hanno preferito la tenebra alla Luce, la morte all’Immortalità, il non-essere all’Essere.
Raphael
tratto da Fuoco di Ascesi
capitolo Ordine Universale (RTA) pag. 101
Edizioni Asram Vidya