A dispetto della corruzione diffusa in ogni ambito della società umana, anche nella politica e tra i membri del governo, i cittadini possono pretendere, possono fare in modo di riprendersi la “sovranità popolare” sottratta, mettere in campo “piccoli atti di coraggio”, di volta in volta.
Non serve riformare la Costituzione Italiana, andata in vigore nel 1948 per virtù dei Padri Costituenti, per fare dell’Italia un Paese migliore: quella da riformare è la mentalità corrotta e corruttiva che risiede tra i politici, tra i governanti, nelle istituzioni, nella classe dirigente del Paese che ha approfittato per decenni della propria funzione privilegiata (anche Confindustria e company) dando un cattivo esempio corruttivo ai cittadini, inquinando e distorcendo la democrazia (basta vedere i governi indecenti e innominabili degli ultimi venti anni, compresi gli ultimi tre con l’attuale). Quello che vogliono riformare, mediante mimetizzate derive autoritarie, sono le tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, compresa la licenza di protestare le proposte di modifiche sgradite dello status quo. La ripresa economica non può derivare da una riforma degli articoli, delle norme costituzionali, ma dall’onestà, dal buon senso, dall’umanità, dal meno egoismo degli imprenditori, da piani industriali non scorretti, da politiche trasparenti, da meno inciuci della politica, dal contrasto al malaffare e alla mafia, evitando ulteriore indecenti “trattative”. Quello che invece sarebbe utilissimo al Paese è che gli Articoli, tutti gli Articoli, così come sono nella loro chiarissima elevata espressione, vengano finalmente applicati e che vi sia un “Organo” istituzionale che vigili ed obblighi ad applicarli, chiunque vi si sottragga. Più che la Riforma Costituzionale dovrebbero eliminare per sempre l’“Immunità” per tutti, parlamentari, senatori e giudici dell’Alta Corte: non dovrebbero esistere cittadini di serie A e cittadini di serie C o Z in una vera democrazia, perché un ladro o un assassino, un corruttore o un corrotto non possono e non debbono scamparla col pretesto istituzionale.
Un governo non eletto dagli italiani che mette mano alla Costituzione (al di là di quello che dice il giullare Benigni del premier) è un segno preoccupante per la democrazia, viste le tante uscite infelici (autoritarie) espresse dal premier e da molti suoi ministri, ma anche molte delle azioni di governo che hanno remato contro i cittadini che ancora arrancano per questa crisi economica che non sembra mai cessare: lo confermano le quattro banche salvate al posto dei cittadini-risparmiatori buttati invece sul lastrico; il Jobs Act imposto (che i francesi giustamente rifiutano animosamente) con l’eliminazione dell’art. 18 che è stato finora un fallimento, un vero bluff sulle tutele e sull’uso ambiguo della definizione di “contratto a tempo indeterminato”; il caos gettato su tutto quello che dovrebbe riguardare gli “aiuti alle famiglie”, con un “previsto” al di sotto della media europea, una vera “confusione”; gli 80 euro che i lavoratori devono obbligatoriamente restituire per colpa di un governo con un premier presuntuoso, arrogante e soprattutto incompetente; e tanto altro ancora. Un governo che non aiuta i cittadini ma solo la “casta”, le “lobby” e le “banche” è un governo che può solo far preoccupare; è un governo che non ha risolto né migliorato il problema delle ondate di disperati, costretti ad attraversare il Mediterraneo per fuggire a molteplici devastazioni; è un governo che non riesce a dare veramente, rispetto al passato, un progetto nuovo, convincente che ridia fiducia ai giovani senza lavoro o sottopagati, agli anziani pensioni più dignitose, ai cittadini in difficoltà e scoraggiati servizi pubblici migliori, per eliminare l’insicurezza sociale diffusa, che non fa intravedere all’orizzonte la possibilità di aspirare ad un tenore di vita dignitoso. Questo governo non riesce a trasmettere, in questa angosciante instabilità del vivere dei cittadini, una vera e concreta possibilità di ripresa che tracci una linea definitiva col passato offrendo una reale strategia, anche di modeste dimensioni, ma capace di far sentire una forza propulsiva foriera di infinite possibilità: non un sogno illusorio ma i passi reali di una chance. All’Italia non serve un premier-star o ministri che minacciano i cittadini, ma un premier e dei ministri onesti e capaci, umili e discreti, di buon senso che rimettano al centro del Paese i cittadini con la loro “sovranità popolare”, con una “dignità morale” ed una “dignità economica” che meritano, dopo tanti inganni, tante vessazioni e tanti sacrifici. Quantomeno iniziarlo davvero questo percorso di ripresa invece di dispensare arroganti menzogne. Invece gli italiani hanno, attualmente, un premier che invece di aiutare loro a superare la crisi si preoccupa di salvaguardare le sorti del potere di cui si è impossessato senza il consenso dei cittadini, ricorrendo ad abusi e scorrettezze vergognose e ridicole: ha speso 200mila euro pubblici (della Rai) per pagare un suo servo-giullare (l’ormai noto Roberto Benigni che ha infangato il proprio talento) che si è prestato a cercare di consegnare un risultato politico al premier, un tentativo di condizionare gli italiani per il “SI” al Referendum di ottobre, sulla Riforma della Costituzione, con lo spettacolo (la replica, preceduta dal prologo attuale di Benigni, del 2012 “La più bella del mondo”) mandato in onda la sera del 2 giugno sulla Rai (tv pubblica con canone). Nel prologo il giullare, accattivandosi la simpatia del pubblico con le sue note estroverse, insinua “La Costituzione si può ritoccare? Ma certo, è scritto dentro la Costituzione, non la prima parte dei diritti e doveri fondamentali, ma la seconda parte sì, lo dice l’articolo 138” (aggiungendo una frase perfetta: “un paradiso da cui non si può uscire diventa un inferno”). E le voci-serve che giungono da ogni parte, a giustificare il premier, con il ritornello confezionato per l’occasione, nascondono come sempre la verità: “il SI al referendum è necessario per ottenere finalmente gli obiettivi che si aspettano da decenni, come quello di superare il bicameralismo perfetto”.
Un governo, dove la min(e)stra Boschi diniega i dialoghi, per evitare le critiche, preferendo sputare minacce e ricatti ai cittadini, anziché servirli, “Se al referendum di ottobre vince il NO, il Paese rischia l’instabilità”, oppure “Crescita da 96 miliardi se passa la riforma”, dovrebbe essere bandito platealmente. Parlare di instabilità o di crescita da 96 miliardi se vincesse il NO è davvero ridicolo, dal momento che questo governo, in carica già da due anni, ha fatto una “legge di stabilità” per mascherare-nascondere l’instabilità che hanno propagato in tutto il Paese. Questo governo di incapaci e di saprofiti, che stanno costringendo i cittadini a restituire gli 80 euro che prima hanno dato, sono solo buoni a minacciare e ricattare i contribuenti, ma non a prendere decisioni utili davvero come quella dell’ipotesi che basterebbe una maggioranza provvisoria e un “governo di scopo”, per scrivere la parte mancante della legge elettorale e far tornare al voto finalmente gli italiani.
I problemi, al Paese e a tutti i cittadini, li sta dando questo governo, non il NO eventuale al referendum. La vera preoccupazione, adesso, dei membri del governo è solo quella dell’instabilità della poltrona di Renzi, il pifferaio della politica insufficiente, il premier del “gioco delle tre carte” che non è in grado di capire il vero motivo dell’insuccesso del Pd all’elezione del Sindaco di Roma e per questo spara ulteriori minacce “Interverrò nel Pd usando il lanciafiamme”. Non parla da premier ma da bullo della politica: è ridicolo, ma non se ne avvede. Un premier che manca di umiltà, che non accetta le evidenze della propria irresponsabilità e risponde nervoso, verboso, avvelenato, con strafottenza tradisce l’evidenza che il Paese si trova in mano ad un uomo pericoloso, un disturbato nella personalità e le sue frasi-sentenze lo dimostrano con tutta l’arroganza della sua mediocrità “Se perdo non mi dimetto” (non ha proprio considerazione del voto espresso dagli italiani che non gli danno il proprio consenso; d’altronde sta lì senza essere stato eletto, ma impostosi). Egli non dialoga, non si confronta, fa monologhi per autocelebrarsi e quando è costretto ad un confronto, come alla Confcommercio che lo hanno fischiato, si arrabbia, strilla, minaccia “Fischiatemi pure se avete il coraggio ma la politica deve essere con la P maiuscola, dovete credere nella politica e l’atteggiamento di chi dice tutti uguali fa il vostro male, non il vostro bene”. Ma di quale buona politica straparla? Quella che i cittadini-contribuenti subiscono da lui è quella che agevola non i cittadini (il popolo sovrano) ma la grande industria, le multinazionali, le banche (come le quattro da lui salvate disastrando tante famiglie), le lobby del gioco d’azzardo, la casta alla quale ormai appartiene. Quella che vuole le Olimpiadi nel 2024. Ma perché le vogliono a tutti i costi? Esattamente come hanno voluto a suo tempo i Mondiali ’90 (un grande affare politico). Questi “affari” costano sacrifici ai cittadini, con tutti i cantieri che aprono e costruiscono, di solito, cose inutili per quest’ultimi ma rappresentano guadagni e privilegi per politici, imprenditori, amici degli amici e criminalità.
Il problema vero è che esistono certe forme mentis che riflettono certi modus operandi, nel sistema di potere, che non sono disposti a rivedere le proprie posizioni e creano molti problemi ai cittadini.
C’è l’intenzione, nel sistema di potere, che tende a trasformarsi in un vero e proprio piano-azione, di considerare tutte le Costituzioni dei Paesi europei superate, non più adatte alle condizioni attuali e ciò anche per i vari sistemi politici, perché questi troppo intrisi di socialismo tanto da non permettere, da non favorire quelle caratteristiche necessarie all’integrazione. Mettono in ballo, gli ingegneri della riflessione, il fatto che le tutele che garantiscono i diritti dei lavoratori presenti nelle Costituzioni ostacolino l’integrazione: i diritti e le libertà dei cittadini possono essere ostacoli per l’integrazione? Sembrerebbe davvero non una riflessione ma un pericoloso delirio socio-politico.
Il Lavoro è considerato valore fondativo della Repubblica, si afferma nell’Art. 1 della Costituzione, ma anche status attraverso il quale si realizza la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale (Art. 3, co. 2 Cost.). La Carta Costituzionale riconosce nel Lavoro un “diritto, da un lato, e un “dovere”, dall’altro e per questo la Repubblica si impegna a promuovere le condizioni di effettività del “diritto al Lavoro”, che riconosce a tutti i cittadini (Art. 4, co. 1 Cost.), al contempo precisa e indica il Lavoro come un “dovere”, quindi di scegliere e svolgere un’attività o una funzione, concorrendo così al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (Art. 4, 2 co. Cost.).
La Repubblica italiana è ancora fondata sul Lavoro? Lo si può dire ancora, onestamente, che lo è? Avrebbero mai immaginato i Padri Costituenti che quanto loro avessero illuminato, con le loro parole, potesse un giorno naufragare? Il loro faro illuminava la possibilità di come il Lavoro possa accrescere l’identità, la dignità, l’orgoglio, la reputazione di un cittadino. Oggi il Lavoro è qualcosa di gettato nel mare delle incertezze: oggi solo una memoria di un passato glorioso, ma anche sofferenza e disperazione per il suo destino; è qualcosa di sottratto per il futuro dei giovani. La corruzione diffusa nella società ha corrotto il profondo senso del significato del Lavoro, quel valore di un tempo si è trasformato in un dramma. Oggi il Lavoro rende schiavi, dipendenti, condizionati verso chi può darlo e lo usa come mezzo di ricatto; questa forma di Lavoro non rende più libero l’uomo, rende i bisognosi nemici gli uni degli altri. Hanno tolto, sia ai giovani sia a chi il Lavoro lo ha perso, la speranza, il futuro, la motivazione del costruire, del migliorare; hanno eliminato quella possibilità di completamento che fa sentire gli uomini felici e migliori; hanno serrata la grande porta di accesso alla dimensione del cercare per trovare. I più raccolgono la delusione di non trovarlo mai il Lavoro (il Job).
Invece hanno bombardato per anni i cittadini, con un vero e proprio lavaggio mentale, facendo passare l’idea che “per lavorare si debba accettare qualsiasi condizione”. Peccato che tutti coloro che lo hanno sempre detto, e chi attualmente lo ripete, abbia un posto fisso reale, ben pagato e ricco di privilegi (cosa ben diversa da quanto propongono debbano fare i cittadini).
Hanno, infatti, reso il Lavoro un qualcosa di disumano, di inconciliabile con il concetto di umanità e i sindacati ne hanno una grande responsabilità: la forma mentis espressa nel Jobs Act e nell’azione di governo che ha cancellato l’Art. 18, ci fanno rendere conto di cosa sta muovendo davvero questi uomini al potere. Il progresso non dovrebbe sacrificare gli elementi umani ma li dovrebbe servire: ogni progresso dovrebbe servire a migliorare la qualità della vita umana, in ogni suo aspetto, e di tutti gli uomini, nessuno escluso.
Emigrare per necessità, per bisogno di un Lavoro e non per libera scelta filosofica, delinea il fatto che esiste un problema “Lavoro”. Nel Regno Unito ci sono, e continuano ad andare, centinaia di migliaia di italiani, di spagnoli e polacchi che hanno deciso di trasferirsi a Londra e Edimburgo in cerca di un Lavoro migliore, o semplicemente di un Lavoro, non trovandolo in patria. Nel 2015 si sono cancellati dall’anagrafe, per andare a trovare una migliore condizione di vita all’estero, 102mila italiani: Londra, Parigi, Berlino, Amsterdam, New York. Si tratta di italiani che lasciano il Paese a malincuore per necessità (laureati, ragazzi, ragazze, lavoratori, pensionati).
Un ideale governo attuale dovrebbe riportare l’individuo-cittadino-contribuente al “centro” della società umana, e quindi al centro del “Lavoro”, il motore fondamentale di una società sana, e predisporre un “patto” tra la dimensione imprenditoriale (ovviamente non corrotta) e la dimensione lavorativa (datore di lavoro e lavoratore).
In un Lavoro può esserci non solo la necessità di un utile giusto, per una dignità economica, ma anche un fine più alto per una dignità morale e spirituale: non di solo pane vive l’uomo.
Ogni datore di lavoro dovrebbe essere, in piena sinergia con una buona politica socio-economica, proteso non solo a migliorare gli utili della propria impresa, ma anche a migliorare ed elevare la vita delle proprie risorse umane: significherebbe operare per un bene supremo, diventando artefice di un valore più alto dell’esistenza di tutti, recuperando incredibili bellezze dimenticate.
Il “luogo di Lavoro” dovrebbe essere dove sviluppare la creatività per la crescita della comunità aziendale con la quale si condividono i valori: l’impresa cresce, in modo duraturo, se tutte le risorse umane crescono, moralmente ed economicamente.
La funzione di ogni risorsa è la “particola” necessaria e indispensabile alla crescita di tutti. Un imprenditore-datore di Lavoro dovrebbe riuscire a coniugare gli obiettivi aziendali alle necessità umane di tutte le risorse: è così che il Lavoro diviene espressione del valore umano e l’azienda una azienda umana, anche se supertecnologica, che non può fare altro che crescere distribuendo il profitto creato, non per sterile vanità o inutile potere, ma per quel valore che il denaro assume quando si migliora la vita degli altri, la vita di tutti.
L’“azione umana” chiamata “Lavoro” dovrebbe essere vista come ad un alto fine in grado di cambiare, in meglio, giorno dopo giorno, l’intera umanità: infatti si rende sempre più necessario un nuovo orientamento dell’“economia” perché possa puntare sulla valorizzazione dell’uomo, quale indispensabile risorsa umana, ma anche della “finanza” che serva l’uomo anziché asservirlo, un profitto, quindi, che si consegua senza danno per alcuno e faciliti, migliorandola, la condizione della vita umana.
Al momento, nell’attuale, sono in molti a non pensarla come noi abbiamo dipinto il “Lavoro”, sul come dovrebbe essere. E il cattivo esempio viene dai distretti istituzionali: vengono tenuti dei “tirocinanti” (precari) di 40-50 anni a gestire i fascicoli nei tribunali, al posto degli impiegati mai assunti, a 400 euro al mese, una vera vergogna dello Stato inaccettabile.
“Lo chiamano Job: il lavoro era libertà, adesso è un incubo”.
Stefano Massini
Il “mercato del Lavoro” sta attraversando una notte molto buia per colpa non solo della corruzione diffusa ma del diffusissimo egoismo e narcisismo che limitano le vedute mentali. Hanno corrotto e degradato la cultura dominante che influenza l’uomo-massa: la maggior parte non è libera mentalmente, è condizionata dalla manipolazione imperante del “potere nascosto” e per questo l’egoismo, l’ignoranza e la paura hanno preso il sopravvento. Molte persone hanno paura di esprimere la propria opinione sui diritti, i propri e quelli altrui: temono una ritorsione, specie nei luoghi di lavoro (fabbriche, open space, call center, negozi, supermercati, ecc.). L’egoismo genera indifferenza, insensibilità, invidia, gelosia, cattiveria, così il clima dei luoghi di lavoro si fa pesante, teso, oscuro, litigioso, combattivo anziché comunicativo e ne risentono il rendimento, la produttività e il profitto e quindi il futuro destino del Paese.
In Italia, per comprendere quali logiche vigono nella stanza del potere, basta guardare i tagli dei fondi alla sanità pubblica, al sociale e allo sviluppo per dare miliardi di euro a dei cacciabombardieri o navi da guerra inutili al popolo.
Che possa sorgere, dopo questa lunga notte buia, una nuova era luminosa del Lavoro in cui esso sia nutrimento della mente, dell’anima e della qualità della vita del lavoratore, della sua famiglia e di tutti i suoi affetti, fino ad allargare il sentimento a tutta l’umanità per un mondo più illuminato e più felice.
Il “mercato del Lavoro” lo fanno, principalmente, sia gli imprenditori-datori di Lavoro sia i cittadini-lavoratori aiutati da quelli che dovrebbero essere i sindacati, i politici e i governanti onesti.
Letture consigliate
Lavoro, Stefano Massini, Il Mulino
Forza Lavoro, Maurizio Landini, Feltrinelli Editore
Cambiare la fabbrica per cambiare il mondo, Maurizio Landini, Bompiani
I miei primi Primo Maggio, Umberto Romagnoli e Maurizio Landini, Editore L’io e il Mondo
Il valore del lavoro, Giuseppe Di Vittorio, Sorbonne Edizioni Clichy
Fondata sul lavoro. La solitudine dell’articolo 1, Gustavo Zagrebelsky, Einaudi
La maschera democratica dell’oligarchia, Canfora Luciano e Gustavo Zagrebelsky, Laterza
Imparare democrazia, Gustavo Zagrebelsky, Einaudi
Liberi servi. Il grande inquisitore e l’enigma del potere, Gustavo Zagrebelsky, Einaudi
Costituzione!, Salvatore Settis, Einaudi
La Costituzione e la Bellezza, Michele Ainis e Vittorio Sgarbi, La Nave di Teseo
La Fine della Sovranità, Alain De Benoist, Arianna Editrice
Traditori al Governo?, Marco della Luna, Arianna Editrice
La libertà dei servi, Maurizio Viroli, Editori Laterza
Poteri forti, Ferruccio Pinotti, BUR Edizioni
Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana, Luigi Ferrajoli, Editori Laterza
La democrazia attraverso i diritti, Luigi Ferrajoli, Editori Laterza