Giordano Bruno (1 gennaio 1548 – 17 febbraio 1600) non deve essere ricordato con vuote e stereotipate esuberanze. Non deve essere uno schema culturale incorniciato da mostrare. Egli non era una persona erudita di cui farsi vanto nella storia del pensiero umano: egli era un vero iniziato, e gli iniziati non muoiono mai. Molti pseudo-iniziati ancora oggi lo sfruttano nelle loro conventicole, lo interpretano, lo adattano a ciò che vogliono far passare nei loro programmi, nelle loro strategie. Giordano Bruno non è uno che si può interpretare: o lo comprendi e lo trasmetti per quello che è, o stai zitto, ammetti la tua ignoranza, i tuoi limiti e ti ripieghi umilmente a riflettere. Egli può essere compreso solo in chiave iniziatica non in una semplice investigazione filosofica. Il pensiero Bruniano è attuale in qualsiasi epoca: egli è sempre un’alba fausta per chi risvegliatosi voglia condurre i propri passi verso la luce dell’intelligenza. Egli non è la moderna razionalità delle manipolazioni storiche utili ai poteri che lo stesso Bruno ha combattuto e che lo hanno arso. L’essenza iniziatica è sempre immanente nel suo linguaggio anche nella traduzione in un sistema da riportarsi al relativo-umano, ma sempre traspira il richiamarsi ad un mondo Assoluto percepibile dai più avanzati.
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Giordano Bruno nasce a Nola nel 1548. Si avvia alla carriera ecclesiastica per necessità più che per vocazione: in quei tempi l’unica strada per vincere la povertà passava attraverso il convento. Nel 1563 (a 15 anni) diviene novizio domenicano. Nel 1572 è sacerdote nel convento di S. Bartolomeo in Campagna e subito dopo, il 28 maggio a Napoli, impegnato in uno studio sistematico della “Summa” di S. Tommaso. Nel 1575 diviene dottore in teologia e neanche l’anno dopo già si imbatte nella prima accusa di eresia, per aver negato il culto della Vergine, il valore dell’Eucaristia e aver deposto le immagini dei santi. Fugge a Genova dopo aver lasciato l’abito. Gira molto (Savona, Padova, Torino, Brescia, Bergamo, Milano) e scrive molto, ma di molti scritti non resta traccia. A Ginevra aderisce ad una comunità evangelica italiana e qui costretto ad aderire al calvinismo. Per l’intransigenza calvinista (che non sopporta il livello satirico di Bruno) si trasferisce a Lione, poi a Tolosa. Anche qui, disquisendo quale lettore ordinario di filosofia sul “de anima” di Aristotele, manifesta il suo antiaristotelismo. A Tolosa scrive il primo trattato sulla tecnica della memoria di cui non esiste traccia, ma sembra corrispondervi il posteriore “Sigillum Sigillorum” del 1583. Nel 1581, a Parigi, il suo insegnamento mnemo-tecnica viene gradito da Enrico III e gli dedica il “De Umbris Idearum”, ispirato all’Ars Magna di Lullo. Fa seguire la pubblicazione dell’operetta mnemotecnica in 2 dialoghi del “Cantus Circaeus”, con una spiccata intenzione satirica che sviluppa meglio nello “Spaccio della bestia trionfante”. Poi nel 1582 il “De Compendio architectura”; a Parigi pubblica “Il Candelaio”, una salace commedia; nel 1583 a Londra presso l’ambasciata francese, poi a Oxford. Attivissimo nel tenere conferenze in latino coi dialoghi contenuti nella “Cena delle Ceneri”, trascendendo l’eliocentrismo copernicano con la rivoluzionaria affermazione della pluralità dei mondi e degli innumerevoli astri sparsi nell’universo. Tale teoria è incisiva anche nei dialoghi “De Causa Princio et Uno” e “De Infinito, universo et mundi”. Quanto sostiene Bruno non va solo letto ma va vissuto perché se giustamente “aperti” ci si imbatte in una “esperienza iniziatica”. Egli negli “Eroici furori” prepara il “ricevente” ad un tuffo nell’immensità dei cieli per predisporsi alla conoscenza di Dio.
Nel 1584, a Londra, le sue maggiori opere videro la luce ma con la maschera di false indicazioni come a Parigi e Venezia.
L’essere stato respinto da Oxford per i suoi atteggiamenti antiaccademici, antiaristotelici e antiumanistici lo spinge a chiarire ancor meglio i suoi pensieri: così raccoglie i suoi scritti mnemonici e spiana la strada all’esposizione chiara della sua filosofia, nei successivi dialoghi italiani “l’Ars reminiscendi, l’Explicatio triginta sigillo rum e il Sigillus Sigillorum”.
Scatena infinite dispute, molte amicizie si mutano in inimicizie e il “De la Causa, principio et Uno” provoca una vera e propria persecuzione nei suoi confronti. Molti potenti personaggi identificatisi con i personaggi della “Cena delle Ceneri” lo avversano apertamente.
I suoi concetti, i suoi pensieri, la sua visione assumono l’effetto di bombe esplosive: “la materia è unica e indistruttibile. Essa manda dal suo seno le forme et per conseguenza le ha in sé … lo spirito della materia si trova in tutte le cose et secondo certi gradi empie tutta la materia … Come sono distinti gli uni dagli altri gli infiniti mondi, come non è impossibile ma necessario un infinito spazio … Ciascuno ha Dio dentro di sé perché il vero ha luce dentro di noi non per lume soprannaturale, ma per lume naturale …”.
Vibrano i contenuti del “De Immenso et Innumerabilibus” come quelli nella “Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’Asino cillenico” (con chiare allusioni al papa Sisto V, nel 1586, della bolla ”Coeli et Terrae”.
Non essendo stato messo nella condizione di insegnar filosofia (a Londra, Parigi, Magonza, Marburgo) parte per Wittemberg dove viene pubblicata il “De Lampade combinatoria lulliana” (compendio dell’Ars Magna di Lullo).
Anche in un successivo soggiorno a Helstedt si scontra con le autorità locali e raccoglie una scomunica di marca luterana (oltre alle precedenti cattolica e calvinista).
Altre opere che lo additano: il “De Magia Mathematica” (collegata ai testi dell’Abate Tritemio di Agrippa ed Alberto Magno); indicazioni per l’utilizzazione delle forze occulte della natura ai fini pratici.
Nel 1590 anche a Francoforte non è gradito, dove enuncia il “De monade, numero et figura” e “De Immenso et innumerabilibus”.
Nel 1591 parte per Zurigo, per insegnare filosofia scolastica, ma ritornando a tratti sempre Francoforte e curando alcune raccolte “Summa terminorum philosophorum” e i “De Immaginum, signorum et idearum”.
Viene avvicinato, a Francoforte, dal patrizio veneto Giovanni Mocenigo (figlio di Marcantonio) che gli chiede pedantemente di apprendere da lui la Scienza Assoluta e soprattutto l’arte della memoria. Bruno acconsente, forse sperando di riuscire, tramite questi patrizi veneti, di sottoporre al Papa (Gregorio XIV) il teorema della sua dottrina al fine di un riconoscimento da parte della Santa Madre Chiesa. A Venezia, dopo un breve alloggio in una locanda si trasferisce a casa dello stesso Mocenigo, nel 1592 si intrattiene con dotti patrizi veneti che disquisivano in filosofia e cosmologia. Intanto il Mocenigo insoddisfatto pensa di vendicarsi viscidamente di Bruno. Il 21 maggio 1592 quando decide di ripartire per Francoforte e lo comunica viene rinchiuso in un luogo sicuro e denunciato all’inquisitore veneto, fra’ Gabriele da Saluzzo. Seguono altre due denunce con tanto di prove dei suoi scritti considerati eretici. Viene costruito il processo ad arte. L’ignoranza dei giudici lo soccorre ed egli trova le giuste spiegazioni per la propria discolpa. Nell’ultimo interrogatorio del 30 luglio a Venezia Bruno esprime pentimento chiedendo perdono e misericordia a Dio e alla Chiesa. Bruno esprime l’istinto primordiale che tutela la conservazione. Tutti i grandi hanno mostrato in un certo momento l’umano vacillare: lo vediamo in Galileo Galilei, in Giacomo de Molay, in Cagliostro e in Cristo stesso.
La Santa Sede richiede l’estradizione perché reclama l’eretico a Roma dove sono pronti i manovratori della politica vaticanea (i cardinali Sanseverino e Bellarmino). Il processo dura sette anni sotto i colpi di interrogatori di fuoco (dal febbraio 1593 al febbraio 1600). Tutto viene tentato per fiaccare il corpo e lo spirito di Giordano Bruno, ma invano perché egli invece acquisisce nuova forza e nuovo vigore.
Egli è conscio dell’esito scontato del processo. Egli superato l’umano vacillamento con grande determinazione conferma e afferma ogni cosa dei suoi trattati, tutti letti lungo il processo, con grande fervore. Il dado è tratto. Il 9 febbraio viene condotto in Santa Maria della Minerva per essere pubblicamente degradato, costretto ad inginocchiarsi con la forza. Bruno segue tutto assente in ispirito: l’umana nefandezza proclama la sentenza.
All’alba del 17 febbraio 1600 la storia è pronta a scrivere un’altra pagina oscura, ma la luce emanata da Bruno continuerà ad illuminare gli intelletti pronti a volare oltre le orge dell’ignoranza.
Indomito, Giordano Bruno, lo ha gridato:
“Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam”
“Avete più paura voi nel condannarmi che io nell’udire la condanna”
Per Bruno la misura della spiritualità di un uomo è data dal tentativo di superare il condizionato.