(…)
L’Interrogante:
ma questo costante fluire non è sufficiente a fare si che noi ci identifichiamo? Mi sembra che ci aggrappiamo a qualche cosa chiamata me stesso, Io, per comodità d’espressione. Noi riconosciamo un fiume anche quando è asciutto; analogamente ci fissiamo su qualche cosa ch’è l’Io anche quando ne riconosciamo la transitorietà. Questo me stesso può essere come il fiume, basso o profondo, dalla ricca o dalla magra corrente, tuttavia è sempre quel me stesso che vuole essere incoraggiato, alimentato, mantenuto ad ogni costo. Perché si dovrebbe eliminare il processo dell’Io?
Krishnamurti:
perché mai mi rivolgete questa domanda? Se tale processo vi dà gioia, non avete che a perpetuarlo senza propormi tale domanda; allorché esso si farà penoso, allora desidererete porvi fine. Il pensiero è determinato, controllato, guidato dal piacere e dal dolore e su una base così debole e mutevole noi tentiamo di comprendere la Verità! Se l’Io debba essere mantenuto o no, è una questione veramente vitale, poiché da essa dipende l’intero corso di ogni nostra azione, e perciò la cosa più importante è il modo con cui affrontiamo questo problema, poiché dal nostro modo d’affrontarlo dipende la risposta. Se non c’è in noi un vivo interesse, allora la risposta s’adeguerà ai nostri pregiudizi e fantasie transitorie. Quindi il modo d’affrontarlo importa più del problema stesso. Quello che ognuno troverà dipende dalla persona stessa che lo cerca; se chi cerca vive nel pregiudizio, nella limitazione, ciò che troverà si adeguerà al suo condizionamento. Dunque è importante per colui che cerca di comprendere se stesso. (…)
Jiddu Krishnamurti (1895-1986)
tratto dal primo dei Discorsi a Ojai