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795. I Quattro Stati della Coscienza di Sri Sathya Sai Baba

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Il Brahman è l’Uno che sfugge ad ogni identificazione o descrizione positiva,
l’Uno che può essere indicato solo mediante negazioni e dinieghi;
l’Uno Eterno ed Infinito: assoluto Essere-Consapevolezza-Beatitudine.

 
Il Brahman onnipervasivo permea l’intero Universo degli oggetti animati ed inanimati. Il Brahman onnicomprensivo ha assunto la forma percepibile del suono primordiale AUM.

Nel Supremo Parabrahman ci sono quattro aspetti inseparabili:
Vishva   - L’universale
Taijasa  - Splendore
Prājña  - Consapevolezza divina
Turīya  - Stato di pura Consapevolezza che trascende gli stati di veglia, sogno e sonno profondo.

Lo stato di veglia è l’ordinario stato di coscienza ed è correlato al mondo grossolano della materia. Esso trasmette la conoscenza empirica del mondo fenomenico acquisita attraverso la sensibilità e la percezione, e possiede i seguenti strumenti di conoscenza:
Karmendriya (i cinque organi di azione: mani, piedi, lingua, retto, organi di riproduzione), Jñānendriya (i cinque organi di percezione: orecchie, pelle, occhi, lingua e naso), i cinque Prāna (energie vitali), Manas (la mente), Buddhi (l’intelletto), Citta ed Ahamkāra (il senso dell’«io» e del «mio»).

Nello stato di veglia questi diciannove aspetti della conoscenza empirica o percepibile sono integrati, ed è questa conoscenza che desidera fortemente i piaceri del mondo materiale.
Lo stato di sogno ha la facoltà subconscia di riconoscere e di avere una vaga idea della sacra esperienza della Divinità e della santità. Connesso con gli aspetti più sottili della conoscenza e dell’esperienza umana, porta in le impressioni più sottili delle esperienze dello stato di veglia.

Prājña e Turīya assumono caratteristiche diverse. Prājña è uno stato trascendentale di coscienza in cui la separazione fra il grossolano ed il sottile svanisce nel superconscio. È pura consapevolezza della Divinità; in questo stato la facoltà di differenziazione e di diversificazione della mente diventano inefficaci ed inoperanti, ed è per questo motivo che si afferma: «Prājñana Brahma – la Consapevolezza divina è Brahman, la Realtà Suprema».

Per aiutare l’uomo a raggiungere l’apice della Divinità, Krishna ha esposto nella Bhagavad Gītā la disciplina della meditazione. Nello stato di Prājña, tutti i desideri materiali e le cose sognate vengono sublimate nella beatitudine dell’esperienza spirituale. In questo stato di coscienza superiore, la radiosa luce di Prājñana, la Consapevolezza Divina, risplende stabile.

Turīya è lo stato di coscienza più alto, in cui si fa esperienza della natura essenziale dell’Ātma; l’aspirante spirituale sperimenta Shāntam (imperturbabilità), Shivam (bontà) e Advaitam (non-dualità). Turīya è uno stato di supercoscienza pura, serena e stabile in cui tutti i guna (attributi) che causano discriminazioni e differenziazioni sono trascesi e dissolti nella Realtà eterna ed assoluta del Brahman.

La sacra sillaba OM è la fusione dei tre suoni primordiali A, U, M. Queste tre lettere rappresentano rispettivamente gli stati di coscienza della veglia, del sogno e del sonno profondo e simboleggiano anche Brahmā, Vishnu e Maheshvara. Questa trinità rappresenta la personificazione delle tre realtà corrispondenti ai tre stati di coscienza sopra citati. In una coroncina il filo passa attraverso i grani e li tiene insieme. In modo simile, il Brahman passa attraverso tutti i Jīva (anime individuali) e li rende interdipendenti e mutuamente correlati.

Sākshātkāra è la comprensione immediata, intima ed unitaria della Realtà assoluta, suprema ed integrale del Brahman, è un’esperienza mistica al di là della mente, dello spazio e del tempo. La meditazione è di aiuto a conseguire lo stato Sākshātkāra.

L’occhio non può vedere sé stesso. Allo stesso modo, anche l’Ātma, il Sé, non può vedere sé stesso. Se una bambola di sale viene immersa nel mare per misurarne la profondità, la bambola si dissolve nell’acqua e non può più essere recuperata. In modo simile, il Jīvātma [il Sé incarnato nel corpo umano] nella ricerca del Paramātma [il Sé Supremo incondizionato] perde la propria individualità ed identità. Il Brahman è un oceano insondabile. Un Jīva che vada alla ricerca del Brahman diventa uno con il Brahman. L’Ātma ed il Paramātma sono, in senso ontologico [nella loro essenza], identici e non-duali, sono solo aspetti del più alto stato di consapevolezza.

Nella meditazione, la mente, l’intelletto ed i vari sensi vengono trascesi per mezzo dell’autocontrollo. Nello stato meditativo superconscio scompaiono tutte le dualità, le separazioni, le differenze e le relatività. La meditazione è sinonimo di conoscenza unificante della Divinità, è una visione del Divino, una via verso il Divino; la meditazione conduce a Sat-Cit-Ānanda, la Realtà integrale di Verità-Consapevolezza-Beatitudine, concede la Beatitudine eterna e conferisce la Beatitudine del Sé, inoltre aiuta l’uomo a raggiungere la Beatitudine Suprema e l’estasi della non-dualità.

Krishna disse: «Ahamātma Gudakesha – Io sono l’Ātma, Gudakesha.» Krishna che è Hrishikesha, il Signore, il Padrone di tutti i sensi, si rivolse ad Arjuna chiamandolo Gudakesha, colui che ha acquisito il controllo dei sensi. Gudakesha è il discepolo di Hrishikesha. Il Signore dei sensi è il Supremo Guru e colui che ha conquistato il controllo dei sensi è il Suo discepolo. Krishna è il Maestro Supremo ed Arjuna è il Suo sincero discepolo. Arjuna è Narottama, l’essere umano ideale e Krishna è Purushottama, la Persona Suprema, Dio. Oggi possono esserci dei buoni maestri, ma non ci sono discepoli sinceri; ciò è dovuto all’influenza che Kali esercita sugli esseri umani. La gente ricorda e ripete il nome di Krishna, ma non mette in pratica i Suoi insegnamenti.

Una volta c’era un nobile guru che aveva un discepolo. Un pomeriggio il Maestro, dopo essersi assentato, fece ritorno a casa sotto un sole cocente, proprio mentre il discepolo stava compiendo il rito di adorazione del guru. Il Maestro era sotto il sole in quel caldo torrido ed i suoi piedi nudi si bruciavano sul terreno rovente. Egli chiese al discepolo di aprire la porta e di lasciarlo entrare, ma il giovane che stava recitando i 108 Nomi del suo guru disse che non poteva essere disturbato durante il rito di adorazione, perciò non aprì la porta finché non ebbe finito. Il povero guru perciò dovette restare sotto il sole infuocato finché il discepolo non ebbe completato il suo rituale. Oggi, molti sono i discepoli così stolti. A cosa serve adorare il guru se poi gli si causa dolore? Ci sono molti devoti che adorano Krishna senza però curarsi dei Suoi insegnamenti.

Ogni individuo deve riconoscere la verità che c’è un solo Signore Supremo per tutti. Si può immaginare Dio in molti modi, Egli può essere concepito sia come ‘saguna’ [dotato di qualità ed attributi] sia come ‘nirguna’ [privo di ogni attributo]. Il Sagunabrahman è Dio con attributi, il Nirgunabrahman è Dio senza attributi. Fra i due non ci sono differenze essenziali, esattamente come non c’è una differenza sostanziale fra un pezzo di stoffa ed il cotone. Dio senza attributi è come il cotone, la sostanza di base; mentre Dio con attributi è come il tessuto, il derivato.
Il Sagunabrahman ed il Nirgunabrahman sono solo due livelli di Realtà.

Un raggio di luce che cade su un prisma viene rifratto. Per effetto della rifrazione noi vediamo i vari colori dello spettro, i quali sono diversi benché la luce sia una sola. Allo stesso modo si possono avere molti nomi e forme della Realtà Ultima. Il Brahman è Uno, e le Sue manifestazioni sono molte.

L’aspirante spirituale avrà numerose esperienze durante la meditazione. Mentre è immerso nel Divino, sente numerosi suoni e sviluppa una specie di percezione extrasensoriale. Egli avverte il suono di strumenti musicali come la vīnā, il tamburo ed il flauto. Queste dolci melodie musicali simboleggiano il Sākāra Brahman (Dio dotato di Forma) e rappresentano i primi risultati della meditazione. Durante le fasi preliminari, tutti gli organi di senso diventano ipersensibili. Questa acuta sensibilità permette all’aspirante di reagire positivamente a visioni e suoni fuori dell’ordinario.
Col tempo, questa facoltà di ipersensibilità o di percezione extrasensoriale evolve nella più alta facoltà di sentire la Voce stessa del Silenzio. C’è il suono nel silenzio, il suono primordiale OM, il suono di Dio. Il devoto percepisce la ripetizione del suono primordiale OM e sperimenta la beatitudine ineffabile ed indescrivibile di Turīya, lo stato Superconscio.

Durante la meditazione profonda molti aspiranti provano la sensazione che il loro corpo diventi molto pesante e che non sia loro possibile muoversi liberamente. Altri hanno una sensazione di estrema leggerezza e vanno in levitazione. Alcuni hanno sensazioni di tremito e brividi. Un devoto tenace e dalla mente stabile non si lascerà turbare da questi fenomeni paranormali, ma continuerà la sua pratica senza lasciarsi ostacolare da queste fantastiche esperienze.

Rāmakrishna Paramahamsa passò attraverso tutti questi stadi meditativi, dal Sākāra al Nirākāra [dal Divino dotato di Forma al senza Forma]. Durante la sua evoluzione spirituale, la Madre Divinasi rivelò a lui come Kālī. Tuttavia il Sé è privo di forma ed è per questo che si suggerisce all’aspirante di lasciarsi alle spalle tutte le forme ed i nomi e di sforzarsi di fare l’esperienza di Dio Informale. L’Assoluto privo di forma e di attributi dona l’estasi spirituale più elevata. Il devoto rimane estasiato e rapito dall’ispirazione divina dell’Assoluto Informale e ne trae perfetta beatitudine. Questo stadio meditativo superconscio trascende ogni dualità, è uno stato di conoscenza unificante del Divino, è permanente e va al di là di ogni attributo e sentimento.

Il novizio deve cominciare meditando sull’aspetto di Dio dotato di attributi e deve rispettare tutte le restrizioni. Egli deve essere regolare e puntuale nella pratica della disciplina. Un giovane virgulto deve essere protetto dagli animali, perciò bisogna mettergli attorno una recinzione finché non diventerà un grande albero; poi ogni riparo sarà superfluo. Allo stesso modo, norme e regole sono necessarie ai principianti della disciplina spirituale. Chi invece è già ad uno stadio avanzato non ha bisogno di supporti esterni, ma può conseguire lo stato d’estasi ogni volta lo desideri.
In tal modo la meditazione diventa spontanea ed abituale.

Si deve fare una distinzione fra concentrazione e meditazione. Lo stadio iniziale della concentrazione deve essere seguito dalla contemplazione e dall’assorbimento; quest’ultimo condurrà poi alla meditazione, la quale non è monopolio di una particolare religione, ma è un programma universale e pratico per acquisire la conoscenza unificante del Divino.

Sri Sathya Sai Baba (1926-2011)

 

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