Presentiamo di seguito, molto volentieri, un interessante articolo di Antonio Nuzzo, pubblicato su Yoga Journal, intitolato “Patanjali secondo me – L’Obiettivo dello Yoga”.
Antonio Nuzzo ha cominciato a praticare lo yoga nel 1963 all’età di 16 anni. Nel 1969 viene iniziato ala meditazione da Mataji Hiridayananda, diretta discepola di Swami Sivananda di Rishikesh. Nel 1970 incontra Andrè Van Lysebeth e per 15 anni con lui approfondisce le tecniche di hatha e tantra yoga. Tra i suoi maestri, Swami Satyananda di Monghyr, Swami Satchidananda, Swami Gitanda di Lawspet e Vimala Thakar. Dal 2000 è socio onorario, vice presidente e membro del comitato pedagogico della Federazione Mediterranea Yoga. A Roma insegna al Centro Studi Yoga.
Con questa pubblicazione salutiamo volentieri Antonio Nuzzo, visto che lo abbiamo conosciuto nel 1979 in un evento Yoga a Camaldoli, con la presenza di Andrè Van Lysebeth.
In Divina Amicizia … il Centro Paradesha
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Patanjali secondo me
L’obiettivo dello Yoga
di Antonio Nuzzo
a cura di Mario Raffaele Conti
Patanjali
È l’Omero dello yoga. Come per l’autore di Iliade e Odissea, infatti, sul padre di Yogasutra non ci sono notizie certe. “Perché c’è un Patanjali per la tradizione e un Patanjali per gli storici”, spiega Gianni Pellegrini, docente di Lingua e Letteratura sanscrita e Filosofia e religioni dell’India all’Università di Torino. “Secondo la tradizione sarebbe stato un rishi”, aggiunge Pellegrini, “una persona che aveva raggiunto stadi superiori di coscienza, che ha scritto Yogasutra”.
Secondo i filologi e gli storici, un Patanjali visse tra il II e il IV secolo d.C.
Nonostante non contenga neppure un accenno agli asana, Yogasutra di Patanjali è il libro più importante dello yoga. E non è un caso.
Il lavoro svolto da Patanjali è stato monumentale perché prima di lui gli insegnamenti erano diluiti in migliaia di pagine nei Veda (i testi sacri della sapienza indiana), nelle Upanisad (la dottrina della tradizione vedica), nella Bhagavad Gita (il Canto del divino, uno dei libri del famoso poema epico Mahabbarata) e in alcuni testi buddhisti. In 196 aforismi l’autore ha nei fatti codificato lo yoga, nel senso che ha spiegato qual è l’intenzione con la quale si dovrebbe praticare. Ma il suo non è stato solo un meraviglioso esercizio intellettuale o mistico fine a se stesso, e in queste pagine cercheremo di collegare i sutra alla pratica. Proprio per entrare ancora più a fondo nell’insegnamento che suggeriscono.
Il Suo Valore
Yogasutra è il titolo che viene dato al testo di Patanjali a fine Ottocento. Il libro, come lo conosciamo, fu redatto sicuramente dopo l’avvento del buddhismo (che nacque attorno al 500 a.C.) proprio per i suoi riferimenti ai testi di quella tradizione. Ed è importantissimo perché, come ricorda Federico Squarcini nell’opera dedicata a questo libro (Yogasutra, Nuova Universale Einaudi) «per poter dire che qualcosa non è yoga, o che lo yoga è assente da un determinato testo, serve disporre di un modello (…) che funga da termine di paragone» e «oggi sono in molti a pensare che il ruolo di parametro dello yoga spetti agli Yogasutra di Patanjali».
Per iniziare a esaminare questo testo, partiamo dal secondo verso che è quello che definisce già lo yoga: «yogascittavrttinirodhah» (I, 2), cioè «Lo yoga è l’arresto (provvisorio o definitivo) dell’agitazione mentale ed esistenziale delle vritti, che rappresentano abitualmente il contenuto della coscienza umana (citta)». È una definizione importante perché dovrebbe servire da riferimento fondante nella pratica: yoga vuol dire raggiungere una definitiva capacità di controllo sulle vritti. Di più: con lo yoga si dovrebbe arrivare a fermarle in modo definitivo.
Cosa sono le vritti?
Sono «modificazioni della mente», cioè le fluttuazioni dei pensieri, i ragionamenti, il frutto dell’immaginazione, i sogni a occhi aperti, le ossessioni. Sono scimmie impazzite o nuvole nel cielo: sono scimmie quando sono vivaci, sono nuvole quando sono un po’ più ammaestrate.
Le vritti in sé non sono negative, ma è negativo identificarsi con esse, perché il loro superamento porta a una migliore pratica e al miglioramento della qualità della vita. Sappiamo quanto possa essere devastante il pensiero della paura della morte o dell’abbandono della persona amata e quanto possa essere difficile far uscire questi pensieri dalla mente.
Al punto che possono togliere il sonno o rovinare le relazioni. Ma anche i pensieri più semplici, come quelli legati all’organizzazione familiare, ai problemi di lavoro, ai figli che non vanno bene a scuola, ci tolgono dal momento presente e distolgono la coscienza dalla pratica degli asana. Ci allontanano dalla vera natura del Sé e creano sofferenza.
Le conseguenze
Quando ne siamo schiavi non può esserci né concentrazione né meditazione, perché invadono citta che, secondo il mio pensiero, non è soltanto la mente, ma l’insieme di coscienza, inconscio e subconscio. Su questo Patanjali non lascia spazio alle interpretazioni. L’aforisma in questione, nonostante sia all’inizio dell’opera, è un punto di arrivo, non di partenza. È un sutra importantissimo che è spesso dimenticato nelle classi di yoga, dove viene confuso l’aspetto ginnico con quello spirituale. Si confonde la pratica di asana con un esercizio che agisce solo sul corpo.
Si pensa che prima sia necessario educare il corpo e poi si potrà pensare al resto. Secondo me, invece, bisogna raggiungere una coscienza che possa gestire simultaneamente corpo, respiro e mente. Dobbiamo prevedere una progressione spirituale che ti porterà a una nuova dimensione interiore, in cui la riduzione delle vritti ti farà entrare in uno stato quasi meditativo.
L’azione
Per capire come raggiungere questo obiettivo, ci dobbiamo spostare al primo sutra del II capitolo che dice: «» (II, 1), cioè «L’azione yoga è rappresentata dall’azione vera e propria (asana), dalla conoscenza dei testi sacri e dal distacco dall’Ego attraverso la devozione a Isvara».
Qui per la prima volta incontriamo il termine kriya yoga: è lo yoga dell’azione e si basa sulla combinazione di tre energie: un’ascesi (tapas significa «calore», quindi un’azione che crea calore); lo studio dei testi sacri e l’osservazione della propria interiorità (svadhyaya); la devozione a Dio (Isvara pranidhana) che libera dagli attaccamenti dell’ego. L’equilibrio di questi tre elementi porta all’azione perfetta, cioè a quella che non genera karma.
L’equilibrio
È importante sottolineare il concetto di equilibrio tra le energie interiore, mentale e devozionale: se ci fosse soltanto tapas lo sforzo dello yogin sarebbe ginnico, vuoto, automatico; se ci fosse solo svadhyaya lo yoga diventerebbe un esercizio prettamente mentale; se ci fosse solo Isvara pranidhana si risolverebbe in un’azione solo devozionale che porterebbe a un certo fatalismo, a mettere la propria vita in mano alla divinità senza il concorso dell’uomo.
Questo sutra ci rivela che praticare lo yoga non significa diventare superuomini, che ci sono sempre elementi che sfuggono al nostro controllo e che quindi l’aspetto devozionale ci aiuta a non esaltare l’ego, che si nutre dello sforzo fisico e cognitivo. Perché l’eccessiva esaltazione di sé è una condizione opposta alla ricerca yogica.
La pratica
Comincia con Pratiche Semplici
per evitare il pericolo di cadere in un’azione meccanica. In questo modo hai il tempo di curare gli altri aspetti. L’asana è una posizione statica: «as» indica una immobilità e una stabilità che non sono solo fisiche. Il che significa che è necessario far crescere la stabilità fisica assieme a quella mentale.
Espandi la Coscienza
Osserva la totalità del tuo essere, perché concentrarsi sul particolare sviluppa molto le “vrtti” per esempio quelle riferite al confronto, al giudizio, alla valutazione di sé e degli altri, al desiderio di finalizzare l’azione a un risultato e così via. E l’asana diventa un esercizio competitivo. Pensa a quando guardi una foresta da lontano: non è perfetta? Ma appena ci si avvicina si nota quel ramo secco, quel fiore reciso … E viene voglia di perfezionarla, di intervenire. E dove finisce la magia del tutto? Lo stesso meccanismo mentale scatta con l’osservazione del corpo nel dettaglio, nel particolare.
Per Cominciare
Come vedremo nella pagina a lato, praticare significa espandere la coscienza. Qui, il maestro Nuzzo ci mostra un esercizio propedeutico a Tadasana che fa sì che i movimenti dinamici rispettino i principi espressi da Patanjali.
1 . Mettiti in posizione di Tadasana, ma nell’inspirazione solleva il braccio destro e nell’espirazione abbassalo.
2 . Continuando ad alzare e ad abbassare il braccio destro seguendo il ritmo del respiro, chiedi alla mente di “sorvegliare” il braccio sinistro che dovrà stare immobile, rilassato.
3 . Il fine di questo esercizio è sviluppare la coscienza totale del corpo durante inspirazione ed espirazione. Se riuscirai a farlo, ti calmerai e ridurrai lo stress e le vritti.
Tadasana, il Rituale dello Yogi
Lo yoga nasce dalla consapevolezza che dai a una posizione. Tadasana, più che una posizione, va considerato un rituale. Se non si crea un’atmosfera ritualistica, l’asana diventa ginnica. Invece si deve trasformare l’interiorità profana in un’interiorità yogica, che significa avere coscienza della posizione, osservare simultaneamente ciò che deve essere contratto e ciò che deve essere tenuto rilassato.
La posizione eretta è una posizione di stabilità e di allineamento. Sembra banale, ma nasconde difficoltà inaspettate e un segreto speciale.
Tadasana
La Testa
Il mento rientra, la parte anteriore del collo si contrae, la parte posteriore si allunga e si distende; la zona cervicale riduce la sua lordosi.
Il Respiro
La respirazione yogica completa è l’elemento dinamizzante.
Con l’addome contratto, la fase diaframmatica darà estensione alla zona lombare; la fase toracica, mantenendo il dorso contratto, darà espansione all’apertura della parte anteriore e superiore del torace.
Il Torace
Deve essere aperto, le spalle all’indietro: la zona dorsale si contrae e la zona anteriore del torace si distende, si allarga, si espande.
La Mente
Nel costruire l’asana, gestisce l’azione. Prende coscienza delle parti contratte e rilassate crea equilibrio. E si riducono le vritti. Osserva ciò che accade dentro di te, porta l’energia coscienziale nel corpo intero. Questa è la preparazione alla meditazione dello yogi.
Le Mani
Le mani giunte uniscono l’energia destra a quella sinistra e sono così equilibrate tra loro.
Tadasana è il simbolo dello yoga ed è un augurio: «Nel salutarti, spero che tu possa equilibrare i due opposti».
Le braccia sono rilassate.
Il Bacino
Tendi i muscoli dell’addome: la contrazione riduce la distanza tra pube e sterno e dà più estensione alla zona lombare che si deve, invece, rilassare.
Le Gambe
I femori ruoteranno leggermente all’esterno, assieme alle ginocchia.
I Piedi
Disponi i piedi (scalzi) in modo da avere il massimo della superficie di contatto. Allarga le dita, allontana un po’ i talloni, ma unisci i due alluci. Le volte plantari devono essere sollevate da terra. Percepisci le parti a contatto col pavimento.
Antonio Nuzzo
tratto dal Periodico Mensile Yoga Journal (Anno XIII – N. 120) Febbraio 2018
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