Abbiamo una grande stima del Professor Andreoli, e apprezziamo il lavoro da lui svolto professionalmente e il grande lavoro di divulgazione a cui si è dedicato. Ecco perché con molto piacere pubblichiamo il Prologo del suo ultimo libro Essere e Destino, Edito da Marsilio. Per amore di precisazione, lo stimiamo ma non lo abbiamo mai incontrato e conosciuto di persona: ne abbiamo riscontrato il valore nei suoi lavori pubblicati.
Riteniamo che le Istituzioni dovrebbero riferirsi maggiormente ai suoi Lavori e alla sua competenza scientifica e umanistica.
In Divina Amicia … il Centro Paradesha
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Prologo
(Essere e Destino)
Questo volume si inserisce in una visione del senso della vita che ho elaborato nel mio precedente La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza. Una visione che, paradossalmente, emergeva dalla percezione di una realtà dominata dal denaro e dalla brama di potere, i cui frutti sono l’invidia, l’ingiustizia, il sopruso. Una condizione tragica della società e dell’uomo che l’ha costruita, dove l’ambiente è inquinato da agenti chimici e da rumore incessante, e l’atmosfera trabocca di parole inutili e false.
Per la mia professione di psichiatra sono immerso nel dolore, nei drammi del malessere mentale. Ed è ogni giorno più arduo distinguere la follia dell’uomo da quella del mondo in cui si trova a vivere.
In questo clima ha sempre dominato nell’uomo un progetto: cambiare il mondo, modificare la struttura sociale, i principi che la reggono, le leggi che dovrebbero regolamentarne la quotidianità. Da qui l’attenzione alla politica, nel senso proprio di amministrazione della città, che deve fornire servizi per garantire prima di tutto l’uguaglianza tra gli uomini, il rispetto reciproco.
Un campo in cui ciò sarebbe dovuto accadere era in particolare la medicina, il mio ambito professionale. All’epoca in cui scrissi La gioia di vivere mi sembrava, invece, che i luoghi della salute versassero ormai nella totale inefficienza. E le cronache ancora riferiscono di ospedali che, pur essendo deputati alla guarigione, espongono le persone a innumerevoli rischi: all’ordine del giorno sono le morti per mala sanità, per incapacità dei medici, per gestione irrazionale delle risorse o per un sistema che si rivela a doppio binario, uno per i ricchi e l’altro per i poveri.
Percepivo, dunque, la mia insufficienza, il mio limite, mentre il malessere mentale mi sembrava diffondersi, non appartenere più a delle categorie psichiatriche, ma all’esistenza stessa, trasformandosi in male di vivere.
È allora che ho cominciato a riscoprire le visioni del mondo e ho compreso l’importanza di come lo si percepisce e della modalità con cui ci si espone al suo interno. La visuale cambia, infatti, se lo si guarda alla maniera dei potenti o se si è consapevoli della propria fragile condizione umana. Certo ho perso fiducia nella capacità dell’uomo di cambiare il mondo, anche perché a questo scopo si sono candidati i corrotti, i disonesti. E forse è necessario aspettare troppo, se si considera che la vita ha bisogni immediati e che sembra correre a gran velocità verso il traguardo della morte.
Si è compiuto così, il mio risveglio dal sonno dogmatico: ho indossato altre lenti che mi hanno permesso di percepire quelle parti della società che prima non vedevo e che rendevano sfocato tutto ciò che si imponeva alla mia considerazione, fino a darmi una visione tragica del mio stesso esserci.
La gioia di vivere segnava, quindi, la scoperta di un senso nuovo per tutta quella serie di espressioni umane che nulla hanno a che vedere con il denaro, che non hanno bisogno di atti di conquista né di lotte, perché fanno parte della vita, sono connaturate alla fragilità e al bisogno dell’altro. Non ho dovuto aspettare che qualcosa si realizzasse. A un tratto mi sono accorto alla maniera di Alice di Lewis Carroll, della meraviglia dell’esperienza umana. Ho avvertito il benessere, il ben-d’essere: l’essere-bene, il fare-bene.
È nata così La nuova disciplina del benessere. In quel libro passavo dalle visioni della filosofia antica che era al servizio della vita (della propria e, al contempo, di quella degli altri), a definire concretamente l’ambito di una nuova scienza, tale da meritare un neologismo. Mi pareva, infatti, che la parola comune “benessere” avesse un senso indeterminato, vago, puramente descrittivo, mentre il mio scopo era far nascere una disciplina che, in modo sistematico, potesse programmare il bene di essere, per consumare la vita come un’avventura ricca di meraviglie. Ecco, allora, la differenza rispetto al tragico: vedere il bene, invece che il male. Soprattutto, vedere amici e non soltanto amici dappertutto: sorridere, non versare lacrime. Per questo ho voluto ripensare l’anatomia dell’uomo in funzione della gioia, impostare un vocabolario che indicasse dove guardare, quali obiettivi perseguire per vivere serenamente, riscoprendo l’esempio della saggezza antica. Ho persino abbozzato le vie per promuovere la gioia: le vie del benessere. La dimensione a cui mi riferivo non era certamente solo quella del singolo individuo, ma quella delle relazioni tra gli uomini, con la consapevolezza che il bene degli altri si riflette sul mio benessere.
Se il linguaggio rispecchiava in quella sede lo stile tipico di un trattato che intenda fondare una branca del sapere inesplorata, in questo volume torniamo invece alla riflessione più profonda, dove le radici del pensiero, e le sorgenti culturali che lo hanno determinato, riaffiorano e diventano il cuore di un flusso maggiore di conoscenza.
Mancava, inoltre, il riferimento a un topos fondamentale: la natura.
Occorreva soffermarsi ad analizzare il significato di questo termine che riportava al luogo in cui ognuno di noi si trova. Era necessario rendersi conto dell’ambiente in cui l’esistenza si consuma. È un po’ come riscoprire la propria casa. La natura si associa necessariamente al benessere.. è parte integrante di questa disciplina, centrata sull’uomo, ma che non può prescindere da dove egli si colloca. Per paradosso, si può dire che esiste un benessere dell’uomo che dipende dal benessere del luogo in cui vive, dalla natura. E magari l’essere umano scopre di farne anch’egli parte o, comunque, di doversene considerare un frammento.
Si tratta di una disciplina decisamente altra rispetto alla medicina, che si occupa del “male”, dei sintomi; il benessere ha come scopo la promozione del bene e ha scoperto, persino, che è possibile vivere il benessere anche della malattia.
Non solo si lega alla natura, ma ne tiene conto nella ricerca di suggerimenti e indicazioni su come favorirlo. Se la medicina si serve dei farmaci per curare il male, il benessere – per analogia – si avvale di “pillole della natura”, che non possono far male.
Una nuova scienza, dunque, che prende in considerazione l’uomo intero, fatto di carne, di esperienze esistenziali e di relazioni sociali.
Vittorino Andreoli
Prologo del libro Essere e Destino
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di Vittorino Andreoli
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