Ciò che conosciamo come “essere umano”, e indichiamo esotericamente come “essere condizionato”, è un’entità spirituale, un essere incorporeo non di questa realtà, che nasce-discende-incarna in un corpo fisico grossolano (sthulasarira) che gli serve da “veicolo”, facendolo manifestare come ego-corpo-personaggio karmico.
Questa “entità spirituale”, chiamata Atman, Monade, Spirito-Anima, Scintilla del Fuoco Divino, è sottomessa alla necessità di “discendere” (nascere-incarnare) nella Materia e da essa potersi liberare (una volta giunta al culmine del processo di risveglio spirituale nella Materia, godendo nella vita del mondo, la “liberazione-moksa”).
All’”essere condizionato”, la Vita nella Materia offre una molteplicità di esperienze e la possibilità di occasioni-prove attraverso le quali ritornare ad essere un “essere non-condizionato” (che si è riconosciuto e risvegliato allo stato originario di entità spirituale, cioè a ciò che è sempre stato). Tale possibilità abbraccia, per le difficoltà che si incontrano nella Materia, più tappe (una reiterazione periodica), ovvero molte successive incarnazioni in cui, in ognuna, è possibile risalire un gradino in più per ritornare alla Sorgente Unica di tutti gli Esseri.
L’alternarsi degli stati di vita e di morte (samcarana) con le loro relative “esperienze” conducono, prima o poi, l’”essere condizionato” a quello stato-condizione idoneo per poter sperimentare, per tramite del karman che vincola al divenire, la condizione di “discepolo” o la sua possibilità.
L’ingresso nel campo delle possibilità del discepolato apre all’imprevedibile della Luce o dell’Oscurità spirituali.
Un vero discepolo spirituale ha molto da disimparare agli inizi del proprio percorso realizzativo (acara), della propria sadhana, dopo averne scoperto le infinite possibilità mediante le prime scintille del risveglio iniziale.
Non tutti disimparano, bensì i più accumulano zavorra che chiamano conoscenza, per compensare le frustrazioni sperimentate nella vita profana e illudersi di aver conquistato quella “completezza”, “pienezza” (o di esserne sulla buona strada), che sentivano loro mancare.
È molto triste, ma è quello che accade più spesso di quanto possa sembrare.
Non c’è nulla di male a sbagliare anche in un percorso spirituale, importante però, dopo un po’, avvedersene, avere umilmente il coraggio di confrontarsi, di chiedere aiuto, di chiedere consiglio e, soprattutto, rimediare agli errori fatti, qualunque essi siano, anche fosse solo un errore di valutazione per non aver praticato, all’occasione, una corretta discriminazione-discernimento.
Perseverare nell’errore, sospettare di averlo commesso, nutrire dei dubbi in merito e non avere il coraggio e l’umiltà di affrontarlo, per troppo orgoglio, può mettere in uno stallo spirituale spiacevole che determinerà il grado ed il livello della “posizione coscienziale” da assumere nella successiva esistenza (nascita-discesa-incarnazione).
Cade in errore anche chi un Maestro lo avesse incontrato. Avere un Maestro non rende immuni da errori. Un vero Maestro non eviterà che il discepolo si imbatta in un errore, se avrà riscontrato in lui la necessità di farne l’esperienza, per ottenerne una maggiore maturità, emancipazione, risveglio della coscienza spirituale o l’affermazione di uno stadio ancora egoico.
Spesso i discepoli coltivano idee sbagliate su cosa debba essere un Maestro. Il Maestro non è uno scudo a disposizione dei discepoli, non è una macchina delle risoluzioni e dei miracoli desiderati dai discepoli. Un Maestro è colui che ti spinge all’errore per misurare le capacità sviluppate o meno nella sadhana (sentiero spirituale), in modo che il discepolo non debba illudersi di essere giunto a gradi elevati del sentiero. Un Maestro non eviterà che un buon discepolo cada nel “pozzo” (di Narciso) per essere scivolato su invidie, gelosie, fraintendimenti, brama di potere, inganni orchestrati da terzi, per un “momento” di sopravvalutazione egoica: il Maestro aspetterà il risultato finale dell’esperienza sbagliata, in cui il discepolo è incappato (anche se in buona fede), per vedere se riesce ad uscirne con una dolorosa presa di coscienza o con un consolidamento dell’errore che lo allontanerà fatalmente, per gravità karmica, dall’Aura del Maestro, pur continuando a credere, a illudersi, di essere in stretta relazione con Lui.
Esistono anche i casi in cui un Maestro si rammarica nel constatare come, nonostante gli Insegnamenti elargiti, “consegnati”, alcuni allievi, devoti, discepoli, abusino, della realtà di averlo incontrato, e questo sia mentre il Maestro è ancora in vita (nel mondo del divenire) sia dopo la scomparsa dal piano fisico grossolano.
Non è sufficiente considerarsi un buon discepolo o ricevere delle lodi in merito: sono gli Insegnamenti messi in pratica a dover “parlare”, a dover manifestare una incontestabile crescita spirituale.
Il Maestro è uno strumento per il discepolo il cui compito è quello di mostrare il giusto cammino e consegnare gli Insegnamenti: come un faro illuminare il discepolo perché si evidenzino i suoi errori, e indicare gli strumenti di verifica (i pramana) indicati da Patanjali in Yogasutra.
Il problema-errore maggiore è quello che in molti (individui, gruppi o nascenti organizzazioni) rivendichino di essere i portavoce del Maestro. Questo è un serio problema che accade ancora oggi, in molti ambiti spirituali. Discepoli molto avanzati spesso cadono per la sofferenza di essere rimasti orfani del Maestro e/o per una carenza trascurata, sottovalutata nella pratica della sadhana (gli esercizi idonei trascurati, dopo lo studio teorico della mente-antahkarana, che mettono in evidenza l’acquisizione o meno della conoscenza concreta a riguardo), ricorrendo, senza rendersene ben conto, ad azionamenti egoici ritenuti offerte devozionali (soddisfacendo qualche “manovriero” sempre presente in ogni ambito spirituale così come se ne trovano in qualsiasi ambito profano).
Se si vuol conoscere la mente (antahkarana) e avere padronanza su di essa è necessario conoscere come nascono e agiscono sull’ego (ahamkara) le vrtti-fluttuazioni-modificazioni della mente.
La vrtti è un vortice che si viene a creare nella sostanza mentale (cittavrtti).
La natura della mente è modificazione continua: un pensiero dietro l’altro, fluttuazioni (vrtti) senza sosta che velano la pura immutabile Intelligenza.
Ogni volta che la mente pensa, o reagisce a qualsiasi tipo di situazione, emette, produce delle vrtti nella sostanza mentale-cittavrtti: sia che si tratti di un discepolo spirituale sia che si tratti di un uomo ordinario.
Se da queste vrtti si producono degli errori, specie nel discepolo spirituale, significa che non sono stati compresi o ben applicati gli Insegnamenti ricevuti, che non sono stati azionati gli strumenti di verifica (i pramana per il giusto discernimento-discriminazione) indicati dal Maestro (o non sono stati studiati, ad esempio, gli Yogasutra di Patanjali o altri Testi autorevoli).
Restare nell’errore, per orgoglio, senza ricorrere al giusto ragionamento (pramana) significa cristallizzare la propria condizione e allontanarsi da qualsiasi tipo di saggia soluzione, lasciando al karman futuro l’azionamento del “mezzo di prova”.
Perché un essere umano si imbatte così facilmente nell’errore sia negli ambiti spirituali sia negli ambiti profani?
L’essere umano ha, nel profondo di sé, come un profondo “solco” che lo spinge a sentirsi incompleto e ad attivare, per questo, un inconscio “bisogno di credere”.
Questo bisogno, se seguito nel verso giusto, conduce al risveglio spirituale della coscienza; nel verso sbagliato porta, di esperienza in esperienza, ad un sempre maggiore senso vago di nostalgia che lascia un senso di incompletezza da soddisfare ad ogni costo continuamente.
È questo “bisogno di credere” che, se non risolto agli inizi della sadhana, negli stadi avanzati si ripresenterà più forte di prima e sotto mentite spoglie, inducendo in errore anche il migliore dei discepoli avanzati di un Maestro.
Gli errori commessi, a seguito di questo “bisogno di credere”, se non riconosciuti in tempo e risolti, travolgono irrimediabilmente in una spirale karmica inarrestabile.
È questo “bisogno di credere” che spesso fa prevalere l’ego (ahamkara) anziché l’influsso del Sé (atman): si viene a creare un abito mentale in cui l’idea di far parte di una “èlite” di discepoli, rispetto a tutti gli altri, prende il sopravvento fino a darsi il compito (mai dato dal Maestro) di diffondere nuovi “Insegnamenti” rispetto a quelli già dati a suo tempo dal Maestro e ricevuti dai discepoli. Come se gli Insegnamenti del Maestro, già completi, con i tempi che cambiano fossero ormai obsoleti. Si tratta di una terribile illusione-asmita (l’illusione della propria personalità): gli Insegnamenti di un Maestro non sono soggetti all’usura del tempo, perché la Vidya è oltre il tempo-spazio-causa.
L’illusione-asmita crea confusione tra ciò che la personalità crede di vedere e quello che realmente vede il vero testimone (l’atman): il più delle volte l’errore dell’ego-ahamkara.
L’ego, senza la sana influenza del Sé-atman, costruisce incredibili illusioni, lancia proiezioni immaginarie (in base al proprio bisogno di credere rimasto frustrato per un qualche motivo). In tale situazione il discepolo è vittima, potremmo dire “sotto influenza”, della vrtti-vikalpa, di cui parla Patanjali nel suo Sutra 1, 9. Significa che il discepolo si è lasciato influenzare (suggestionare, insidiare) da una qualche conoscenza, evento o personaggio (mediante un forte impatto emozionale-devozionale) senza verificarne la concretezza per davvero. L’accettazione totale di una conoscenza vuota di sostanza ma dal potente aggancio emotivo-devozionale porta sempre al collegamento con la vrtti-viparyaya (l’errore conoscitivo, il rovesciamento di ciò che è) di cui parla Patanjali nel suo Sutra 1, 8.
È così che si vengono a creare “cerchie” nascoste o “cerchie” separative derivanti dal gruppo originario avviato dal Maestro, lasciato per la dipartita dal mondo materiale. Questa nuova “cerchia” offrirà alla gente esattamente ciò che essa vuole sentirsi dire. Così verrà detto che è il Maestro che lo vuole, che è il Maestro che parla tramite il più speciale dei discepoli. Mettendosi così all’opposto da quanto insegnato veramente dal Maestro, e senza che nessuno se ne renda conto. Si vedrà, si udrà da più parti che sono diversi i discepoli speciali a intrattenere preziosi contatti con il Maestro, riportando agli astanti le sue parole che i più non sono in grado di udire. Parole contradditorie, improbabili o scontate, rispetto all’Insegnamento consegnato riconoscibile, ma di cui nessuno s’avvede perché in tali circostanze suggestive la pramana-vrtti è assente ed occupa lo spazio mentale principalmente con l’illusione-asmita e viparyaya-vrtti che fortemente si collegano alla smrti-vrtti (quella dei ricordi del Maestro in vita) che alimenta la nidra-vrtti (quella del sogno, della non-consapevolezza).
Tutti costoro, nonostante l’evidenza della loro improbabile realtà proposta, si supportano a vicenda indirettamente, menzionando, anche se maldestramente, il “Referente” comune (cioè il Maestro) che tutto può (anche di contraddirsi con gli Insegnamenti della Vidya stravolti).
Tali discepoli dimostrano, senza accorgersene, di essere in errore, di praticare l’opposto di quanto trasmesso dal Maestro, perché sviliscono la Metafisica assoluta “consegnata”, cercando nel transitorio-fenomenologico ciò che è “permanente”. Si comportano come se avessero trovato l’”Immutabile” e poi continuano ad officiare rituali comportamentali di stampo superstizioso, senza che la Coscienza sia presente davvero.
Non è l’emozionalità provata a garantire la genuinità dell’esperienza ritenuta di “contatto” superiore.
Ricercare il già vissuto col Maestro nel presente, in fatto di immagini, di gesti, di espressioni del Maestro, mediante una pantomima di Esso, blocca nel “transitorio” la possibilità della coscienza spirituale di riconoscersi e ritrovarsi nel “permanente” (trascendentale).
Il “bisogno di credere” non superato è colpevole della caduta verso le diverse forme di gratificazione dell’ego (dell’illusione-asmita).
Molte “cerchie” di bravi allievi, devoti e discepoli che cadono finiscono per rappresentare l’incarnazione dell’egoismo anziché la conoscenza del Sé. E tutto ciò è davvero spiacevole.
Quando il “bisogno di credere” si trasforma in influenza sugli altri (anche velata imposizione) e spesso anche in sfruttamento (sotto molte forme, anche in richieste economiche) allora una grande responsabilità karmica ricade su tali discepoli caduti: un grande oscuramento intellettuale e spirituale di cui molti asura (demoni) approfittano per tenere i discepoli sotto influenza non umana.
Il “bisogno di credere” fa cercare sensazionalismi che aprono ad una vasta gamma di possibilità di inganni che fungono da invisibile e impercepibile veleno spirituale di cui è impossibile accorgersi del suo diffondersi.
Un discepolo soggetto al “bisogno di credere”, per una non ancora riconosciuta forma di fragilità, resta proteso al fenomenologico, cioè influenzabile da tutti quegli eventi (genuini o artificiosi) che succedono o che vengono percepiti, particolarmente tutti quegli eventi la cui causa non è chiara.
Una buona sadhana deve rimuovere dal sadhaka le sofferenze (klesa) che lo affliggono, l’ignoranza metafisica (avidya), l’illusione-egoismo-asmita che può arrecare spiritualmente dei danni (impedire al discepolo di sapere chi è veramente; impedire di individuare il proprio potere spirituale; di impedire di conoscere la vera Verità-Realtà facendolo credere nel suo rovescio), il desiderio (raga), l’avversione (dvesa), e per molti l’inconfessata paura della morte (abhinivesa) che si esprime con una esacerbata sete di esistenza.
Quanto abbiamo detto può tradursi come la necessaria e importante operazione che effettua lo sradicamento dei meccanismi spontanei e ripetitivi annidati nell’inconscio, tipico di chi è ancora nel pieno sonno della coscienza o nel semi-sonno che può aprire a molteplici possibilità.
Ogni buon “ricercatore della verità” finisce sempre per fare l’esperienza della intrappolante menzogna per un certo tempo, finisce per conoscere qualche mediocre o eccellente “imbroglione dell’assoluto” che gli farà esperire, prima o poi, i giusti mezzi della liberazione.
Riassumiamo le vrtti che fanno errare e quelle che aiutano a non farsi ingannare dai tanti prestidigitatori della spiritualità.
Viparyaya-vrtti , sono quelle fluttuazioni nella sostanza mentale (cittavrtti) che conducono ad un errore conoscitivo, a prendere qualcosa per il suo contrario, a credere nel rovescio di una verità.
Vikalpa-vrtti , sono quelle della proiezione mentale molteplice, della falsa nozione, delle illusioni.
Smrti-vrtti , sono quelle del ricordo, della memoria, di come le cose sono state memorizzate; sono quelle che in certi casi provocano sofferenza o esaltazione per mancanza di discernimento-discriminazione. In tale contesto non è la smrti quale Tradizione umana rammentata.
Nidra-vrtti , sono quelle del sonno della mente, del sogno, della modificazione della mente che ostacolano il samadhi e la presa di consapevolezza della realtà-atman. Sono le vrtti che denotano la non-percezione del vero e quindi la non-conoscenza (ajnana) del reale. Le nidra-vrtti sono la condizione della falsa o erronea conoscenza (mithyajnana).
Pramana-vrtti sono invece le uniche vrtti che rappresentano un valido mezzo di verifica, il ragionamento logico che deriva dall’analisi dei fatti, in grado di costituire un modello autorevole sia nella vita del mondo sia nella ricerca spirituale. I pramana sono i mezzi validi per la ricerca della Verità, per le affidabili verifiche: la percezione sensoriale, la deduzione logica, la comparazione analogica, le scritture autorevoli che testimoniano la Vidya. I pramana verificano cose, personaggi ed eventi alla cui luce si pone l’esercizio della riflessione sulla Dottrina della Vidya.
Chi supera, per maturità, il “bisogno di credere” entra nel dominio luminoso dell’intelletto superiore, della buddhi risvegliata, in cui il “credere” si è trasformato in “conoscenza”, ovvero in quello stato che si può definire di “essere-coscienza-beatitudine” (sat-cit-ananda), quello stato che va dai primi gradi ai massimi livelli in cui il discepolo, se interpellato, potrà rispondere: “Io non credo, perché io so”.
È attraverso un “sentiero non condizionato” da sofferenze (klesa) irrisolte e da frammenti di ignoranza (avidya) che un discepolo può pervenire con certezza, e stabilmente, allo stato di “coscienza-consapevolezza-conoscenza”.
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YOGA Teoria e pratica
Un’opera di 38 volumi a cura di YANI Yoga associazione Nazionale Insegnanti
Curatori dell’Opera:
Stefano Castelli, indologo, docente universitario di Psicologia delle organizzazioni all’Università di Milano-Bicocca e presidente YANI;
Barbara Biscotti, docente universitaria di Storia dei diritti dell’antichità all’Università di Milano-Bicocca, insegnante yoga e membro del Consiglio direttivo della YANI.