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860. Diritto e Lavoro: rischio estinzione

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Il primo Articolo della Costituzione recita “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Anche l’Articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”.

Si tratta di realtà tradite dalla politica che rivelano il profondo degrado di una democrazia estromessa dalla centralità della discussione politica, ridotta ai ritornelli della mediocrità, agli spot degli incompetenti della comunicazione, alla pochezza degli incompiuti di Stato, ecc..
I giovani sono stati privati della cultura del Lavoro fino al punto che non sanno nemmeno di aver diritto a dei “diritti sul Lavoro”. La cultura dominante destrutturata dei valori e dei principi fondamentali non permette ai giovani di essere consapevoli di aver diritto ad una dignità morale e ad una dignità economica. Non si rendono conto di aver diritto a non essere offesi, umiliati nelle vesti di disoccupati o di lavoratori neofiti in quanto persone giuridiche facenti parte, a tutti gli effetti, dell’apparato dello Stato di diritto. Non deve essere solo una nozione acquisita, memorizzata ma consapevolizzata e attualizzata. La consapevolezza dei diritti, specie sul Lavoro e sul reddito dignitoso, è di grande importanza specie per la consapevolezza dei doveri che tutti dovrebbero avere per il corretto funzionamento della società.

La politica è sopraffatta, sempre di più, dal male epocale, la patologia del leaderismo e della verticalità del potere. La politica è arroccata su una spessa ipocrisia che mentre grida a gran voce “diritti ai cittadini” tradisce, mediante interessi trasversali, il popolo sovrano e la Costituzione. Come si fa, oggi, a non proporre seriamente un progetto politico di necessità fondato sul “Diritto di avere diritti”? Perché non spingere davvero al cambiamento di egemonia nel sistema politico?
I “governi” non possono essere diventati un dispositivo di forza contro i deboli e un dispositivo di debolezza verso i forti, per favorire più facilmente una organizzata volontà sovranazionale. L’antico “divide et impera” attualizzato non può essere tollerato. È inaccettabile.

È inaudito il livello diffuso di disuguaglianze raggiunto e che si sia venuta a creare la condizione assurda in cui la concezione paritaria raggiunta, dopo lotte infinite, tra lavoratore e datore di lavoro (padrone) si sia distrutta-differenziata. Assurdo che il bisogno di lavorare renda debole e dipendente (ricattabile e minacciabile) chi lo cerca e invece molto forte (troppo) chi il Lavoro lo dà. Innaturale è la condizione che costringe quasi tutti coloro che hanno bisogno-cercano lavoro di non poter scegliere liberamente, anche secondo le proprie qualificazioni, ed accettare invece anche tra le peggiori condizioni, pur di averlo un lavoro per vivere.
Non ci sono più tutele, non ci sono più validi mediatori, negoziatori, tra il datore di lavoro e il lavoratore, non ci sono più politiche ben intenzionate a risolvere questa oscurità calata sul mondo del lavoro. Non c’è più una cultura del lavoro e dei diritti e dei doveri del lavoratore.
I Diritti erano, e dovrebbero essere ancora, gli strumenti luminosi che affermano non la supremazia di una delle due parti (lavoratore o datore di lavoro) ma il giusto e sano rapporto che dovrebbe intercorrere tra le due parti. I Diritti formano un cartello distinguibile e comprensibile da tutti perché tutti abbiano chiaro il fatto che:

il Lavoro non è sfruttamento”,
il Lavoro non è minaccia e ricatto”,
il Lavoro non è uno strumento di assoggettamento alla schiavitù”,
il Lavoro non è un privilegio e non può essere soggetto al merito”,
il Lavoratore non è proprietà del datore di lavoro”,
il Lavoratore è una persona e come tale deve essere trattata e non come una bestia da soma”.

Una lunga storia dei Diritti precede questa epoca di rischio caduta in un nuovo oscuro medioevo: i Diritti si sono conquistati lentamente ad un prezzo altissimo: con la violenza, con i morti, con la fame nera.

Oggi vengono offerti spesso lavori senza alcuna considerazione per la persona umana e lo dicono i tanti morti sul lavoro degli ultimi anni: troppe morti per stanchezza, disattenzione, per mancato rispetto dei parametri indicati dalla legge sulla sicurezza sul lavoro, per troppe condizioni di lavoro impossibili, per troppo stress da preoccupazione del lavoratore ogni giorno minacciato e ricattato sul posto di lavoro.

Uno dei segni evidenti della volontà di sottrarre sempre più diritti è il tentativo subdolo di ostacolare, in ogni modo, fino a dissuadere la maggior parte dei lavoratori, il legittimo diritto allo sciopero (fino ad impedirlo quasi per legge), scardinandone la cultura democratica sviluppatasi in almeno 150 anni, facendo credere ai giovani di oggi che lo sciopero sia illegale e un atto punibile anziché una conquista democratica per tutte le parti sociali. Oggi, infatti, alcune piccole aziende o società licenziano impropriamente chi sciopera, senza che nessuna autorità dello Stato lo impedisca. Lo sciopero non è il rifiutarsi illogico di lavorare, ma è una forma democratica di comunicazione nei confronti di chi disascolta le ragioni di protesta dei lavoratori, un modo per ottenere un confronto con chi arrogantemente lo rifiuta. È anche un sacrificio che spera nel cambiamento, nel miglioramento delle condizioni in cui i lavoratori versano (gli vengono tolti, d’altronde, i soldi, dal salario-stipendio, delle ore non lavorate).
Ciò che accadde il primo maggio del 1947, a Portella della Ginestra (Sicilia), non dovrebbe più accadere, non bisognerebbe più permetterlo: fecero sparare contro i lavoratori che manifestavano (11 i morti, tra cui due bambini). Chi lo volle? Chi lo fece? Ecco l’importanza della memoria storica ai fini di una piena consapevolezza della cultura dei diritti e del lavoro. Il “sistema della paura” è sempre quello adoperato da chi non vuole una vera democrazia.

Hanno messo mano sul Lavoro in generale: il “Lavoro Dipendente” che è sempre più dipendente (al limite della schiavizzazione); il “Lavoro Autonomo” che è sempre meno autonomo.
La cosa più insidiosa che hanno fatto nell’oggi, per fini incomprensibili ai più, è aver tolto al Lavoro il “Valore” che merita e il rispetto e la dignità per chi lo svolge.

Non è un atto di buon senso che, nella critica situazione generale venutasi a creare, i Lavoratori richiedano e rivendichino la Tutela del loro Lavoro, come dice la Costituzione? Che vengano meno le disuguaglianze non dovrebbe essere cosa auspicabile da tutti?
Una rettifica culturale si reputa necessaria: i datori di lavoro, senza nulla togliergli, e con tutto il rispetto che meritano, dovrebbero sentirsi, comportarsi, comunicare meno da “Padroni” (si tratta di correggere un improprio, non umano, modello mentale, una inconsapevole “devianza”). Sono, infatti, i modelli mentali scelti che condizionano le risposte comportamentali e comunicazionali degli individui-cittadini-lavoratori-datori di lavoro.

Il Lavoro nella società è ciò che la regola per funzionare bene per tutti. La luce al mattino sorge per tutti (disoccupati, precari, lavoratori dipendenti, datori di lavoro, lavoratori autonomi, ricchi e poveri) senza distinzione alcuna.
Il Lavoro (di Lavoratore e di Datore di lavoro) è una attività utile svolta nelle diverse “parti” che costituiscono la società di tutti. Il Lavoro svolto bene, senza conflitti, dà ottimi risultati. Perché voler togliere “Valore” al Lavoro per convenienza di una qualche “forza” che non ha il coraggio di mostrare la sua vera faccia e il suo vero diabolico intento? Si tratta forse di una “forza” che vuole imporsi come “Padrone” di tutti, a livello mondiale?

Il tipo di valore lasciato oggigiorno al Lavoro rimasto non è quello dato dall’utilità e dall’importanza che ha per tutti nella società, ma dall’egoistica convenienza di parte (di pochi): un valore dato solo dalla “Quantità di lavoro offerta” e dalla “Quantità” di lavoro domandata”.
La “lente”, con la quale costringono a guardare le cose, è quella dei Mercati (come fossero degli dèi al di sopra di tutti) che azzittisce qualsiasi forma di dialogo, di visione altra. Solo la Visione-Padrona sembra contare, correlata alla sola imposta legge del profitto. Nient’altro sembra contare. Le persone non sembrano contare più, non sembra abbiano più alcun valore. I padroni guardano ai Robot in arrivo.

La condizione che hanno strategicamente creata è quella in cui risulta, a livello generale, che esiste una “domanda alta” (gli acquirenti bisognosi) e, vista la crisi perenne, una “offerta bassa” (i venditori bisognosi in crisi): situazione in cui risulterà ovvio per chi vende che possa fare qualunque prezzo. Il profitto è assicurato. Il problema è di chi non può permettersi acquisti alti. Per questi vige un’altra strategia.
Un esempio è quello del Made in Italy nel mondo delle grandi firme: la ruota si fa girare non basandosi sulla “qualità”, ma sul risparmio a ogni costo con la delocalizzazione. La politica, è evidente, ha distrutto il Mercato del Lavoro (come servizio al potere sovranazionale, che non si poteva rifiutare), comprese l’eticità, la moralità e l’onestà, favorendo l’inaccettabile avidità della maggior parte degli imprenditori italiani che foraggiano i vari singoli politici, o partiti o fondazioni create ad hoc.

C’è stato un tempo in cui si spiavano gli operai e/o gli impiegati, i sindacalisti e i militanti di sinistra: addirittura venivano schedati (60.000 individui discriminati alla Fiat negli anni ’60; 350.000 negli anni ’70). Se non viene ostacolato l’odierno rischio di un nuovo oscuro medioevo del lavoro, le cose potrebbero mettersi molto peggio di un tempo.
L’insinuarsi “di un certo pensiero”, che prende forma nel “controllo a distanza” messo da Renzi nel Jobs Act; nei “braccialetti” di controllo del lavoratore giustificati come sicurezza e facilitazione delle attività, tentati da Amazon; nelle “impronte digitali” da rilevare al lavoratore con il pretesto di individuare i furbetti dell’assenteismo, proposta dell’attuale ministro Bongiorno del governo Salvini-Di Maio-Conte (Lega-M5S); nell’inserimento di un “cip sottocutaneo”, un pensiero idealizzato che terrebbe, realizzandolo, sottocontrollo la persona-cittadino-lavoratore ventiquattrore al giorno; un pensiero pericoloso che sa di autoritarismo, affluente possibile di una dittatura mondiale emergente. Sarebbe una realizzazione diabolica.

Può mai perdere valore, lungo il tempo della storia di un Paese, ciò che ha rappresentato concretamente, dopo secoli, lo strumento di progresso e di avanzamento della classe lavoratrice, “parte” cardine per la costruzione di uno stato sociale, il binomio “Diritto-Lavoro”? È la soddisfazione dei bisogni di tutti che una vera polis dovrebbe perseguire, costruire per andare verso una tale idealità realizzabile. La cultura dei diritti e del lavoro, in una società democratica, è indispensabile, è fondamentale perché non si perda mai la consapevolezza conquistata del “Diritto” e del “Lavoro”. Più che mai necessaria oggi, con i molti tentativi di cancellazione della Costituzione e di destrutturazione della cultura storica che racconta la sofferenza di milioni di uomini, onesti, coraggiosi, altruisti e risoluti ad ottenere, per tutti, una giusta ed equa conformazione della società, con un elevato senso delle istituzioni, con una alta visione delle norme per scelte di valore e per azioni politiche etiche, idonee a determinare l’indispensabile cambiamento.

Necessita riproporre la cultura del “Diritto” e del “Lavoro”, ma occorre anche rifondare l’intera classe dirigente in cui mancano del tutto leader etici ed una visione unitaria della società.

È così difficile comprendere che il “Diritto al lavoro” conviene a tutti, così come conviene estromettere gli egoismi (gli affarismi personali dei politici) nella gestione della cosa pubblica?
Il buon senso dice che ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta di un impiego, ad un dignitoso reddito, alla protezione contro la disoccupazione: tutti principi espressi nella Costituzione che è la legge fondamentale che dà carattere alla nazione, che funge da guida della vita del Paese (i principi ai quali si devono attenere sia i cittadini sia coloro che governano).
Perché nello stesso Paese in cui molti vivono da benestanti, altri da veri ricchi, molti altri un lavoro non lo hanno, non lo trovano, perché non glielo danno, non glielo creano? Altri ancora, invece, un lavoro lo hanno ma nella triste condizione di uno sfruttamento, pagato oltretutto molto poco. Esistono situazioni in cui lo stesso lavoro per alcuni viene ben pagato e per altri pagato molto meno.

L’Italia è una. La nazione italiana è una. Il popolo italiano è uno. Ci hanno detto e ci dicono ancora a parole che l’Italia è unita. Gli interessi degli italiani vertono naturalmente verso una direzione unitaria, per generale necessità. Perché allora frammentarsi nei vari partiti che non rappresentano più nessuno veramente? Tutti parlano bene e razzolano male: riflettono egoismi di ogni ordine e grado. Ogni volta che occupano un governo fanno l’opposto di quanto promesso o cose diverse da come le hanno dette: sembrano sempre azionati contro gli interessi dei cittadini italiani, senza mai risolvere i problemi fondamentali che riguardano la maggioranza (lavoro, tasse, pensioni, ecc.)? Perché gli italiani non si lasciano coinvolgere, visto il disastroso stato attuale, in una iniziativa unitaria, libera dai partiti, che esprima una forte richiesta di massa, ispirata ai principi costituzionali e ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani?

Bisognerebbe ricreare la possibilità di poter raccontare di nuovo belle storie che ispirino una vita di diritti, di libertà, di dignità, di valori irrinunciabili per una umanità più illuminata e più felice.

Un popolo coalizzato (una unità consapevole organizzata e non una massa) in forze collocate diversamente secondo le istanze democratiche di tutti: un progetto politico fondato sul ripristino del Diritto di avere diritti per tracciare strade nuove, migliori di quelle del presente, che hanno corrotto. Magari intervenendo, per cancellare il pareggio di bilancio introdotto nell’Articolo 81 della Costituzione, un obbrobrio del governo Monti che ha favorito il blocco dell’economia e del Lavoro (espressione di una infelice visione neo-totalitaria).
La Costituzione, come un faro o una lanterna, per camminare nella notte buia senza luna della nazione, aspettando unitariamente l’alba di un nuovo giorno luminoso italiano.

 

Consigliati
I miei primi Primo Maggio, Landini-Romagnoli, Editore l’io e il mondo di tj
Dove i diritti umani non esistono più, M. Simoncelli (curatore), Editore Ediesse
Vivere la Democrazia, Stefano Rodotà, Laterza
Il diritto di avere diritti, Stefano Rodotà, Laterza
Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Stefano Rodotà, Laterza
L’età dei diritti, Norberto Bobbio, Einaudi
Storia dei diritti umani, Marcello Flores, Il Mulino
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Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Zagrebelsky-Chenal-Tomasi, Il Mulino
Diritto dei lavori e dell’occupazione, Giuseppe Santoro Passarelli, Editore Giappichelli
La cessione d’azienda e i diritti dei lavoratori, Giampaolo Perdonà, Editore Giuffrè
La dismissione dei diritti del lavoratore Art. 2113, Pasqualino Albi, Editore Giuffrè
Diritto dei contratti di lavoro, Giuseppe Ferraro, Il Mulino
Il Lavoro ATA. Diritti e doveri, Stefania Chiodi, Edizioni Conoscenza
Sul diritto e sul lavoro, Antonio Di Stasi, Affinità Elettive Edizioni
www.rivistalabor.it

Evento 1:
Il 28 giugno 2018, ore 17, nella Sala Lauree della Facoltà di Giurisprudenza (La Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Scienze Giuridiche) vi sarà la presentazione del volume di Stefano Rodotà “Vivere la Democrazia”, Edito da Laterza, Bari-Roma, 2018. Interverranno i professori Alpa del Prato, Azzariti, Pinelli e Preterossi: presiederà il prof. Rescigno.
L’iniziativa rientra tra quelle promosse nell’ambito del Dottorato di ricerca in “Autonomia privata, impresa, lavoro e tutela dei diritti nella prospettiva europea e internazionale e del Master in Diritto privato europeo”.

Evento 2:
La Fiom, su iniziativa di Gabriele Polo, il 29 giugno 2018 a Roma, si riunirà per discutere delle battaglie di Stefano Rodotà per i diritti dei lavoratori. La politica sarà la grande assente.

 

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