Le Upanishad costituiscono alcuni dei più importanti libri sacri dell’India antica.
Il termine sanscrito indica le sessioni (shad) che i discepoli effettuavano ai piedi (upani) dei Maestri di Saggezza (Rishi), capaci di introdurli alla Conoscenza (vidya), liberandoli dall’ignoranza (avidya) e dall’illusione (maya) che accomuna tutti coloro che sono immersi nell’onda del divenire e della corrente temporale (kalachacra), prigionieri del ciclo di nascite e morti.
Tali insegnamenti sono conosciuti anche col nome di Vedanta, perché rappresentano la conclusione dei Veda, le più antiche dottrine dell’induismo.
Il termine Veda contiene la radice sanscrita “vid” che, come nel latino video e nel germanico wissen, indica la capacità di vedere oltre il velo dell’illusione cosmica. Pertanto gli insegnamenti dei rishi non sono frutto di opinioni personali soggette a errore o passibili di revisione, appunto perché ricavate da una visione diretta della Realtà.
Una delle Upanishad più antiche è la Brhad Aranyaka Upanishad, cioè il Grande (Brhad) Breviario Meditativo (Aranyaka) per gli Asceti della foresta (Aranya).
Essa si ricollega per argomento e contenuto al terzo Veda, lo Yayur Veda, un formulario magico-sacrificale usato nei riti religiosi.
Nel secondo brahmana, una delle componenti in cui è suddivisa la sopracitata Upanishad, si parla del dio Mrtyu, definito dio sia della “morte” sia della “fame”, in quanto non solo delegato a riassorbire un cosmo nel cosiddetto pralaya alla fine di una manifestazione universale, ma anche desideroso di riprodurla in un successivo e più perfetto manvantara, in una serie infinita di cicli spazio-temporali in cui si consuma l’evoluzione degli esseri appartenenti a tutti i regni della Natura.
Il dio Mrtyu, pertanto, è l’equivalente del Demiurgo occidentale o del Brahma orientale, ambedue ipostasi dell’indicibile e sconosciuto Uno-Tutto-Assoluto o Parabrahman.
Per creare l’Universo il dio si serve del Suono primordiale (Om o Aum), in cui imprime la sua energia, sacrificandosi e rischiando di estinguersi.
Pertanto è necessario che le creature, sia umane sia appartenenti ai regni biologici inferiori, contribuiscano con la musica e col canto, con i suoni più diversi, e sacrificando anch’esse, a ricambiare il sacrificio del dio, per nutrirlo, mantenerlo in vita e, con lui, mantenere in vita tutta la manifestazione.
Ecco perché nei riti religiosi o nelle operazioni magiche occorre il supporto della musica e del canto. È per questo che nel rito vedico assume un ruolo di grande importanza la figura dell’ugatar o cantore, che affianca il sacerdote officiante.
I suoni più diversi che sopravvivono nella materia, con la voce umana, i versi degli animali, il tuono, il soffio del vento, il fragore delle onde, rivelano come la manifestazione non sia mai del tutto scissa dall’Origine divina da cui promana, appunto perché conserva l’elemento sonoro emanato dal dio-demiurgo.
In tal modo si esclude la possibilità di produrre un dualismo tra cielo e terra, tra materia e spirito, tra corpo e anima.
Il Divino permea così sempre e dovunque la creazione, permettendo una reintegrazione nell’Origine.
Non tutta la musica può dirsi equivalente. Infatti, si può distinguere quella cosiddetta “alta”, caratterizzata da suoni più acuti, da quella “bassa” dai toni gravi, come quelli prodotti dal tamburo. Anche quest’ultima non va condannata, perché occorre considerare l’intenzione e la destinazione della musica e del canto, se sia diretto alle divinità olimpiche o infere, se sia cioè capace di suscitare idee ed emozioni elevate o di tipo profano.
In ogni caso, tutto si concilia e si armonizza nell’Origine che contiene in sé ogni tipo di energia, di forza, di espressione possibile nella suprema sintesi dell’Uno-Tutto-Assoluto, in cui vige il principio non razionalizzabile della coicidentia oppositorum, la coincidenza degli opposti.
Se il sacro Suono creatore – detto anche la Parola, il Verbo – è l’OM o AUM, il suono contrario è MUA, il verso della mucca, la vacca che è venerata come sacra e intoccabile perché col suo muggito sembra riportare la creazione all’Origine, con un processo inverso di Ritorno o Reintegrazione di tutte le cose alla loro Causa Prima.
Per concludere, si è detto che questa prima Upanishad è la più antica e tratta della manifestazione dell’Universo, proprio come avviene nella Cosmogenesi, che costituisce la prima parte de La Dottrina Segreta di H.P.B., ricalcata sulle Stanze di Dzyan, il misterioso testo antidiluviano. Lo stesso argomento si ritrova nel primo Inno del Rig Veda.
Pertanto vengono a cadere tutte le accuse di neospiritualismo spurio mosse nei confronti della Teosofia, la quale non fa altro che riprendere le antiche dottrine orientali per portarle in un Occidente dissacrato che rischiava di arenarsi nelle secche del positivismo filosofico, nello scientismo e nelle sabbie mobili del dogmatismo teologico.
Alfredo Stirati
tratto dalla Rivista Italiana di Teosofia
Anno LXXIV N. 8-9 Agosto-Settembre 2018
Alfredo Stirati è socio indipendente della S.T.I.
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