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911. Un momento fatale: la morte

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La morte è un dramma dal punto di vista umano, tutt’altro dal punto di vista spirituale. L’esperienza della morte si trasforma sempre in una crisi, sia per coloro che sperimentano la perdita di una persona cara sia per la persona stessa che muore.
La morte è, in realtà, il passaggio dalla condizione di “spirito-anima incarnato” alla condizione di “spirito-anima disincarnato”.
Il tipo di crisi, come conseguenza di una morte, dipende sempre dal livello di evoluzione raggiunto, cioè dalla “posizione coscienziale” manifestata nell’esperienza di vita, ma anche dal tipo di morte subìto dalla persona.
Il livello di evoluzione spirituale che si intende non è quello indicato dal livello culturale raggiunto (cioè dalla quantità di informazioni che coinvolgono la memoria), ma il livello e grado di consapevolezza raggiunto riguardo alla percezione della realtà del mondo spirituale.
Durante la vita l’individuo ha molteplici occasioni, mediante il proprio comportamento, di dimostrare il proprio livello di coscienza. Il livello di coscienza significa anche livello di conoscenza raggiunto, che si manifesta più sul piano inconscio che su quello conscio, che stabilisce il grado di maturità per ciò che potrà accadere dopo la morte.
Le tante, e più diverse, esperienze nella vita si dimostrano sempre una vera e propria preparazione per la vita spirituale dopo la morte.
È fondamentale lo stadio in cui lo “spirito-anima incarnato” non ha ancora la certezza della continuità dell’esistenza al di là della morte ma la presuppone, la intuisce. In questo stadio si sviluppano tutti i presupposti per i futuri risvegli spirituali degli stati di coscienza superiori. In tale stadio può cominciare a riunire tutti gli elementi necessari per imbattersi nell’indispensabile “Via verticale” e abbandonare la profana “Via orizzontale”.
La consapevolezza della realtà spirituale, che non cede ad alcun dubbio, si acquisisce nel corso delle molte vite, insieme ad un graduale distacco dalle cose, compresi i legami terreni. La vera consapevolezza spirituale contrasta con la natura materiale-biologica e psicologica del proprio “sistema mente-corpo”: la radicata natura umana materiale tenta sempre di imporsi. All’interno di ogni essere umano vive una lotta continua tra le forze materiali dell’autoconservazione e le forze dello spirito-anima che conosce la realtà spirituale ma non la manifesta alla mente empirica.
Solo per pochi si può parlare di un senso di liberazione dalla costrizione della vita fisica in prossimità dell’evento “morte”. I più vivono la drammaticità della crisi riguardo alla morte.
Il momento del trapasso fa provare, al morente, un grande senso di separazione, seguito da uno stato di confusione che richiede del tempo per mitigarsi. Lo “spirito-anima disincarnato” si ritrova fuori del proprio corpo fisico grossolano e osserva ogni cosa, con un certo senso di lontananza, mediante il suo corpo sottile (corpo astrale di energia luminosa). Sperimenta un senso di leggerezza dato dal superamento dei limiti corporei che non lo condizionano più, si rende conto della differenza della sua condizione attuale e vive, vedendo e ascoltando, la realtà in cui ha vissuto con sbigottimento. Osserva e riflette con dinamiche diverse da quelle di quando lo faceva tramite il metro del suo cervello, si rende conto di utilizzare una visione interna.
Il tipo di morte subìta condiziona l’evento ma resta determinante il livello di coscienza spirituale raggiunto. Una morte improvvisa (incidente, malattia fulminante imprevista, suicidio, omicidio, ecc.) può ripercuotersi sulla condizione esistenziale di disincarnato. Il disincarnato prima si rende conto di quanto è accaduto e meglio è per poter affrontare la nuova situazione. Le forti impressioni provocate dalla drammaticità dell’evento, che ha causato la morte, permangono nella sua mente perché essa è un costituente del suo corpo sottile e se queste impressioni non vengono smorzate, riassorbite, lasciano una cristallizzazione condizionante per la vita da disincarnato e per la futura incarnazione, la rinascita che lo aspetta.
Una morte che avviene mediante il lungo processo di una malattia, nonostante le eventuali sofferenze fisiche e psicologiche, inciderà diversamente sulla sostanza mentale che il disincarnato porta con nel corpo sottile.
Resta fondamentale, comunque, il livello di coscienza spirituale raggiunto in vita dallo spirito-anima nelle vesti del corpo-personaggio che rappresentava.
Fattori come un credo religioso o una visione materialista incidono fortemente nell’esperienza post-mortem del disincarnato, portandolo a confrontarsi, per un periodo più o meno lungo, con la proiezione mentale del proprio credo, proiezione che fa da velo al reale ambiente esistenziale in cui invece si trova.
Uno “spirito-anima disincarnato”, che versa nello stato offuscato del post-mortem, prendendo per reale l’ambito in cui crede di stare (ambito proiettato dai contenuti della propria mente), in una eventuale comunicazione reale con un vivente sarà in grado di fare solo una descrizione soggettiva di quanto crede di vedere-sentire. La configurazione che racconterà sarà il frutto dei veli illusori che lo condizionano ancora e che lo separano dal reale ambito spirituale esistenziale. In tale stato e condizione può sperimentare le più svariate sensazioni, tutte provocate dallo stato illusorio in cui versa, di là a poco dall’esperienza del post-mortem. Sensazioni che possono andare dall’ansia alla preoccupazione, dalla paura al terrore, dalla serenità allo stato di eccitazione gioioso, dalla curiosità morbosa alla voglia di approfondimento conoscitivo. Queste sensazioni si sperimentano all’interno del corpo sottile dove risiedono la mente e il corpo di energia-luce che in vita era collegato al corpo fisico grossolano. Se lo stato di confusione viene superato facilmente il disincarnato avrà la giusta lucidità per osservare il proprio corpo fisico morto, persone e luoghi ad esso vicini e addirittura la funzione religiosa o laica e l’atto del seppellimento. In tali momenti, o anche dopo, lo stato d’animo del disincarnato riesce a provocare dei segni di sé che però non tutti riescono a cogliere e comprendere (segni chiamati “manifestazioni paranormali). È il pensiero del disincarnato, ancora pregno di terrestrità, che riesce a proiettare energia verso l’ambiente lasciato. Alcuni fenomeni si manifestano entro le 48 ore dalla morte, altri nell’arco dei successivi mesi.
Nel periodo successivo alla morte, che varia da soggetto a soggetto, avviene una specie di immersione in uno “stato di sogno” in cui il disincarnato sperimenta una visione-sogno retrospettiva della propria vita umana appena lasciata.
A questo stadio segue quello di una specie di auto-giudizio che determinerà la nuova via da intraprendere, dal punto di vista spirituale, in vista della futura rinascita: tutto si muove in funzione del progresso spirituale dello spirito-anima.
In alcuni casi lo spirito-anima deve dimenticare i forti legami intrattenuti in qualità di corpo-personaggio in vita e questo per privilegiare la conoscenza di sé, della Realtà e, ovviamente, di Dio. Il corpo sottile (corpo astrale) segue lo spirito-anima oltre la morte fisica, lo segue lungo tutte le varie nascite-vite-morti-rinascite, fino alla soluzione finale, la Liberazione dalla necessità reincarnazionistica, di ulteriori rinascite.
Non bisogna dimenticare che tutti, sul piano fisico grossolano, sono corpi-personaggi provvisori mentre, sul piano della realtà senza veli, degli spiriti-anime.
Nel corpo sottile resta, nella sua sostanza mentale, a livello di impressioni subconscie, tutto ciò che ha riguardato il corpo-personaggio in vita. La mente, se correttamente compresa ed utilizzata nelle sue quattro funzioni, può considerarsi la parte materiata dello spirito-anima. Dal buon uso in vita della mente dipende il sicuro sviluppo del livello evolutivo. La stessa mente, malamente usata, può risultare molto distruttiva, essere causa di processi involutivi. Si tratta, quindi, di operare per trasformare la mente da umana e limitata a spirituale divina e illimitata, mentre si è incarnati. La mente ha quattro funzioni: la mente empirica selettiva; la mente subconscia (mente proiettiva); l’intelletto dell’illuminazione, della percezione intuitiva o discernimento immediato, della conoscenza diretta; l’ego (il “senso dell’io” del corpo-personaggio in vita). La mente opera con i pensieri, le idee, i concetti, le qualità, le virtù, l’intelligenza e così quanto riesce a svolgere stabilisce il tipo e il valore dell’evoluzione che manifesta.
Lo “spirito-anima incarnato” se avvia un processo di autorealizzazione in vita, con una coscienza sempre più ampia e profonda, la sua condizione, dopo il post-mortem, assume un carattere del tutto spirituale che lo connette più facilmente sulla strada giusta verso la Realtà.

Il disincarnato, dopo il post-mortem, si ritrova ad attraversare le varie fasi di necessità richieste dalla nuova condizione in cui è venuto a trovarsi, e tra queste quella di compiere la sintesi della propria esistenza, una fase fondamentale per proseguire.
Ogni fase richiede il suo tempo che non è uguale per tutti, queste fasi non hanno regole rigide ma seguono la soggettività di ognuno.
Coloro che hanno cristallizzato sensazioni, emozioni, sentimenti e idee, per un sofferente travaglio, devono faticare maggiormente per liberarsi dell’agglomerato psichico che si è venuto a creare. Sono gli attaccamenti emozionali e mentali alle cose materiali e ai legami affettivi che creano l’ostacolante agglomerato psichico: per questo la Saggezza eterna invita a vivere nel mondo con distacco ma tenendo in considerazione i valori universali con i quali misurare ogni esperienza incontrata lungo i propri passi.
La crisi della morte assume una veste purificatrice, agisce per eliminare i condizionamenti che impediscono di riconoscersi essere spirituale (anziché corpo-personaggio) e far brillare nuovamente la Luce parzialmente oscuratasi.
Conoscere sé stessi deve significare comprendere, senza confondere, un’emozione da un sentimento, un sentimento dal sentimentalismo (l’elemento più dannoso del percepire errato di un processo mentale).
Il disincarnato guarda, al mondo materiale che ha lasciato, come attraverso un diaframma trasparente ma con il quale non può più interagire.

Il trapassato, il disincarnato risiede, quindi, dopo la morte del corpo fisico grossolano, nel corpo sottile, il corpo fatto di energia luminosa, comprensivo della mente e in esso, attraverso le esperienze di crisi, ritrovare un livello di consapevolezza, necessario questo per il conseguente passaggio evolutivo o per una stasi involutiva.
Per questo in vita, lo “spirito-anima incarnato”, dovrebbe dedicarsi ai più alti livelli di esperienza umana per risvegliare i più alti livelli di coscienza spirituale.
Ai piani alti della consapevolezza spirituale bisogna abbandonare anche la ricerca conoscitiva, quella riguardante il “momento” che avrebbe dato inizio all’Universo (la ricerca di quell’attimo in cui si è sempre pensato che Dio abbia dato inizio a Tutto).  È fondamentale la realizzazione della più alta forma di “distacco” dal principio di tutte le cose, come già avvenuto, nei livelli di consapevolezza inferiore, con il distacco dall’attaccamento fisico, emozionale, psichico e mentale con le cose e con i legami delle varie forme di rapporti umani.
La vera evoluzione spirituale porta una Saggezza grandissima, ma porta anche un cambiamento inimmaginabile.

Uno “spirito-anima incarnato” è sempre, e comunque, uno “spirito-anima reincarnato” più volte nell’esistenza materiale. Esso, ogni volta, ha la possibilità di sperimentare il sensibile attraverso molteplici modi di reazione e di comportamento per spingere in avanti, e in alto, la propria evoluzione spirituale.
Ogni spirito-anima quando è incarnato vela, in sé, la propria natura spirituale divina ed anche tutta la memoria delle esperienze fatte precedentemente, sia quelle terrene sia quelle proprie all’ambiente spirituale: il velamento individuale confina, nelle profondità dell’inconscio, tutto il patrimonio esperienziale. Il cervello fisico prende dalla mente ciò che serve nella sua vita attuale per svolgere il suo ruolo nell’esperienza terrena, estraendone l’idea di evoluzione necessaria che si traduce in comportamenti ed in modi di essere. Il cervello fisico in sé non può ricordare contenuti che non possiede: può ricordare solo in presenza di una qualche forma di risveglio che, usando il cervello come dispositivo di connessione, può attingere i contenuti necessari dalla mente subconscia individuale o dalla mente inconscia universale.

Tutti dovrebbero sapere, e mai dimenticare, che l’essere umano, cioè l’”Idea dell’Uomo” (nome-forma), è una manifestazione temporanea (mortale), si potrebbe dire di passaggio, dello spirito-anima (infinito-eterno-immortale).

 

Letture consigliate

Edizioni Teosofiche Italiane
Cenni sulla morte, A. Besant-C.W.Leadbeater
La morte … e poi?, A. Besant
La reincarnazione, E. Bratina

Edizioni Mediterranee
La morte e la vita dopo la morte, Elisabeth Kubler-Rosse
Il mistero della morte, K. Singh
Il libro dei morti degli antichi egizi, De Rachewiltz Boris
Esperienze fuori dal corp (O.B.E.), Giorgio Di Simone

Editore Armenia
Le prove scientifiche della vita dopo la morte, Grant Solomon
Impara a vivere, impara a morire, Elisabeth Kubler-Ross

Neri Pozza
Il sonno, il sogno, la morte, Dalai Lama
Il libro dei morti, R.A.F. Thurman

Edizioni Bocca
I morti ritornano, E. Bozzano

 

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