Per uno Yogi, per un esoterico, per un vero discepolo dello spirito è importante conoscere, comprendere, percepire e saper utilizzare il “prana”.
L’esoterismo insegna che non c’è una materia morta e una vivente, che la comune concezione della vita è deformata dal fatto che si presupponga che esista qualcosa senza vita. La vita permea ogni cosa, tutto è pieno di vita ma la sua percezione, di tutti gli aspetti della sua manifestazione, è condizionata dai limiti dei sensi dell’uomo ordinario, la presenza di molta vita è velata ai sensi umani comuni. Fortunatamente anche la scienza ha cominciato a indagare sul fatto che non esista alcuna materia morta e sta modificando radicalmente la propria visione.
L’esoterico sostiene che la Vita manifestata è “prana” e che il prana forma il substrato dell’universo.
L’intera manifestazione universale è permeata dal “prana” che sembra essere l’essenza del movimento stesso (movimento, vibrazioni e suono). La fisica moderna è in accordo con la visione esoterica del “prana”, che considera la realtà come formata da vibrazioni. Infatti, nella Teoria delle Stringhe, della fisica moderna, ogni Stringa è costituita dalle vibrazioni stesse, un puro movimento come nella visione vedica che contempla il “prana” (movimento, suono, parola e vibrazione sono la radice della creazione e di sostentamento dell’universo). La Stringa primaria sarebbe il suono Om (AUM).
Il “prana” è stato chiamato con nomi diversi da più culture: Prana, Chi o Ki, Apeiron di Anassimandro, Forza Forte di tutte le Forze di Ermete, Forza odica (anche Od) di von Reichenbach, Munia di Paracelso, Etere, Orgone di Reich, ecc..
Il “prana” alla sua fonte è Uno e incarna la totalità delle energie universali. Per questo viene identificato con Hiranyagarbha (il Germe d’Oro, l’Uovo cosmico) perché esiste a tutti i livelli della manifestazione universale (prakrti). Hiranyagarbha è la totalità sottile-energetica quale germe-garbha della totalità fisica-grossolana. Esso designa il piano formale sottile della manifestazione nell’ordine universale. Il “prana” cosmico onnipervadente è l’insieme di tutti i “prana” ed è, quindi, il Brahman, fonte del “prana” individuale.
Il “prana” sul piano fisico si manifesta come “Sa” nell’inspirazione e come “Ha” nell’espirazione: per questo si dice che un jiva (anima) recita sempre il supremo mantra “Ha-msa” (“So-Ham”).
Il “prana”, nella sua manifestazione più grossolana, è percepibile, con un minimo di sensibilità, a livello dei corpi fisici. Il “prana”, alla sua fonte, è attivato dal “purusa” (spirito-atman-paramatman-Brahman) e, quindi, rappresenta l’attività nel campo della prakrti (manifestazione universale), motivo per il quale viene identificato col “purusa” stesso. Il “prana” energizza il corpo fisico grossolano (sthulasarira) ma forma ed attiva anche il corpo sottile (lingasarira, corpo astrale). Il corpo sottile è quello che segue il jiva (anima individuale) nelle sue peregrinazioni esistenziali lungo il samsara (la catena di nascita-vita-morte-rinascita).
Il “prana” è, quindi, a buona ragione implicato nelle varie pratiche esoteriche, come ad esempio il pranayama e molte tecniche tantriche.
Le diverse pratiche, coinvolgenti funzionalità fisiologiche, non devono ingannare e, soprattutto, non devono far dimenticare il valore della fondamentale portata metafisica del “prana”. Il “prana” gioca a metà strada tra la materia e lo spirito, formando il substrato creativo dell’universo. Il suo aspetto più sottile è in stretta relazione con l’attività mentale, quindi può essere usato, tramite il pranayama, per conseguire il dominio della mente. Il “prana” viene anche chiamato “pranapati” (“Signore dei prana”) che sarebbe un epiteto di Hiranyagarbha.
Il termine sanscrito “prana” e composto da “pra” che significa “costante” e da “na” che significa “movimento”: ecco perché viene considerato il “soffio vitale” che ha dato origine e movimento costante all’universo.
Il “prana”, nella discesa nel mondo vitale dalla sua fonte, assume cinque specializzazioni impulsando determinati gruppi di organi fisici: prana, apana, vyana, udana e samana.
Il “prana” è presente secondo la sua interazione con i cinque elementi (tattva): terra, acqua, fuoco, aria ed etere. Ma prosegue la sua manifestazione nelle forme più grossolane di energia (meccanica, chimica, termica ed elettrica) per trasformare la materia.
La specializzazione “prana” nutre il corpo con energie attinte dall’elemento aria e corrisponde alla funzione respiratoria ed il suo colore è rosso brillante. La sua sede è la zona del cuore. È l’inspirazione che lo porta entro il corpo mentre l’espirazione è il consequenziale rilassamento dell’inspirare e del trattenere. È il “prana” che crea calore nel corpo, che fa circolare il sangue, che porta il cibo nello stomaco, che permette l’emissione di suoni.
La specializzazione “apana” riguarda la regione dell’ano e delle cosce fino ai piedi ed è collegato alla funzione escretoria, quindi elimina tutte le impurità del corpo. È legato all’elemento terra ed è di colore giallo con riflessi nero-blu. È di natura discendente, quindi attivato dalla espirazione. La sua funzione escretoria riguarda anche i succhi digestivi nell’intestino, l’emissione del seme nei rapporti sessuali e l’espulsione del feto al momento della nascita.
La specializzazione “samana” ha come zona d’azione lo spazio tra l’ombelico e il cuore ed il suo colore è bianco. La sua natura è di vayu (vento) fisso ed è legato all’elemento acqua. È collegato alle funzioni digestive e di assimilazione, regola l’equilibrio del corpo.
La specializzazione “udana” riguarda la zona della gola e il suo colore è bianco brillante da cui si dipartono raggi verdi e azzurri. Udana è un vayu fisso ed è collegato all’elemento aria. Ha una natura ascendente che dal centro della gola va verso l’alto, portandovi l’energia prodotta dal metabolismo.
La specializzazione “vyana” pervade l’intero corpo ed è collegato all’elemento etere-akasa; il suo colore è quello del cielo. Vyana agisce sulla circolazione e sulle funzioni vitali.
Una malattia subentra quando vengono trascurati gli aspetti fisico, sottile o mentale dell’essere. Alcune forme di “corto circuito” avvengono quando c’è una quantità di “prana” in eccesso in ida nadi, in pingala nadi o in entrambe. In una carenza di “prana”, invece, il voltaggio del corpo si abbassa e si presentano problemi nella funzionalità degli organi o dei sistemi. La salute è un delicatissimo gioco di equilibri e di armonie che venendo meno fanno alterare il “prana sakti”.
Il pranayama può sembrare di facile spiegazione quando lo si presenta come l’arte o la scienza di inalare, esalare e trattenere il respiro. Se si comprende l’importanza del “prana” si intuisce anche che dietro al respiro c’è molto di più. Modificare il movimento del respiro a volontà significa poter influenzare positivamente anche la salute e gli stati mentali ed emotivi. La respirazione-prana come funzione, involontaria e volontaria, è vista dall’esoterico come una chiave di accesso ad altri e superiori livelli di coscienza.
Il termine pranayama è indicativo in quanto composto da “prana”, la funzione respiratoria più l’energia vitale, e da “ayama”, la lunghezza ed estensione del respiro. Il pranayama indica, quindi, il controllo dell’estensione del respiro ma, soprattutto, l’assorbimento dell’energia cosmica intelligente, mediante dei ritmi e delle modalità di respirazione controllata, in sintonia con il flusso mentale.
Il corpo fisico grossolano (sthulasarira) non ha organi deputati ad assorbire e trasportare il prana: per tali funzioni c’è il corpo sottile (lingasarira, corpo astrale) che lo assorbe, lo trasforma e lo passa alle necessarie funzioni fisiologiche, mentali ed emotive.
Il corpo sottile è costituito da una massa pranica individualizzata, legata ad uno jiva (anima individuale). Il corpo sottile, anche se di natura energetica (ad un altissimo livello vibrazionale), è dotato di organi e sistemi propri e delle leggi che lo regolano.
Il corpo sottile è composto da canali (fatti sempre di sottilissimo prana specializzato) chiamati nadi, che costituiscono la “struttura”, l’intelaiatura del veicolo-corpo sottile-luminoso dell’essere individuato. Il jiva, infatti, nel sonno profondo si ritira nelle nadi in uno stato di quiete (si potrebbe dire anche di virtualità). Completano la “struttura” i cakra, i prana vayu e la misteriosa Kundalini. Il “prana “ circola attraverso le nadi che si possono paragonare alle vene dove scorre il sangue o ai nervi lungo i quali scorrono gli stimoli sensoriali. Le nadi formano, quindi, una fitta rete attraverso la quale il “prana” scorre, circola, attende alle sue funzioni. Parliamo di un sistema sottilissimo dove quelli che indichiamo come canali potrebbero dirsi più “linee di energia”.
Queste nadi hanno origine da un qualcosa che somiglia ad un uovo, chiamato kanda, tra il perineo e l’ombelico. Ricordiamo che il perineo è un insieme di muscoli e legamenti che sostengono l’utero, la vescica, il retto e tutti gli organi addominali; regola la chiusura e l’apertura degli sfinteri e della vagina, partecipa alla fase motoria dell’orgasmo, lavora con il diaframma nella respirazione. Questo kanda (“radice bulbosa”, una specie di nodo), invece, si trova a circa 30 centimetri sopra l’ano e si estende in tutte le direzioni per circa 10 centimetri. Kundalini dorme sopra kanda.
Viene detto dalla tradizione che queste nadi sono 72000, quelle principali sono dieci, ma le più importanti sono tre, disposte parallelamente alla colonna vertebrale.
Le tre più importanti nadi, che originano da kanda e arrivano alla testa, sono susumna, ida e pingala.
Susumna è la nadi principale situata all’interno della colonna vertebrale, nel midollo spinale ed è considerata il canale spirituale per eccellenza da tutte le tradizioni esoteriche, pur rivolgendosi ad essa con altri termini. Al suo interno scorre una corrente di energia ancora più sottile chiamata vajra nadi (vajra significa folgore) e all’interno di vajra ne scorre un’altra ancora più sottile chiamata chitrini.
Lungo susumna risiedono i cakra principali deputati alla consapevolezza spirituale. Alla base di susumna risiede Kundalini, dormiente nell’uomo ordinario e parzialmente risvegliata in un ente più evoluto rispetto alla media. Solo una attiva pratica spirituale può risvegliare completamente il suo fuoco ascendente portandolo fino al sahasraracakra (del supremo compimento), nel Brahmarandhra (nel capo).
Susumna è il fulcro di ogni evoluzione possibile, la sua attivazione è strettamente legata al risveglio di Kundalini e all’apertura dei vari cakra.
Pingala è la nadi che parte dal kanda, dal lato destro, salendo a spirale e toccando i sei cakra principali terminando nella narice destra. Qui il “prana” diviene un’energia dalla polarità positiva, solare, calda, attiva, collegata a tutto il lato destro del corpo e al lobo sinistro del cervello (favorendo concretezza, praticità, razionalità, analisi oggettiva).
Ida è la nadi che parte dal kanda, dal lato sinistro, salendo a spirale e toccando i sei cakra principali terminando nella narice sinistra. Qui il “prana” diviene un’energia dalla polarità negativa, lunare, fredda, passiva, collegata a tutto il lato sinistro del corpo e con il lobo destro del cervello (favorendo l’intuizione).
Le persone molto eccitabili dovrebbero dormire riposando sul fianco destro, attivando ida nadi; quelle troppo calme, con un lento metabolismo, dovrebbero dormire sul lato sinistro, attivando pingala nadi.
Mantenere in equilibrio ida e pingala significa stabilizzare la salute e restare in pace e in armonia. Con tale equilibrio prevale sattva guna, la qualità della purezza, della leggerezza, della luminosità, della conoscenza intuitiva, della spiritualità. Il sattva predomina nel veicolo della buddhi e si rapporta al piano causale. Susumna nadi si riesce ad attivare solo quando si saranno messi in equilibrio ida e pingala.
Moltissime sono le nadi che fanno scorrere il “prana” in tutto il “sistema vita” di un ente planetario, sistema comprensivo del suo aspetto fisico-grossolano e del suo aspetto sottile e molti sono i cakra, quali centri di energia e di evoluta consapevolezza, tutti in corrispondenza non solo di congiunzioni sottili di nadi (canali pranici) ma anche di centri nervosi, organi vitali e articolazioni.
I cakra possono trovarsi in tre tipi di condizioni: chiusi, attivi o risvegliati.
I cakra sono chiusi, inibiti perché, per un qualche motivo (anche di natura karmica), nell’area dei singoli cakra vi è ristagno di energia, influenzando l’intero sistema e condizionando le risposte comportamentali e comunicazionali dell’ente interessato. Sono attivi quando il flusso di energia è forte, ben caratterizzato e non sono presenti particolari motivi karmici. Sono risvegliati (a più livelli e grado di risveglio) quando nell’ente si sono maturate le condizioni per manifestare stati di coscienza dell’energia, avviandosi verso livelli di sviluppo spirituale mediante un sentiero realizzativo.
Nella pratica Yoga, e in quasi tutte le pratiche esoteriche, vengono presi in considerazione i cakra che risiedono lungo susumna nadi. Nelle pratiche esoteriche i cakra devono essere risvegliati o in procinto di risvegliarsi (cioè che hanno dato segni di risveglio e necessitano soltanto di qualche appropriato stimolo).
I cakra, quando sono risvegliati, è sufficiente rivolgervi la semplice attenzione per farvi affluire una grande quantità di “prana” e sperimentarvi stati di coscienza e di esperienza che vi corrispondono. Quando si fa affluire molto “prana” in un cakra questi si illumina maggiormente, influenzando l’intera aura, rivelando una particolare visione della realtà. Dopo il risveglio effettivo dei cakra appare al praticante, con incredibile evidenza, ciò che prima non riusciva a vedere: da risvegliato-illuminato riesce a vedere nel buio del mondo e in esso a sapersi muovere.
I cakra del risveglio spirituale, per ottenere il finale compimento, sono muladhara, svadhisthana, manipura, anahata, visuddha, ajna.
Il muladhara è il cakra di base o radice, dove risiede Kundalini dormiente, ed il suo elemento è la terra. È collocato nel plesso coccigeo, alla base della colonna vertebrale. Il punto di percezione di muladhara è, per gli uomini il perineo, per le donne la cervice. È correlato al sistema osseo, alle funzioni di assimilazione ed escrezione, alla parte posteriore delle gambe, al naso e l’olfatto e ai piedi e al camminare, all’apparato genitale, alle ghiandole endocrine surrenali, la vescica, l’ano e il retto.
La forza-divinità tutelare è Ganesa (Ganapati) che in esso risiede. Il suo colore è il rosso vivo. Il suo stato di coscienza è l’istinto di lotta vitale. Il suo bijamantra (suono-seme principiale) è Lam.
Lo svadhisthana è il cakra posto sopra e dietro gli organi genitali e il suo elemento è l’acqua. È correlato con gli organi riproduttivi, l’intestino crasso, reni, vescica urinaria, l’osso sacro, la zona lombare, e le funzioni di assorbimento energetico. È collegato alla lingua e al gusto, alle mani e al tatto.
Questo cakra è sede di tutti i samskara (impressioni e sensazioni). Il suo colore è arancio. Il suo stato di coscienza è l’istinto procreativo. Il suo bijamantra (suono-seme principiale) è Vam.
Il manipura è il cakra localizzato nel rachide dietro l’ombelico e il suo elemento è il fuoco. È correlato al plesso solare, al fegato, allo stomaco, alla colecisti, al pancreas, al duodeno e all’intestino tenue. È collegato con gli occhi e la funzione del vedere, anche all’ano e alla funzione di evacuare. Il suo colore è giallo dorato luminoso. Il suo stato di coscienza è la coscienza sensitiva.
Manipura è il cakra della forza fisica e materiale, il centro della volontà e del dinamismo. Con esso si può conseguire un senso di pace e di protezione dagli stati di paura. Il suo bijamantra (suono-seme principiale) è Ram.
Anahata è il cakra situato all’altezza del cuore fisico e il suo elemento è l’aria. È correlato al cuore, al timo, ai polmoni, alle braccia. È collegato alla pelle e al tatto, agli organi genitali e al piacere. Esotericamente è considerato l’organo d’azione degli organi genitali. Il suo stato di coscienza è la coscienza universale. Il suo colore è il verde.
Anahata è la sede del prana e del jivatman. In esso, con la meditazione, si può conseguire la conoscenza del passato, del presente e del futuro, la chiaroveggenza, la chiarudienza. Sempre in esso si può vincere l’ego-ahamkara e sviluppare l’amore e la compassione.
Il suo bijamantra (suono-seme principiale) è Yam.
Visuddha è il cakra all’altezza della tiroide e il suo elemento è l’etere-akasa. È direttamente collegato con i pollici, le caviglie, le ginocchia, le cosce, il perineo, i genitali, l’ombelico, il cuore, il collo, la gola, il palato, il naso, il punto mediano tra le sopracciglia, la fronte, la testa e il Brahmarandhra sul capo. È correlato con la tiroide, con gli apici dei polmoni, con le corde vocali, con la lingua e controlla la mimica facciale. È collegato alle orecchie e alla funzione di sentire, alla bocca e alla funzione del parlare.
Il suo stato di coscienza è la coscienza empirica. Il suo colore è blu-azzurro. Il suo bijamantra (suono-seme principiale) è Ham.
Ajna è il cakra che comanda su tutti gli altri cakra: un importante punto del corpo sottile ove è collocato il “Terzo Occhio” (l’occhio interiore della conoscenza liberatrice). In esso le nadi ida e pingala s’incontrano per l’ultima volta. La concentrazione e la meditazione in ajnacakra accelera qualsiasi tipo di sadhana, concedendo molte siddhi, ma soprattutto facendo diventare tutt’uno con il Brahman. In questo cakra l’ente evoluto “sente” o riceve l’ordine del maestro interiore durante la meditazione.
Questo cakra è posto nel midollo allungato e può essere percepito nel centro della fronte, tra le sopracciglia. È correlato con la mente, il sistema nervoso, la ghiandola pituitaria. Il suo stato di coscienza è la coscienza unitiva. Il suo colore è blu scuro, indaco. Il suo bijamantra (suono-seme principiale) è una “A” (martellante).
Sahasrara è, invece, il cakra del compimento spirituale, detto il “loto dei mille petali”, situato-localizzato al di sopra della fine di susumna, nella fossetta del cranio. Quando risvegliato la sua radianza si espande attorno alla testa. Esso è collegato con il resto del corpo tramite “mille nadi”. Quando questo cakra è risvegliato e illuminato non esiste più l’ego-ahamkara, ma solo il contatto tra la coscienza individuale e la coscienza cosmica. Si tratta di un cakra trascendentale che quando viene raggiunto da Kundalini risvegliata, che vi si stabilizza, si realizza il nirvikalpasamadhi, si realizza moksa, la liberazione. Il suo stato di coscienza è la coscienza del purusa. Il suo colore è bianco-violetto-arcobaleno.
Sahasrara viene indicato come la sede di Parama-Siva, simbolo dell’Anima universale. È la soglia che conduce alla realizzazione della suprema beatitudine, a cui consegue la dissoluzione dell’illusione. In esso il compimento spirituale va al di là dei limiti della mente umana.
Un ente planetario, una volta nato e immerso nell’azione, resta pur sempre un jivatman (anima individualizzata) con lo scopo, nella vita, di conseguire il compimento spirituale mediante un percorso idoneo (una sadhana).
Una delle pratiche del vero sadhaka deve essere quella di proteggere i cinque “prana” (le cinque forze vitali), fondamentali lungo il cammino per il conseguimento spirituale. Per questo esiste una antichissima pratica, dalla triplice azione, che è la recita del gayatrimantra.
La recita del gayatrimantra non dovrebbe avere limitazioni umane, quindi la consuetudine di recitarla all’alba, al mezzodì e al tramonto andrebbe superata, in quanto Dio è al di là del tempo: qualsiasi momento è il momento per Dio.
Viene detto appositamente “Gayantam trayate iti Gayatri”, cioè che il gayatrimantra protegge chi lo recita. La Gayatri è, infatti, descritta come Chandasam mata, la Madre di tutti i Veda.
Il gayatrimantra viene espresso con cinque aspetti:
Om
bhur bhuvah svah
tat savitur varenyam
bhargo devasya dhimahi
dhiyo yo nah prachodayat
Il gayatrimantra viene rappresentato mediante l’immagine dai cinque volti che indicano i cinque prana (prana, apana, samana, udana e vyana).
Recitando il mantra per la protezione dei cinque “prana” si evoca la divinità come Savitri, la deità che presiede ai cinque “prana”. Savitri protegge coloro che conducono una vita di Verità.
Recitando il mantra per lo sviluppo dell’intelletto e dell’intuizione si evoca, si attiva la deità Gayatri.
Recitando il mantra per la protezione del linguaggio si evoca e si attiva la deità Sarasvati.
Il gayatrimantra è un potente strumento nelle mani del sincero sadhaka perché i suoi raggi illuminano la sua mente e la sua intelligenza e gli promuovono conoscenza e saggezza.
Un vero yogi-sadhaka-praticante deve prendere consapevolezza del “prana”, della sua vera natura, farne esperienza elevante e illuminante. Per un esoterico è importantissimo lo studio, la comprensione, la consapevolezza e la capacità di manipolare il “prana”.
Il “respiro-prana” viene dall’atman, per questo quando l’ego-corpo-personaggio karmico muore l’anima e il prana proseguono, con il corpo sottile (lingasarira, corpo astrale), nel processo di trasmigrazione lungo il divenire samsarico.
Creare una corrente di “prana” e immergervisi recitando un mantra può significare accedere alle onde dell’infinito e trarne maggiore conoscenza possibile.
Il “prana” può essere convertito in una “forza magnetica” e poi in un “flusso di energia psichica” e si può anche trasmettere all’esterno del corpo mediante le dita (mudra), uno sguardo o un pensiero. Con il “pensiero-prana” si possono caricare l’acqua, le medicine o degli oggetti. Il “prana” si trasmette continuamente, indipendentemente dall’esserne coscienti o meno ma mediante la consapevolezza la trasmissione è molto più potente.
Il “prana” si può percepire-sentire solo al livello psichico. La trasmissione parte sempre da pranamayakosa: il “prana” può essere manipolato coscientemente per migliorare la salute propria o quella degli altri. Il ricevente però se ha una disposizione dispersiva (motivo per il quale si è ammalato) vanifica l’azione terapeutica del “prana” ricevuto. Il “prana” può operare sia a contatto diretto sia a distanza.
La natura del mondo, in cui anche uno yogi evoluto è immerso, è fatta di equilibri continuamente mutevoli. Questi mutamenti condizionano l’intera esistenza sia nel mondo esterno sia nei mondi interiori di corpo, mente e spirito. Infatti, il flusso del respiro in ciascuna narice è connesso con le varie funzioni duali come le attività degli emisferi cerebrali destro e sinistro. La prevalenza della forza del respiro nella narice di destra e nella narice di sinistra si alterna mediamente con cicli di novanta minuti. Tra i due cicli si inserisce uno stato di flusso equilibrato in cui tutto è in equilibrio e l’energia spirituale (atman sakti) è attiva. Questo stato di equilibrio è sfruttabile ed estendibile con alcune manipolazioni (tecniche) del flusso del respiro nelle narice, per ottenerne il risveglio di Kundalini, l’energia spirituale dormiente nei più. Questo flusso del respiro viene chiamato swara. Le tecniche utilizzate per intervenire durante le oscillazioni tra narice destra (pingala) e sinistra (ida) sono sei, per aumentarne o diminuirne il flusso secondo le necessità o per mantenerle in equilibrio per un tempo più esteso del naturale.
Questo tipo di manipolazione richiede una certa conoscenza e una certa maturità da parte del praticante, per evitare l’effetto contrario. Necessita saper riconoscere i meccanismi di autoregolazione del corpo e della mente.
Per una pratica finalizzata allo sviluppo spirituale si opera per mantenere un flusso equilibrato in susumna nadi; per un benessere psicofisico, che mantenga in equilibrio e in armonia organi e sistemi, si opera sulle inversioni di swara per influenzare il sistema corpo-mente senza rischi.
Un pranayama è costituito dall’inspirazione (puraka) con cui si attinge ossigeno e “prana” dall’ambiente esterno; dall’espirazione (rechaka) con cui ci si libera dell’anidride carbonica e con cui il “prana” si muove e si diffonde nel corpo e anche oltre; dalla volontaria ritenzione-sospensione del respiro (kunbhaka), attiva dopo l’inspirazione e passiva dopo l’espirazione.
Quando viene trattenuto il respiro, il “prana” essendo in stretta relazione con la sostanza mentale (citta), la mente si immobilizza e il “prana” si fissa nel cuore, nell’ombelico, nel cervello, nel naso, nella bocca, nelle mani, tutti “punti” che spiegano il perché di certe pratiche esoteriche.
L’inspirazione-puraka fa contrarre la mente facendole acquistare forza; kumbhaka attivo immobilizza la mente e il “prana” si potenzia con il contatto della sostanza mentale (citta); l’espirazione-rechaka fa dilatare ed espandere la mente ma anche diffondere il “prana” attraverso il corpo facendolo entrare in contatto con l’esterno; kumbhaka passivo fa raggiungere alla mente il suo punto di massima espansione.
La pratica di kumbhaka, dopo una certa unità di tempo, richiede l’esercizio di certe “contrazioni” che si chiamano bandha e mudra, perché rendono più efficace il pranayama e ne eliminano gli effetti indesiderati. Bandha sta per nodi, legami e Mudra per sigillo, gesto. I più indispensabili e i più praticati sono jalamdhara bandha, uddiyana bandha e mula bandha: tutti e tre uniscono le forze di “prana” e “apana”, spingendole nel susumna nadi.
Degli studi scientifici hanno accertato che la respirazione profonda rilascia endorfine nel flusso sanguigno. Un più ampio movimento del diaframma genera una respirazione lenta e profonda. Abbinando pensieri rilassanti ad una respirazione lenta e profonda si ottiene oltre che un rilassamento muscolare una mente calma.
Uno dei principali scopi del pranayama è quello di imparare a controllare il “prana” e il sistema nervoso centrale. Con kumbhaka-ritenzione del respiro si viene a provocare un aumento dei livelli di anidride carbonica che vanno a stimolare i capillari del cervello che si dilatano per migliorare la circolazione cerebrale. Ecco perché occorre una buona preparazione prima di introdurre kumbhaka in un pranayama.
Le pratiche di bhastrika (respirazione a mantice) e kapalbhati (respiro che purifica la parte frontale del cervello) sono metodi di iperventilazione (rivitalizzanti) mentre ujjayi (respiro psichico), shitali (respiro rinfrescante) e sitkari (respiro sibilante) sono metodi di ipoventilazione (calmanti) e tutti, come kumbhaka, modificano i livelli di anidride carbonica nel sangue, che se correttamente eseguiti sono molto benefici.
Il pranayama è, quindi, una pratica spirituale specie quando si introduce kumbhaka perché con esso l’energia spirituale si attiva. Lo Yoga e il pranayama educano il corpo e la mente condizionandoli ai lunghi periodi di ritenzione del respiro, senza sottovalutare i bandha e le mudra che bloccano la sakti, l’energia-potenza interna, per non farla disperdere né a livello grossolano né a livello sottile.
I vari pranayama, negli stadi avanzati, richiedono il perfetto controllo del rapporto tra puraka, rechaka e kumbhaka.
Una delle sei tecniche per equilibrare il respiro è la seguente.
Si assume una posizione seduta, comoda e stabile (per chi è capace è indicata vajrasana), con il tronco e il capo eretti. Si mettono le mani sotto le ascelle, la mano destra sotto l’ascella sinistra e la mano sinistra sotto l’ascella destra. I pollici sono rivolti verso l’alto. Gli occhi si tengono chiusi e si pratica la respirazione normale mantenendo la consapevolezza nelle narici. Per equilibrare soltanto il respiro bastano dieci minuti. Per scopi spirituali si può praticare per un tempo molto più lungo.
Per modificare il flusso nelle narici assumere sempre la posizione seduta come indicato sopra.
Se predomina la narice sinistra e si vuol aumentare il flusso nella narice destra, porre la mano destra sotto l’ascella sinistra, sempre con il pollice verso l’alto. La mano sinistra sulla coscia in cinmudra (detto anche jnanamudra, è il mudra della consapevolezza, l’indice e il pollice si toccano, mentre le altre dita sono distese).
Se predomina la narice destra e si vuol aumentare il flusso nella narice sinistra, porre la mano sinistra sotto l’ascella destra.
Gli occhi si tengono chiusi, si respira normalmente con la consapevolezza nelle narici.
Si pratica da cinque a dieci minuti.
Non menzioniamo le altre tecniche per non indurre i non-pronti (mancanza di conoscenza e maturità) a praticarle.
Un pranayama utilissimo è nadi sodhana (della purificazione della rete psichica). Sodhana significa “pulire”, quindi tratta della purificazione delle nadi, i canali pranici della rete energetica sottile. Si pratica alternando l’inspirazione e l’espirazione tra la narice sinistra e quella destra, per influenzare le nadi ida e pingala.
Se è presente uno squilibrio, nel corpo o nella mente, nadi sodhana è la pratica giusta per provocare il ritorno ad un equilibrio.
Si può praticare per rivitalizzare le energie praniche (la circolazione del “prana”) e gestire meglio ogni tipo di situazione; come strumento terapeutico per problemi fisici e mentali; come pratica spirituale non solo per risvegliare Kundalini ma per esperire gradualmente profondi stati di meditazione.
È una pratica non semplice che presenta diversi gradini da sperimentare, ma a qualunque livello dà sempre dei benefici fisici, mentali e spirituali.
Prima di avventurarsi in tale pranayama bisogna aver conquistato una posizione seduta stabile tenuta per lungo tempo (vajrasana, sukhasana, ardha padmasana).
Il respiro tramite le narici deve essere controllato tramite nasagra mudra, usando la mano destra davanti al viso, si pone la punta dell’indice e del medio nel centro tra le sopracciglia, il pollice accanto alla narice destra e l’anulare alla narice sinistra. Le due dita premendo o rilasciando sulle narici ne controllano il flusso. Il mignolo non viene utilizzato.
Descriviamo il primo stadio, praticabile da chiunque, di nadi shodana.
Stabilizzarsi nella comoda posizione seduta scelta, chiudere gli occhi, respirare normalmente qualche minuto per rilassarsi. Focalizzare la consapevolezza sulle narici e praticare con nasagra mudra.
Bloccare la narice destra facendo 5 respiri normali attraverso la narice sinistra. Dopo aver completato, bloccare la narice sinistra facendo 5 respiri normali attraverso la narice destra. La respirazione deve essere silenziosa e rilassata. Completare, di seguito, 5 respiri normali attraverso entrambe le narici.
Si ripete il procedimento di 5 respiri con la sinistra, di 5 con la destra e di 5 con entrambe le narici per un numero di volte a piacere, stabilendo dei propri cicli.
Nel pranayama vengono utilizzati anche le sillabe dei mantra come unità di tempo (matra) per meglio autoregolarsi.
Viene utilizzato, ad esempio, il gayatrimantra per il nadi sodhana pranayama, quando si è già conquistata una buona capacità di ritenzione-kumbhaka. Il gayatrimantra viene impiegato come unità di tempo per i rapporti respiratori. Il mantra si ripete mentalmente così puraka, rechaka e kumbhaka avranno la durata del gayatrimantra.
Il gayatrimantra è composto di 24 sillabe, che per una ripetizione mentale richiedono da 10 a 12 secondi. Il mantra aiuta così a praticare facilmente respirazioni prolungate, con grandi benefici tratti sia dal pranayama sia dal gayatrimantra. Si tratta di una grande pratica spirituale.
Per un buon rapporto delle unità di tempo, nel pranayama, si può utilizzare anche il potente mantra Om Namah Sivaia, il mantra di Siva, il Dio-Maestro dello Yoga, mantra che viene ripetuto da millenni da una ininterrotta catena di Yogi. La combinazione di questo mantra con il pranayama è efficace e molto potente.
In una comoda posizione seduta a gambe incrociate e gli occhi chiusi si effettua una respirazione completa con una modalità lenta, naturale.
Inspirando-puraka si ripete mentalmente Om Namah Sivaia.
Segue kumbhaka-ritenzione-sospensione attiva naturale del respiro.
Espirando-rechaka si ripete mentalmente Om Namah Sivaia.
Segue kumbhaka-ritenzione-sospensione passiva naturale del respiro.
Si pratica da un minimo di 10 minuti fino ad un tempo a piacere.
Nell’inspirazione e nell’espirazione si possono introdurre due o più ripetizioni del mantra, secondo le proprie capacità. Anche questa è una grande pratica spirituale.
Un’altra benefica pratica spirituale è quella del pranayama “So-Ham”, dell’identificazione con il principio cosciente della vita, la suprema identificazione con il Sé-atman.
Si tratta, in realtà, di sfruttare consapevolmente il normale respiro che si produce, nell’inspirazione, il suono Sah (che diventa So) e nell’espirazione il suono Ham: il costante ajapamantra pranayama che tutti eseguono inconsciamente. Si deve praticare in un luogo silenzioso, lontano da possibili disturbi.
Si pratica in una comoda e stabile posizione seduta, con gli occhi chiusi.
Per qualche minuto devono farsi delle respirazioni complete. Poi si porta l’attenzione sul suono che il respiro produce con l’inspirazione e l’espirazione.
Inspirare producendo mentalmente il suono “So”, concentrati sul suono prodotto effettivamente dal respiro.
Espirare pronunciando mentalmente il suono “Ham”, concentrati sul suono prodotto effettivamente dal respiro.
Proseguire per almeno 5 minuti con “So-Ham”.
Poi spostare la consapevolezza dalla zona della gola alla zona del cuore, senza ripeter più nulla mentalmente, ma restando concentrati sul suono che produce l’inspirazione e l’espirazione.
Proseguire per un po’ con la concentrazione ben salda. Infine sdraiarsi sulla schiena, in savasana, e rilassarsi per 5 minuti.
Il pensiero è vibrazione: un tempo lo diceva l’esoterismo, oggi lo dice anche la scienza. Il pensiero è, quindi, vibrazione ed ha una propria frequenza. Anche il corpo fisico grossolano (sthulasarira) funziona, ad esempio, con frequenze da “0” a “30Hz”. Una semplice contrattura muscolare cronica può risolversi utilizzando le frequenze del sonno profondo perché fa rilassare il muscolo. Quando il cervello cambia attività si modifica la frequenza dei cicli cerebrali. Il sonno, la veglia e il movimento hanno frequenze specifiche. Ecco perché quando ci si rilassa, ci si concentra, si visualizza, si prega, si medita o si recita un mantra il cervello abbassa la frequenza dei cicli cerebrali modificando la percezione della realtà.
La consapevolezza del “prana” e le tecniche di pranayama che lo controllano forniscono un metodo tramite il quale la “Forza cosmica” (il “prana” universale) può essere attivata, per superare i limiti individuali ordinari ed ottenere stati di coscienza superiori al di là dell’ambito dell’umano.
Esotericamente il pranayama assume un profondo significato simbolico-operativo, in quanto agente fino sul piano coscienziale puro. Il rechaka, infatti, corrisponde all’astrazione dal piano di “nome e forma”; il puraka all’intuizione del Brahman; il kumbhaka alla piena Consapevolezza-Identità col Brahman.
“Che cos’è che guarisce? Sono le medicine, i raggi X, i massaggi o la mente? Se è una qualsiasi di queste cose, perché allora non guarisce tutte le malattie? Può la medicina o la mente guarire la malattia di un uomo morto? Perché no? Perché la forza vitale (prana) è l’unico potere supremo e immutabile, attraverso cui uno o tutti i metodi di guarigione possono essere resi efficaci. Un metodo di guarigione è inferiore o superiore nella misura in cui è capace di risvegliare o stimolare la forza vitale inattiva in una qualsiasi parte del corpo malata, fulminando così la malattia. Di conseguenza, tutti i metodi di guarigione sono, in realtà modi indiretti per risvegliare l’energia vitale, che è il vero e diretto guaritore di tutte le malattie”.
Paramhansa Yogananda
Letture consigliate
Prana, Pranayama, Prana Vidya, Swami Saraswati Niranjananda, Satyananda Ashram Italia
Asana Pranayama Mudra Bandha, Satyananda Saraswati, Satyananda Ashram Italia
Pranayama, la dinamica del respiro, André Van Lysebeth, Astrolabio
Teoria e pratica del pranayama, Bellur Krishnamukari Sundara Iyengar, Mediterranee
L’arte del pranayama, Maurizio Morelli, Red
Pranayama , lo yoga del respiro, K. S. Joshi, Magnanelli Edizioni
Le Forze più sottili della Natura, Rama Prasad, OmPhi Labs
Pranayama, la scienza del respiro, Yogi Ramacharaca, CreateSpace Independent P. P.
Kumbhaka Pranayama, Mario Verri, Sovera Edizioni
Prana Prani Pranayama, Yogi Bhajan, Macroedizioni