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924. Realtà di una Organizzazione spirituale: sintesi dei processi possibili

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Una “Organizzazione spirituale” non è, o almeno non dovrebbe essere, una associazione di persone qualsiasi. In essa si presume che aderiscano solo individui che perseguono istanze spirituali realizzative, qualsiasi forma tradizionale abbiano scelto, di stampo Orientale o Occidentale. Persone ben intenzionate e determinate a sviluppare innanzitutto, lungo la ricerca, la fondamentale coerenza tra pensiero, parola ed azione. Una condivisione, compartecipazione e unità d’intenti consoni alle motivazioni dichiarate nell’Atto Costitutivo e nello Statuto che regolamentano la vita della stessa.
Una buona ed efficace “Organizzazione spirituale” non và confusa con un “Ordine iniziatico”, strutturato secondo logiche precise. Una “Organizzazione spirituale” che svolge attività di studio tra i suoi membri, pratica canti devozionali, officia un qualche rito e si attiene ai Principi può offrire tutti i servigi necessari e indispensabili ai pellegrini spirituali. Alcune svolgono anche una forma simbolica di iniziazione ma ha semplicemente un valore virtuale che aiuta lo spirito di fratellanza dell’organizzazione.

Come in tutte le cose umane, non perfette ma perfettibili, soggette all’errore, una Organizzazione dovrebbe sempre vigilare attentamente, tramite i suoi responsabili, su cosa circola al suo interno (persone, cose, correnti di pensiero contrarie o se non opposte a quella perseguita) e su cosa entra, o tenta di entrare dall’esterno, estranea alla natura e allo spirito dell’Organizzazione. Dipende dalla natura e dalla qualità dei comportamenti dei vari membri, semplici associati e responsabili, poter dire che la “vita associativa” è il messaggio di una tale “Organizzazione spirituale”.

Una “Organizzazione spirituale”, trattandosi non di una associazione qualsiasi, né di un partito politico né di un sindacato, né di qualsivoglia struttura profana, ha una grande responsabilità verso tutti coloro che vi aderiscono, che vi prestano fiducia e vi si affidano per la ricerca più importante della loro vita, ovvero la possibilità di una realizzazione spirituale.
Per una base solida, morale, etica e spirituale, una tale “Organizzazione” non può ignorare e far mancare, al suo interno, gli indispensabili Principi della Libertà, dell’Uguaglianza e della Fratellanza. Non potrebbe definirsi “spirituale” altrimenti: Principi da proteggere, difendere, sempre applicare e mai tradire.
Una “Organizzazionespirituale dovrebbe manifestare sempre, quindi, uno spirito di unità, sbarrare l’ingresso a tutto ciò che la può insidiare mediante meschine ipocrisie, maldicenze, calunnie e diffamazioni, essere una stella che splende nel mezzo delle tenebre del mondo, apportando grandi benedizioni a chiunque abbia un cuore e una mente aperti spiritualmente.

Di cosa si dovrebbe occupare una vera “Organizzazione spirituale”?
Una “Organizzazione spirituale” dovrebbe fungere da zattera in grado di condurre gli individui, che ne hanno maturato la capacità di percepirlo, nel mondo dei significati, delle Cause, dei Principi, delle Idee, della Realtà sovraindividuale. Tutto ciò si può definire Filosofia dell’Essere, Metafisica, Philophia perennis, la Conoscenza suprema, la Vidya, Tradizione primordiale, ecc..
La Filosofia dell’Essere è eterna e di origini non umana. Esisteva prima che si venisse a creare l’uomo empirico, per questo l’individuo la può recepire, svelarla e incarnarla.

Una “Organizzazione spirituale”, che faccia riferimento agli Insegnamenti di un particolare Maestro, di una Dottrina, di una tradizione relativa qualsiasi, che preveda o meno, al suo interno, un’iniziazione e un rito, non può che aspirare di far scattare, per i suoi membri, la possibilità di un Influsso o Presenza spirituale sovraindividuale: altrimenti sarebbe altro. Possibilità considerata per tutti ma che, per ognuno, richiede particolari “qualificazioni” da sviluppare. Ogni membro lavora, cioè svolge il “percorso realizzativo”, partendo dalla propria “posizione coscienziale”: tanti sono i livelli e gradi differenti di coscienza quanti sono i membri, ognuno con la sua storia, il suo karman (serie causale che fa raccogliere il risultato di ciò che si fa e si pensa intimamente e determina la natura delle vite successive), il suo dharma (legge, dovere, norma). Ogni membro si aziona, chi più consapevole e chi meno, per potersi accordare gradatamente sulla nota del Maestro o della Dottrina seguiti, per stabilire un cordone ombelicale mediante cui l’Influsso (menzionato) possa circolare ed operare nell’aura dei singoli e nell’aura collettiva (l’“egregora dell’Organizzazione”).

I vari membri non dovrebbero ignorare l’essenziale invisibile che si cela dietro ogni “nome-forma”, quelle dinamiche che col tempo possono rientrare, in una sadhana avanzata, nel “percepire-vedere-sentire”.
Una “egregora” è una “forma-pensiero” di energia intelligente. Esotericamente esiste, infatti, una Scienza delle “egregore”, una procedura della Scienza occulta in grado di creare e alimentare, mediante un rito costruito appositamente, una “forma-pensiero” a “immagine” e “somiglianza” dei creatori (i sacerdoti occulti in grado di farlo) o della Divinità di riferimento.

Abbiamo accennato all’iniziazione, ma su di essa vi è una grande confusione, spesso alimentata e diffusa proprio da ricercatori spirituali che vivono ancora in uno stato di mescolanza delle istanze profane (devote all’ignoranza dell’“io”) e delle istanze realizzative (riguardanti il non ancora realizzato).
L’iniziazione non è un avvenimento riscontrabile nella storia dei fatti oggettivi ma è un punto-momento ideale, immateriale, interiore, senza l’identità del tempo e dello spazio.

Un probando all’iniziazione si trova ad affrontare, molto seriamente, le questioni della “qualificazione”, della “trasmissione” e del “lavoro interiore”. Non può sottrarsi a quanto corrisponde in termini di “potenzialità”, di “virtualità” e di “attualità”. L’iniziazione, quando non è soltanto virtuale, riconnette alla Realtà Essenziale.
Colui che viene iniziato muore al vecchio modo di vivere, quello da profano, perché entra nel nuovo stato d‘essere di risvegliato alla Realtà Essenziale: il morire (teleutai) e l’essere iniziato (teleisthai) si assomigliano oltre la porta dell’iniziazione dei Grandi Misteri. Si tratta, ovviamente, di una morte non concernente la fisiologia umana, ma di una morte al mondo (quello dell’io), del superamento delle condizioni profane limitanti.

Il sentiero dell’iniziazione è quello che segna il lento processo della Reintegrazione, un cammino attraverso molteplici correnti legittime che incarnano lo spirito della Tradizione Primordiale, Una e Unica. L’iniziazione designa lo spartiacque invalicabile che fa lasciare alle spalle la vita profana con tutti i suoi limiti, le miserie, le incompletezze e infantili convenzioni.

La questione dell’iniziazione è tra le più difficili da comprendere veramente, se non si è maturati ad uno stadio avanzato del “percorso realizzativo” intrapreso, perché i più fanno appello all’immaginario, a tutto quello che hanno letto come simbolica archetipica, come esperienze raccontate da sedicenti iniziati o tratti dai miti, se non quando da film o da romanzi sfornati a più non posso nella nostra epoca di oscurità morale, intellettuale e spirituale.

L’iniziazione va intesa nel senso di un “cominciare”, come nel latino “initium”, ma anche un “entrare” come “initum”, oppure un “penetrare dentro” come “in-itio”. Una iniziazione, quando reale, è certamente un “uscire” dall’ordine umano dell’esistenza e un “entrare” nell’ordine sovrumano della Realtà, da dove percorrere il vero Sentiero dei Grandi Misteri (dell’Intelligenza Divina).
È in alcune strutture iniziatiche che va compreso bene se, facendone parte, si viene sottoposti, con l’eventuale cerimonia di ammissione, ad una vera “Iniziazione” o ad una “Ordinazione”.

La vera iniziazione non necessita di grandi apparati e di complesse cerimonie: a seconda del probando con una effettiva innata “qualificazione” basta, il più delle volte, uno svolgersi della “trasmissionedel fuoco sacro nel più stretto riserbo di un semplice rapporto, mediante colloqui interiori, da Maestro a discepolo. Un’iniziazione può essere conferita tramite l’imposizione delle mani, lo sguardo, appositi gesti, il pensiero vivente a distanza del Maestro, nello “stato di sonno con sogni” (“svapna”, corrispondente al piano energetico-luminoso, nel corpo sottilelingasarira o corpo astrale –), una forma collettiva cerimoniale, perché parliamo della vera “iniziazione effettiva” che non si “trasmette” umanamente, ma mediante un cosiddetto fenomeno magico, un’influenza non umana che avvia il candidato a quella reintegrazione propria della natura dell’Iniziazione.
Esistono casi rarissimi di una “iniziazione verticale” spontanea (un’iniziazione effettiva, soprannaturale), per uno “status” spirituale raggiunto in altre esistenze, in cui si viene a creare un diretto rapporto iniziatico tra Dio e l’iniziando (è sempre Dio il vero e unico grande Iniziatore alla fine). Nella tradizione indiana questa forma di iniziazione viene chiamata Sambhavi-diksa, tramite Siva o Visnu. Di questa forma di iniziazione può dirsi che “è Una ed Unica”.
Esistono anche alcuni individui che “entrano” (nascono) nella dimensione umana già con uno stato coscienziale pronto e basta un semplice sguardo del Maestro, o una semplice stimolazione dello stesso ambiente spirituale frequentato: scatta l’Influsso, la Presenza spirituale sovraindividuale. Ricordiamo che solo chi matura l’esperienza nella vita umana e poi giunge ad una consapevole scelta di un sentiero realizzativo (sadhana) si incontra con il “Sentiero” (o la “Via” – yana – dell’Iniziazione) propriamente detto “iniziatico”.
Chi perviene alla scelta consapevole (cioè che rinuncia al mondo profano per abbracciare una concezione sacrale dell’esistenza) di un sentiero realizzativo (sadhana) mette in moto forze che inevitabilmente porteranno mutamenti di vita, sia all’interno sia all’esterno, piacevoli o spiacevoli. E solo colui che sarà in grado, nonostante tutto, di proseguire fino in fondo, vedrà scomparire quei confini illusori tra l’interno e l’esterno, qualificandolo per poter intraprendere il “Sentiero dell’Iniziazione”, tanto ambito dall’Anima (jivatman).

Abbiamo voluto solo accennare alla questione dell’iniziazione tanto poco compresa: quando essa subentra, per maturità avvenuta, non si possono avere dubbi della sua effettiva Presenza.

Tornando alle questioni di una “Organizzazione spirituale” c’è da dire che possono manifestarsi, purtroppo, processi di caduta egoica, a volte riguardanti addirittura anche i responsabili stessi, scivolati su serpeggianti illusioni su cui non hanno vigilato. Ciò accade perché, per la maggior parte dei ricercatori spirituali, inseriti o meno in una “Organizzazione spirituale”, il sentiero realizzativo è, in realtà, ancora un campo di sperimentazione dell’ego-corpo-personaggio ai suoi primi passi consapevoli, quando comincia a comprendere quanto sia errata l’identificazione col mondo della dualità. E ciò a prescindere da eventuali cariche assunte al suo interno. Una carica assunta, anche di vertice, non è prova di un più elevato “stato coscienziale” rispetto ai comuni membri associati: volerne dare l’impressione e/o abusarne sarebbe cosa gravissima.
Purtroppo in tutte le forme di “Organizzazione spirituale”, come per tutte le associazioni profane, le cose non vanno mai di pari passo con le migliori intenzioni iniziali: per una “Organizzazione spirituale”, però, occorrerebbero sforzi maggiori per tutti i responsabili, perché siano coerenti, pretendendo la stessa cosa anche dai membri associati, con i pensieri, con le parole e le azioni, perché siano in linea con la natura degli scopi dichiarati e perseguiti. I ruoli, le funzioni e le responsabilità non devono essere soltanto per una “rappresentanza” che dà prestigio a chi li ha assunti, per delle buone “relazioni esterne” ma per servire i membri associati e far risplendere i Principi a cui l’organizzazione si riferisce. I responsabili devono rifuggire da qualsiasi forma di vantaggio, di privilegio possa affiorare o venire offerto da chicchessia: non devono restare intrappolati dal fascino che esercita, su di loro, l’identificazione nel ruolo, non devono commettere l’errore di percepire, come godimento dell’esercizio di un potere, ciò che invece dovrebbe essere gioia di un servizio donato. Tutti i membri di una “Organizzazione spirituale” devono essere consapevoli, e non devono mai dimenticare, che le forze che si attivano al suo interno sono potenti al punto da essere insopportabili per qualche membro più fragile, con problematiche irrisolte, e che la soluzione sta nella coesione di tutti i membri, associati e responsabili (ecco lo spirito di fratellanza).

È davvero difficile che all’interno di una “Organizzazione spirituale” non si verifichino problemi perché, potremmo dire, è umano che ciò accada anche se proprio il percorso realizzativo prevede, contempla il superamento della condizione umana, ma il cammino è un “andare verso”.
Un aspetto degli studi affrontati, dai vari membri, dovrebbe riguardare la necessità di lavorare, da parte di tutti, sull’importante “soluzione del complesso energetico”. Il non affrontarlo seriamente è alla base dei tanti problemi che si ritrova una “Organizzazione spirituale”.
Chi non lavora sui propri conflitti entra in contrasto, prima o poi, con altri che non hanno risolto i propri. Come si fa a mettere d’accordo tanti “io” in conflitto? Nel mondo profano, cioè nelle dinamiche del mondo del divenire, è pressoché impossibile. Nel mondo della ricerca spirituale è inaccettabile tale resa: chi la pensa diversamente, cioè chi ritiene impossibile fare qualcosa anche in un ambito sacrale dovrebbe andare in qualche altra forma di associazione, profana e non spirituale, e smettere di prendere in giro sé stesso e gli altri.
Nel mondo profano non sono le legislazioni sociali o le ideologie politiche che possono dare la conoscenza del , superando l’ignoranza dell’“io”, e risolvendo ogni forma di contrapposizione. Nella Filosofia dell’Essere, che ogni “Organizzazione spirituale” dovrebbe abbracciare, si indicano invece numerosi modi per risolvere e trascendere l’“io”.
Un sentiero spirituale autentico non è per la libertà dell’io ma per la libertà dall’io: non bisognerebbe mai dimenticarlo: la ricerca della Verità, infatti, è per pochi perché, in realtà, la vogliono in pochi.
Un “praticante spirituale” dovrebbe sorvegliare sempre le proprie istanze di ordine istintuale, emozionale, intellettuale, ecc., perché esse sono quelle che determinano le risposte comportamentali e comunicazionali dalle conseguenze, a volte, irrecuperabili.
Il profano, non preoccupato ad auto-osservarsi e a fissare lo sguardo sul sovrastorico, viene coinvolto, a tutti i livelli esistenziali, dagli avvenimenti storici. Un “praticante spirituale” che si interessa dell’Essere, che è al di là dalla storia, al di là dal tempo e dallo spazio, cerca di trascendere il divenire (che cerca di trascinare nel tempo, nella politica, nei problemi economici, nelle varie ideologie, nella malattia, nella morte, in visioni aberranti, ecc.).
Quanto di importante viene affrontato all’interno dell’“Organizzazione spirituale” non bisogna viverlo come a “qualcosa” che si fa nei ritagli di tempo, ma come uno stato di continuità: un prima, un durante e un dopo, perché l’organizzazione è un’Officina per apprendere ciò che và praticato sempre, in ogni dove. I diversi membri, appartenenti a differenti livelli e gradi di coscienza, appartengono a stadi di vita che vi corrispondono e che ne motivano la condotta umana: ognuno porta sempre con sé il proprio karman, ma anche il proprio dharma personale e universale anche se disattesi. Ci sono individui, che nella vita, per il loro stadio coscienziale si trovano nella fase della formazione, indipendentemente dall’età anagrafica; ci sono quelli il cui stadio coscienziale li protende verso il desiderio di autodeterminazione; ci sono quelli che grazie al proprio stadio coscienziale, riorientano le proprie energie all’interno di sé stessi; ci sono quelli, veramente pochi, il cui stadio coscienziale li predispone al distacco da tutto il mondo del divenire (tra questi quelli che giungono alla Liberazione-moksa).

Nei vari “centri” di una “Organizzazione spirituale” nascono spesso dei problemi perché non tutti i suoi membri tengono la mente ferma sull’Essere camminando nel divenire. Finiscono per parlare di temi spirituali sempre dal punto di vista del divenire, dell’incompiutezza dell’io, dei cicli temporali, sfuggendo (il più delle volte per ignoranza) il vero Insegnamento che è quello della Metafisica assoluta. Un ricercatore spirituale, almeno in alcuni ambiti, dovrebbe restare nell’eterno presente del , sforzarsi a farlo, per poter cogliere le cose come stanno veramente. Non la sensibilità emotiva ma il distacco può suggerire la giusta azione necessaria, come viene specificato chiaramente nella Bhagavad-Gita. Il ricercatore deve fare lo sforzo di innalzarsi, nonostante la pesantezza nel divenire, sul sovrastorico e cogliere e raggiungere la pienezza dell’Essere.
Un diligente ricercatore spirituale dovrebbe aver capito, prima di inoltrarsi sul vero e proprio “sentiero realizzativo”, che nel mondo dell’“io” la religione decade dando solo conforto emotivo e non conoscenza e liberazione spirituale; la politica si impantana in una demagogia auto-affermativa per l’istinto di potenza di coloro che la occupano (ecco il perché della corruzione, del degrado e dell’oscurità morale, etica, intellettuale e spirituale); gli “ordini sociali”, divenendo ciechi al Principio da cui emanano, manifestano soltanto la “guerra di classe”.

Un’altra importante realtà da considerare, nel mondo della ricerca spirituale, è che attrae i moltissimi individui con problemi psicologici (mascherati) ma anche gli individui avidi di gratificazioni e di successo (perché irrisolti ed incompiuti nel mondo profano, e quindi frustrati) che non hanno vere istanze filosofiche-spirituali né vocazione mistica. Sono costoro che spesso aprono inconsapevolmente corridoi trasversali, all’interno delle “Organizzazioni spirituali”, all’insidia di coloro che sono sempre pronti ad approfittare, in ogni ambiente, di certe debolezze, di certe fragilità. È così che si insinuano, per fiducia strappata a qualche associato o a qualche responsabile disattento in buona fede, gli imbroglioni delle illuminazioni e delle iniziazioni facili, nonché dei contatti “sottili” inesistenti con maestri, esseri evoluti o quant’altro.

Il ricercatore-filosofo della Filosofia dell’Essere ricerca la Saggezza eterna e non l’erudizione che accumula una “quantità” enorme di informazioni sul mondo dei “nomi” e delle “forme”. La mente è uno dei veicoli che l’individuo ha a disposizione: può usarla nel modo giusto o in un modo del tutto non giusto. Se usata correttamente è molto utile in un percorso spirituale perché con essa si può giungere all’“intelletto” (buddhi), all’intuizione superconscia.
Imparare, in una sadhana, ad usare bene la mente (per il e non per l’“io”) significa acquisire una disciplina in grado di proteggere dalle varie insidie, anche di quelle provenienti dalle forze contro-iniziatiche. Il pericolo di questi attacchi, nei confronti degli ambienti dediti alla spiritualità, è quello che i più “sensibili”, portati verso stati di angoscia, decidano, per sconforto, di disertare la ricerca spirituale, negandola addirittura oppure combattendola.

Un altro aspetto molto negativo, che si manifesta sovente in una “Organizzazione spirituale”, è quello in cui un membro, più membri, un responsabile o più responsabili, cadano in spiacevoli dinamiche di reazione egoica, anziché far prevalere la risposta comportamentale e comunicazionale impersonale, più vicina al sovraindividuale. Lo scatenarsi di dispute, di offese, di accuse, di maldicenze o di calunnie oscura la luce che una tale organizzazione dovrebbe far brillare. In un “centro spirituale”, infatti, non dovrebbero nascere questioni disdicevoli portate fino a “reazioni” irragionevoli. L’incapacità dei responsabili di non saper risolvere con compostezza, equilibrio ed armonia li rende colpevoli maggiormente, proprio perché “responsabili”.
In chi è dedito alla ricerca del “” non dovrebbe esserci posto per le reazioni aggressive dell’“io”. È inaccettabile la reazione scomposta e autoritaria (l’autoritarismo nasconde l’incapacità a saper affrontare e risolvere) specie quando si tratta di “responsabili” con cariche di vertice. Un responsabile che combatte un proprio fratello ha perso, o non ha mai trovato, la pace necessaria dentro di sé: non ha imparato, se cavalca la rivalsa dell’io, ciò di cui dovrebbe saper dare l’esempio all’interno e all’esterno dell’“Organizzazione spirituale”.
Fa parte degli insegnamenti di base, in un percorso spirituale, cercare di pacificarsi trascendendo, dopo averle comprese, le diverse forme di “dualità”. Invece, molti ricercatori più che elevarsi spiritualmente rafforzano maggiormente la mente empirica oggettivante facendone una specie di potere psichico, usato a sproposito su membri deboli, per posizione, all’interno dell’organizzazione. Cerchiamo di dire che alcuni “responsabili” utilizzano il senso dell’auto-affermazione, camuffata da sofismi, danneggiando l’organizzazione stessa alla quale appartengono. Il sofismo delle parole ad effetto, come arma, alimenta l’ignoranza e non è utile a nessuno. Accanirsi, per un qualche motivo nascosto, contro un membro preso di mira e cercare di dimostrare, a tutti i costi e in qualsiasi modo, che egli “non è” significa praticare “asat” (“ciò che non è né esiste in assoluto”), il contrario di “sat” (il Reale), quella Realtà che ogni vero ricercatore spirituale dovrebbe perseguire. Svuotare e negare il fratello sottoattacco, con l’abuso della propria posizione gerarchica, con una autorità esclusivista, rivela la falsità delle proprie aspirazioni spirituali. Mortificare, escludere, azzerare un proprio fratello è un atto di spiritualità oscura. Nutrire astio e risentimento, con la maschera dell’ipocrisia, avvelena ogni tipo di azione.
Quando certi “responsabili” stravolgono, addirittura, la struttura dell’organizzazione per punire, colpire uno, più membri o una “parte” dell’organizzazione, assumendo le vesti nascoste di fustigatori e giustizieri, in tali casi decadono tutte le parole che si potrebbero dire perché con simili profili questi signori dovrebbero stare in tutt’altro tipo di associazione, fuorché di stampo spirituale. Non c’è cosa peggiore che impugnare la mannaia in nome di un presunto ripristino dell’equilibrio e dell’armonia. La contrapposizione, la reazione, l’autoritarismo, l’esclusivismo dogmatico e demagogico appartengono al limitato mondo dell’io, che lotta per la sopravvivenza e l’autoaffermazione della propria incompiutezza, e non alla realtà del ricercato da tutti i veri e sinceri devoti dello spirito.
Se una “Organizzazione spirituale” arriva all’attacco personale nei confronti di un proprio membro, in quell’organizzazione qualcosa non va: un tale fatto, in un ambito suddetto, dovrebbe essere ritenuto semplicemente assurdo.

Ad esempio, una delle motivazioni che scatena seri problemi in una “Organizzazione spirituale” è proprio l’“invidia”, un cattivo stato d’animo o sentimento che si scatena in “qualcuno”, facendogli provare dispiacere o astio, in relazione a un bene o qualità posseduta da un altro, per non avere quel bene (o peculiarità), riconosciuto da molti all’invidiato. Spesso si trasforma in un risentimento tale da desiderare il male di chi ha quel bene o qualità. Negli ambiti della spiritualità tale risentimento viene mascherato dall’ipocrisia finché questa non scoppia per insopportabilità. Chi è oscurato da tale stato d’animo sente il bisogno di sminuire la vita degli altri per sentirsi appagato, specie di chi, in quel momento, è oggetto della sua invidia. Chi sta ad una tale “posizione coscienziale” appartiene allo stadio esistenziale dei mediocri, degli inutili, dei falliti, degli incompiuti, degli ignoranti.
Il Maestro Sivananda raccomandava a tutti di liberarsi prima possibile, lungo la sadhana, di qualunque forma di residuo di egoismo, invidia, gelosia, cupidigia, ira, odio, rancore, ecc., perché tali stati d’animo rovinano la vita e fanno sprofondare nell’oscurità.
L’“invidia” è un “moto energetico” che nasce e matura in “qualcuno”, all’interno dell’“Organizzazione spirituale”, o al suo esterno con un certo potere d’influenza al suo interno, che sente il bisogno di dare a quel sentimento una conseguente estroversione: attaccare l’“oggetto-persona” invidiata diventa un irrefrenabile obiettivo. Ciò che non dovrebbe accadere è l’ascolto e il credito dato, da alcuni “responsabili” di vertice, a tale soggetto invidioso, cogliendo il suo moto d’invidia evidente trasformato in “maldicenza”, “”calunnia” e “diffamazione”: una grande responsabilità karmica. Viene da chiedersi, perché uno o più “responsabili” di vertice dovrebbero ascoltare, dare credito e seguito ad un evidente moto d’invidia, trasformatosi in “maldicenza”, avviando un processo disdicevole destabilizzante all’interno dell’intera “Organizzazione spirituale”? Solo in presenza di forti interessi, che li legano a questo “qualcuno”, o di minacce e ricatti, si può trovare una ragione del perché, anche se inaccettabile. Ecco come l’oscurità della contro-iniziazione prende il sopravvento negli azionamenti svolti all’interno di una “Organizzazione spirituale”. Comprendere tali dinamiche aiuta a prevenirle o ad estinguerle, quando se ne ha davvero la volontà di farlo.
L’“oggetto-persona” che avrebbe scatenato il moto energetico dell’invidia non c’entra affatto e ciò che invece risulta evidente è la risposta-reazione avuta dalla mente offuscata o non abituata a discernere-discriminare del “qualcuno” (un evidente devoto dell’ignoranza) che ha reagito all’“oggetto-persona” divenuto meta dell’attacco improprio e avallato da uno o più responsabili di vertice.
I veri nemici sono gli impulsi reattivi interni che molti sedicenti ricercatori spirituali non sono ancora in grado di riconoscere, controllare e risolvere.
Una persona che lavora bene nella propria sadhana, che si sforza di seguire il dharma, che si rende disponibile per sincero spirito di servizio, che brilla di una certa luce e per questo benvoluta, è spesso motivo di irrequietezza, di invidia, di gelosia per alcuni compagni di viaggio che hanno nascosto con l’ipocrisia i sentimenti che ad un certo punto l’hanno fatta scoppiare, determinando l’assurdo moto energetico dell’attacco, non saputo gestire dai “responsabili” coinvolti.
Questo accade perché non si dipende veramente dagli oggetti-comportamenti esterni, ma dalle reazioni a essi: vale per tutti, nessuno escluso.
L’“io” non vuole mai riconoscere di essere ciò che è: ecco il motivo di tante miserie umane anche nell’ambito di una “Organizzazione spirituale”.

Noi sappiamo come nei livelli mentali empirici il “bianco” può essere trasformato in “nero” e viceversa; quindi, la mente di un individuo se non contrastata da chi sta avversando impropriamente, perché azzittito per imposizione gerarchica, può dimostrare tutto e il contrario di tutto. Noi sappiamo anche che la “Verità” è quella che è: a poco servono gli attacchi di reazione e l’acrimonia vendicativa, perché Essa è in grado di strappare con forza le bende della cecità anche a coloro che non hanno voluto vedere e di costringere all’ascolto coloro che avevano scelto la sordità. Molti sono i “responsabili” che non comprendono il senso della responsabilità all’interno di una “Organizzazione spirituale” cadendo sui tanti problemi trascurati per molto tempo. Molti di questi, infatti, invece di fare “sadhana” vivono un culturalismo spirituale inutile e vanitoso, per l’apparenza, per il prestigio, per privilegi sociali.

I “responsabili” di una “Organizzazione spirituale” dovrebbero avere, più di tutti gli altri membri associati, gli “occhi aperti” (non in senso carnale), ma con l’accadere di quanto abbiamo espresso sopra si dimostra come anche i “responsabili” siano uomini comuni con gli “occhi chiusi” (ciechi e che non vedono), più spesso di quanto possa sembrare e non hanno, quindi, alcun buon motivo per sentirsi superiori a tutti gli altri membri.
Un vero ricercatore spirituale, nel suo percorso di risveglio, deve spingersi ad aprire gli occhi per “vedere le cose come sempre sono state davvero”, ma che fino a quel momento non era stato possibile vedere per mancanza, in realtà, dello stato di coscienza necessario, della “posizione coscienziale” in grado di “vedere-sentire”.

Quanto abbiamo descritto non deve meravigliare perché è quello che accade, da sempre, nelle varie organizzazioni spirituali di tutto il mondo, indipendentemente a quale Dottrina, Maestro e tradizione si riferiscano. È accaduto nelle organizzazioni create da grandi Maestri, sia d’Oriente sia d’Occidente, ma abbiamo preferito non menzionarne nessuna, neanche come esempio di riferimento: il problema sta nei ricercatori (membri associati e responsabili) non nei Maestri a cui le organizzazioni si riferiscono. L’esempio sull’“invidia” riportato, invece, è veritiero ed è quello più diffuso e che crea seri problemi in tutte le organizzazioni spirituali.

Sono molti, comunque, i ricercatori spirituali che, non avendo compreso bene gli Insegnamenti ricevuti da un Maestro, o appresi dai testi, rafforzano le dinamiche delle energie subconscie e invece di cercare di unirsi alla supercoscienza si fondono con la subcoscienza, cosa che crea molti problemi di cui non si rendono conto del perché.

Possiamo concludere la nostra sintesi, che aveva lo scopo di far riflettere quanti ne possono essere interessati, sulle dinamiche descritte che avvengono all’interno di una “Organizzazione spirituale”, all’insaputa, spesso, della maggior parte dei membri associati, ricordando che la “Filosofia dell’Essere“ è inerente al , ed è quella di cui dovrebbero interessarsi realmente le “Organizzazioni spirituali”; quella del “divenire” è inerente all’io empirico appropriativo (che ogni ricercatore spirituale è tenuto a risolvere), quella del divenire che è concentrata sull’ego-corpo-personaggio e che non può risolvere alcun problema esistenziale e non può offrire alcuna vera realizzazione del .
Un ricercatore spirituale deve studiare e meditare per trovare i mezzi idonei per risolvere il complesso energetico egoico e realizzare quindi “Brahman” (l’Assoluto metafisico).

Cosa deve fare davvero un ricercatore spirituale?
Sviluppare la buddhi (intuizione), armonizzare il manas (mente selettiva), coltivare una giusta volontà e una potente sete di essere la visione perseguita.

È solo quando si comincia a “guardare dentro di sé” che ci si risveglia davvero, chi resta a guardare fuori prende i sogni-illusioni per realtà.

 

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