La meditazione non è né orientale né occidentale. È entrata a fare parte del mainstream della cultura occidentale moderna anche se con molta confusione, condizione tipica dell’impronta negativa inflitta alla società dalla pseuda-cultura new age. La meditazione non è una pratica terapeutica anche se oggigiorno viene prescritta da molti psicologi, psicanalisti e medici ordinari, specialisti e sportivi. Non è una pratica religiosa anche se molti confusi la intendono tale. La concezione del sacro non passa necessariamente per l’ambito religioso perché riguarda più specificamente la natura spirituale. La vera meditazione è essenzialmente uno strumento di conoscenza ma occorre un certo grado di maturità coscienziale per comprenderlo. Ecco perché, in realtà, non è una pratica per tutti. Sono le persone stesse che si eliminano dalla possibilità di praticarla. I più cercano, senza saperlo, conforto psicologico, un mezzo terapeutico per risolvere i propri problemi esistenziali o per ottenere di più dalla vita nella propria sfera personale. Cercano, senza rendersene conto, un rafforzamento dell’ego non la sua eliminazione: non cercano l’emancipazione verso il “noi” ma un potenziamento dell’”io-ego” per trovare un modo di imporsi efficacemente rispetto a prima (nel mondo degli affetti, delle amicizie, del lavoro, ecc.; il possesso anziché la condivisione e l’amore), per sopperire alle frustrazioni che fanno soffrire. I più cercano un potenziamento nel piano orizzontale, quello del divenire, ma pochissimi cercano davvero nel piano verticale, quello dell’essere. Ecco perché finiscono per trovare la meditazione dell’inganno, una truffa, la meditazione capitalista.
Le pratiche fisiche dello Yoga danno un senso di salute, di energia e di benessere; quelle mentali e le pratiche di rilassamento fanno sentire rilassati ed in pace con sé stessi. Ma non basta, se si vuole effettuare il percorso per intero e in modo corretto. È necessario armonizzare anche la personalità con la natura (compreso il mondo degli altri Sé). L’armonia di una personalità integrale con la natura è molto importante perché, mentre si cresce, ci si sviluppa, ci si eleva verso stati di coscienza superiori, ci si rende creativi, efficienti, dinamici, attenti all’armonia dell’Intero (non solo della propria vita ma anche della vita degli altri, quindi alla soluzione dei problemi nella società come il cancellare le disuguaglianze, e l’impegno sociale per i diritti di tutti). L’equilibrio di un autentico meditante supera la necessaria prova se riesce a mettere la propria consapevolezza in una posizione in grado di guardare ciò che occorre nel divenire e quanto attivare sul piano dell’essere: un unico “punto di vista” per i due “dominii” diversi.
La meditazione e lo Yoga sono per il fine ultimo che è la realizzazione del Sé. Non ci sono altri scopi. Chi la pensa diversamente, chi sente diversamente dentro di sé significa che non si rende conto di stare cercando altro e solo su un piano prettamente egoico, nel divenire.
La meditazione offerta dalle aziende alle proprie risorse umane è un inganno, un grande imbroglio, un’opera di manipolazione occulta delle coscienze: alle aziende interessa solo tenere sotto controllo i dipendenti, supportarli nello stress inflitto loro e indurli a produrre di più, mantenendoli nell’illusione di essere felici, contenti. Convincerli di non aver bisogno di contestare in nome di valori superiori al contingente: la vita precaria imposta (salari ridotti, mansioni dequalificanti, orari disumani, licenziamenti senza contestazione in nome della consapevolezza della ragione del datore di lavoro, ecc.) è un falso problema che nasce ed è reale solo nella testa, nei pensieri della risorsa umana in quanto ancora incompiuta. I vari guru aziendali, manipolatori di professione, invitano a meditare per superare la tendenza nella vita di evitare e rigettare le situazioni di dolore, di sofferenza, di insoddisfazione ma che sono indispensabili invece a bruciare il proprio karman. È l’ego che fa sentire insoddisfacente il proprio lavoro, quello che ti ha dato il karman, quindi ecco perché sono importanti viveka (discriminazione tra reale e non-reale), vairagya (distacco, abbandono, rinuncia verso ogni frutto dell’azione) e virakti (non-attaccamento). Devono essere molto evoluti questi guru aziendali pagati anche 12000 dollari al giorno per insegnare il distacco da ogni radice per ottenere la vera felicità. Basta pensare che negli Stati Uniti la meditazione-mindfulness è un mercato in crescita, un mercato da un miliardo di dollari, senza contare il business delle migliaia di app che aiuterebbero a calmare. Un grande imbroglio che sfrutta sistematicamente le conoscenze tradizionali esoterico-spirituali e la tendenza delle persone verso di esse: la manipolazione di concetti come karman, come distacco, come discernimento, come non-attaccamento al frutto delle proprie azioni, un totale rovesciamento dei veri significati e del vero senso di una scelta protesa verso un auto-miglioramento spirituale.
Quello che insegnano questi guru, in realtà, è un rafforzamento dell’ego individuale, il contrario di ogni insegnamento spirituale tradizionale (Vedanta, Yoga, Buddhismo, ecc.) e non la connessione con il Tutto ma la separazione dalla connessione con gli altri, con la società e la cultura nella quale le persone sono inserite.
Un autentico percorso spirituale di crescita non sarà mai focalizzato totalmente a livello individuale (ogni individuo è “parte” di un “Intero” e non può, non deve ignorarlo, se vuole fare un vero salto di consapevolezza superiore). Un meditante autentico, che segue le proprie istanze spirituali, non può separarsi e dissociarsi dalla necessaria trasformazione sociale e del benessere a cui tutti hanno diritto per potersi emancipare spiritualmente.
I guru della finta meditazione sono i guru (che si sono insediati nelle scuole, nelle aziende, nelle istituzioni, nei vari centri yoga o centri di fitness, persino nella politica) di una imposta spiritualità capitalista, un espediente elaborato strategicamente dalle élite che dominano il mondo segretamente. Propongono una meditazione lontana dalle naturali radici filosofiche o spirituali, un perfetto “prodotto” del Mercato globale. Non meditazione ma una subdola tecnica di training mentale per destrutturare la naturale capacità critica dell’individuo e renderlo pacifico (ma non in pace) e arrendevole.
Una totale distorsione della realtà come quella di propagandare e diffondere la meditazione antistress tramite le innumerevoli app. Che inganno colossale hanno esercitato sulle persone che purtroppo, assuefatte ormai al mondo digitale da esso dipendono in tutto e per tutto. Come può una app liberare una persona ingabbiata per l’uso compulsivo del digitale? Un malessere provocato dall’uso eccessivo del digitale come fa a sparire mediante l’uso di una app? Non ci risulta esserci una app magica in grado di farlo mentre ci sono invece insidiose app in grado di manipolare le coscienze con una efficace persuasione occulta (mediante anche messaggi subliminali).
Vogliono convincere che se una persona soffre per una situazione precaria lavorativa, o qualunque altro tipo di problema (esistenziale, di salute, comunicazionale, ecc.) il problema vero non sta nel lavoro schiavizzante a cui costringono, o a qualunque problema in sé, ma nella mente, nei pensieri della persona. Il guru aziendale spinge a diventare più lucidi, più produttivi ed essere felici di constatare come si riesca a potenziare le proprie possibilità, distaccandosi dall’aspettativa di ricevere il frutto delle proprie azioni. Il risultato è che la persona resta bloccato nel suo status quo, illuso anche di essere felice mentre l’azienda migliora il proprio trend, risultando tra le aziende migliori che sono vicine alle risorse umane. Tra queste risulta addirittura Google ma anche Yahoo, Nike, Time Warner. Tra non molto vedremo queste aziende offrire un pacchetto comprensivo di licenziamento e bonus per la meditazione in grado di aiutare a sopportare e supportare l’evento, di cui non c’è da preoccuparsi perché si tratta di una risposta del karman personale.
In un mondo dove le persone corrono sempre più affaccendate in quotidiani affanni, in vite che si arrovellano e si consumano, con un alto livello di stress è stato facile far spopolare la meditazione-mindfulness pubblicizzandola come una efficace tecnica antistress. Innumerevoli operai, impiegati, manager, professionisti vi hanno fatto ricorso. Persino supermanager dell’alta finanza. Anche alcuni membri dell’ONU la praticano tutti i giorni al proprio interno in una sala-tempio apposita.
Ecco, allora, molte aziende lanciate in tale direzione: offrire, ai propri dipendenti, corsi di meditazione antistress per il loro benessere e la loro felicità, per imparare a gestire i ritmi pressanti. Una iniziativa davvero impagabile, ma si tratta davvero di una formula concepita per far bene all’azienda e a chi ci vive ogni giorno? Sembrerebbe proprio un modo per gestire nel luogo di lavoro le ansie, le preoccupazioni, gli sbalzi emotivi, tutte quelle frustrazioni provocate dalle esperienze lavorative non soddisfacenti. Un metodo che facendo superare i picchi di stress e di insicurezza fa produrre di più grazie alle dinamiche che si vengono a creare.
In molte di queste aziende la meditazione-mindfulness fa parte del programma di formazione, con l’obiettivo di migliorare, dicono loro, l’intelligenza emotiva dei dipendenti dando occasione di crescita come persone.
Già alcune aziende, in Europa e negli Stati Uniti, adottano le “stanze del silenzio” per momenti di pace e il ritrovamento dell’equilibrio. Alcune offrono addirittura corsi di meditazione e di Yoga, altre programmi di salute e fitness e spazi per il rilassamento all’interno dell’azienda stessa.
Qual è il vero risultato di tutto ciò, visto che resta sempre valido il proverbio italiano che sostiene che “non è tutto oro quel che luccica”?
Le persone con le pratiche offerte dall’azienda diventano certamente più resistenti alla fatica e allo stress, sono più calme e non pensano alle conseguenze della pressione a cui sono sottoposte e così, volente o nolente, producono di più.
Chi ci guadagna veramente? L’azienda naturalmente, che ha escogitato questa nuova forma di governo, di gestione, di forma di potere che opera indirettamente contro la volontà delle persone e manipola i suoi desideri. La pratica fatta adottare dal dipendente riduce, allenta la capacità critica verso le dinamiche di ciò che gli stanno facendo vivere forzatamente. Si tratta di una perfetta manipolazione occulta delle coscienze.
Alcune aziende, senza scrupoli, miscelano le pratiche di meditazione con tecniche psicologiche e motivazionali di auto-miglioramento che puntano a trasformare la persona in una potenziale risorsa migliore (per l’azienda). Il lavoratore viene ingannato con il pretesto che può diventare, con tale percorso, “imprenditore di sé stesso”.
Le aziende sono solo interessate a far emergere dai lavoratori qualità come la “resilienza” e la capacità di gestire situazioni di stress (che essa stessa gli procura con l’incessante pressione lavorativa), soffocare ogni possibile criticità, evitare contestazioni e ottenere maggiore produzione, senza assumere altro personale, senza aumentare gli stipendi di chi sta producendo di più, senza qualificare le persone, tenendo le risorse nel loro status quo senza nulla far ottenere loro davvero, spingendole, in modo subdolo, verso una competizione mascherata. Una manipolazione delle illusioni, una prestidigitazione aziendale.
La vera meditazione, attivando la funzione della coscienza individuale, non persegue mai intenti finalistici, obiettivi particolari. La meditazione consente di raggiungere la dimensione della vera libertà che fa vedere come il destino individuale sia sempre legato a quello globale. La falsa meditazione, quella dei guru capitalisti, persegue la direzione opposta, tradisce il senso dell’autentico percorso-processo spirituale.
Queste tecniche di resilienza, diffuse da questi guru moderni, applicate al mondo del lavoro, risultano funzionali a manipolare le persone, a ingannarle, a offrire loro solo delle pericolose illusioni. Le persone sono indotte a restare nel loro stato di privazione, nel loro stato di incompiutezza, senza vera libertà, e a credere di aver raggiunto un qualche stato superiore di esistenza di cui essere felici. Quella fatta da molte aziende, tramite l’offerta della meditazione antistress, è una falsa riumanizzazione delle aziende, un espediente, una strategia per ottenere grandi risultati a costi minimi, sfruttando al massimo le proprie risorse umane.
Non c’è dubbio che pratiche come la meditazione, anche nelle forme più semplici, e la resilienza possono aiutare l’individuo (o la risorsa umana lavorativa), su un piano trasversale, a gestire e migliorare le proprie facoltà cognitive (incapacità di autoconsapevolezza, distrazione, incompiutezza, ecc.), ma è anche vero che se vengono utilizzate dalle aziende per manipolare le persone e costringerle dolcemente ad accettare i cambiamenti organizzativi e le dinamiche gestionali, senza migliorare alcunché della vita lavorativa siamo in presenza di una “intenzione diabolica”, quindi di una cosa non affatto buona. In tutto questo si può scorgere la tendenza materialistica e positivista dell’Occidente che inquadra tutto da un punto di vista utilitaristico.
Questi pseudo-guru non hanno la benché minima idea di ciò che invece fanno credere di conoscere bene e insegnare. Padroneggiano tecniche che agiscono solo su pochi aspetti della mente umana, quelle che permettono di manipolare, condizionare, plagiare le persone, tecniche che incrementano l’ego e trascurano il vero Sé. Non sanno, non hanno consapevolezza che tutto in questo mondo è “Coscienza” e che ogni individuo deve scoprire lo stato di coscienza che lo riguarda e che può permettergli di scoprire le possibilità che esistono in questa “Coscienza”. Ecco a cosa serve la meditazione, quella vera. Quella che viene chiamata tradizionalmente realizzazione spirituale è ciò che permette di rompere i limiti che impediscono lo svelamento della “Coscienza” e di conoscerne i suoi vari stati, gli stati molteplici dell’Essere. L’insegnamento esoterico del Vedanta (Veda-Conoscenza e Anta-punto ultimo del sapere) fa conoscere che sono cinque gli strumenti-veicoli che rendono possibile il contatto con i diversi livelli dell’Essere: strumenti che vanno dal livello fisico grossolano al livello più sottile. Questi veicoli vengono chiamati i Kosa che avvolgono e racchiudono il Sé-Atman, il principio cosciente individuale, la sostanza spirituale, il puro Spirito. Questi Kosa-veicoli sono, dal più grossolano al più sottile:
1. annamayakosa – involucro di cibo, corpo fisico grossolano (sthulasarira);
2. pranamayakosa – involucro di prana-energia vitale, corpo sottile (lingasarira);
3. manomayakosa – involucro della Mente, mano-manas = Mente;
4. vijnamayakosa – involucro dell’intelletto, vijnana = buddhi = Intelletto superiore;
5. anandamayakosa – involucro della Beatitudine, ananda = Beatitudine.
L’involucro fisico è il più esterno e quello della beatitudine il più interno.
Uno stato di coscienza è impersonale. L’ego-io è difficile da estinguere perché è difficile distaccarsi dall’identificazione con il corpo fisico grossolano che fa apparire reale l’ego-corpo-personaggio. L’ego riflette i “momenti” del divenire e passa da una affermazione all’altra a seconda dell’identificazione di cui si appropria: “io sono felice”, “io sono infelice”, “io sono questo”, “io non sono questo”, ecc.. L’errore coscienziale fa esistere più io-ego sociali a seconda di cosa si sta vivendo, di quale esperienza si sta facendo e così l’ego si perpetua nel tempo in quanto favorito proprio dalle diverse esperienze. Una dinamica che rende l’ego sempre causa di conflitto in quanto creatore di dualità. Eppure si può e si dovrebbe imparare a pensare senza identificarsi al prodotto del proprio pensiero.
Tutte le tradizioni insegnano che c’è un corpo fisico denso e grossolano, il jiva o anima e il puro Spirito o Atman. Il jiva (comprende la mente, il pensiero, i sentimenti, ecc.) è un riflesso dell’Atman.
Un vero sentiero spirituale indica di rivolgere l’anima-jiva verso il livello metafisico (il trascendente), la controparte divina e non verso il basso, verso il mondo sensibile (quello su cui istradano subdolamente i vari guru capitalisti), altrimenti si resta bloccati al proprio status quo senza nulla cambiare con l’illusione, invece, di aver effettuato chissà quali cambiamenti evolutivi. Gli insegnamenti dei guru capitalisti fanno restare sul piano della mente, che guarda al mondo dei fenomeni, cioè della dualità, un dominio superficiale. Nella profondità la dualità perde importanza, non ha ragione d’essere, si scopre che la molteplicità è Unità, quindi nulla da conoscere veramente fuori da sé stessi. Nella profondità ci si rende conto che è la mente che crea la dualità tra soggetto e oggetto. A livello di manas, della mente, non può esistere alcuna forma di realizzazione spirituale (perché manas proietta la divinità all’esterno di se stesso).
Potenzialmente tutti sono quello stato di “Coscienza” (che contiene tutti gli stati) però per una realizzazione spirituale occorre effettuare un percorso. Un “essere realizzato” (che di solito viene chiamato Maestro-Guru) può, con il proprio stato di coscienza, toccare lo stato di coscienza di un individuo che non si è ancora risvegliato e destarlo. Ciò è possibile solo se il “realizzato” tocca effettivamente lo stato di coscienza dell’altro, di colui che deve risvegliarsi, e non i suoi guna-qualità-attributi che lo distinguono nel divenire.
I guru capitalisti non sono in grado di aiutare nessuno perché coloro a cui si rivolgono, per manipolarli, sono tutte persone che vivono in uno stato di sofferenza e quindi di dualità, non stanno in quello stato di coscienza tipico di chi si è fatto, per maturità e scelta, ricercatore, aspirante alla realizzazione spirituale. Questi sofferenti vogliono solo che si possano risolvere i propri problemi, lavorativi o esistenziali che siano, ma non hanno vere e proprie istanze spirituali da voler seguire. Significa che in realtà vogliono restare nello stato di dualità, il dominio (il livello dell’ego-dualità) che bene o male conoscono anche se crea loro sempre dei nuovi problemi.
Questi guru non possono insegnare nulla di veramente valido: confondere e far perdere tempo è ciò che sanno fare molto bene e tutti i loro manipolati si ritroveranno, una volta volatizzatasi l’illusione subita, con le mani vuote e bloccati sempre allo stesso punto di partenza. Sono guru che non sanno nulla né della vita né della morte.
Eppure è importante sapere che subito dopo la morte, una volta lasciato il corpo fisico denso grossolano (sthulasarira) i più vanno nella parte inferiore di ciò che viene chiamato Taijasa (per l’occidentale ciò che viene chiamato “piano astrale”). I non-risvegliati spiritualmente, quando giungono in questo piano, hanno difficoltà a riconosce la condizione in cui si trovano, a realizzare il fatto che in realtà non sono morti perché spiritualmente immortali. Taijasa è il mondo intermedio tra lo stato grossolano-fisico (visva-virat) e quello principiale causale. Ha due sfere di influenza: taijasa inferiore e taijasa superiore. Quella inferiore viene esperita dall’ahamkara-ego, l’io empirico, l’essere individuato che si estende oltre che sul piano fisico anche nel piano sottile inferiore. La sfera superiore di Taijasa, che corrisponde all’ordine universale (hiranyagarbha), è dove si trova il jiva il cui veicolo-corpo di rapporto è la buddhi, questa di contro all’io empirico il cui veicolo di rapporto è invece manas, la mente oggettivante.
Cosa fa la vera meditazione? Aiuta a risvegliarsi e a far conoscere ciò che è.
Schema-mappa delle pratiche che possono aiutare in un percorso proteso verso la realizzazione spirituale:
Savasana: uno degli asana (postura, posizione) più importanti e difficili che esistano nell’Hathayoga, una delle posizioni supine. Il termine deriva dal sanscrito “sava” che significa cadavere e asana che significa posizione, quindi “posizione del cadavere”. Un cadavere è profondamente rilassato, non ha più contratture, è completamente disteso, come lo scopo che si prefigge di raggiungere quest’asana. Lo Yoga è la pratica per il controllo della mente e del Sé e savasana è parte di questo percorso per giungere a sperimentare, senza troppo sforzo, prima dharana-concentrazione e poi dhyana-meditazione e, in ultimo, per chi voglia arrivarci, al samadhi.
il Centro Paradesha
Dharana (f): “concentrazione”, forzato mantenimento dell’attenzione o “stabilizzazione” del flusso della consapevolezza su un oggetto mentale. È il sesto mazzo (anga) o stadio del rajayoga di Patanjali che prelude e prepara alla meditazione (dhyana) vera e propria.
Dhyana (n): “meditazione”, costante attività riflessiva: una delle sei perfezioni (paramatita). Il settimo mezzo o stadio (anga) del rajayoga di Patanjali, nel quale la concentrazione (dharana), inizialmente forzata, cede il posto a un naturale, costante e continuo flusso di consapevolezza verso l’oggetto di meditazione. Dhyana prepara il samadhi, o contemplazione, nel quale si raggiunge la completa fusione con l’oggetto.
Samadhi (m): “contemplazione”, contemplazione profonda, contemplazione trascendentale; “identità contemplativa”, “divino assorbimento” (Ma. Ka. 3.37), contemplazione in cui si raggiunge un perfetto stato di identità essenziale e quindi coscienziale; l’integrale assorbimento che consegue alla costante e continua meditazione profonda (nididhyasana). Secondo l’etimologia tradizionale (nirukti), il termine samadhi designa una consapevole “identità” (sama) trascendente (adhi) che, superata la fase della concentrazione volontaria (dharana) e della meditazione (dhyana), si risolve in un flusso costante, ininterrotto e spontaneo di consapevolezza priva di qualsiasi fluttuazione, distrazione o decadimento. Il samadhi costituisce l’ottavo e ultimo mezzo o passo (anga) del rajayoga di Patanjali il quale, nello Yogasutra, ne dà una descrizione assai dettagliata e mette in evidenza la distinzione fondamentale tra samadhi ”con seme” (sabìja-) e “senza seme” (nirbìja-). In genere designa lo stato di unione (yoga) col Divino personale (isvara) e di identità (aikya) col Divino impersonale (brahman) al quale perviene lo yogin. In relazione al contenuto di coscienza si distingue in samadhi “con proiezione-differenziazione” (savikalpa) e “senza proiezione-differenziazione” (nirvikalpa). Nel samadhi di qualunque specie ha termine la sadhana vera e propria e inizia la presa di consapevolezza del sostrato brahmanico. Cfr. Drgdrsyaviveka.
tratto da Glossario Sanscrito, a cura del Gruppo Kevala, Parmenides Associazione Ecoculturale
“All’inizio la meditazione è estremamente importante. C’è la meditazione con supporto (o oggetto) o senza supporto. Per un principiante, la miglior cosa da fare è cominciare con un supporto concreto qualunque, come un libro, per esempio, affinché il suo spirito possa giungere ad un certo livello di concentrazione, un grado elevato d’attenzione su questo supporto particolare, perché il pensiero ha la tendenza a disperdersi. È molto difficile bloccarlo in un’unica posizione. Una meditazione con supporto favorisce dunque la concentrazione.
Nello Yoga-darshana, che è il Raja-yoga di Patanjali, i tre ultimi mezzi sono dharana (la concentrazione), dhyana e samadhi. Questo comprende l’attenzione, la concentrazione e la meditazione affinché il mentale si focalizzi. Abitualmente la mente perde una quantità importante della sua energia. Una mente che disperde la sua energia non può creare qualcosa di positivo, qualcosa di buono. Chiunque abbia compiuto un lavoro d’una certa importanza, anche nel mondo esteriore, ha dovuto, in ogni caso, fare prova di una fortissima capacità di concentrazione. Uno scienziato o un matematico deve possedere questo tipo di concentrazione per scoprire certe leggi. Molto evidentemente, quando la nostra Coscienza riposa in se stesa e vive per e attraverso se stessa, la meditazione non è più necessaria. Così, la meditazione è un mezzo molto potente per collocare tutti i veicoli in stato di attenzione, di concentrazione. Ben inteso, esistono differenti tecniche di meditazione, ma penso che non abbiamo il tempo di affrontarle ora (…)”.
Raphael