uguaglianza (o eguaglianza) s. f. [der. di uguagliare, eguagliare]. – (1. a. …). 2. a. La condizione per cui ogni individuo o collettività devono essere considerati alla stessa stregua di tutti gli altri, e cioè pari, uguali, soprattutto nei diritti politici, sociali ed economici: pretendiamo u. di trattamento per tutti; riconoscere l’u. dei cittadini di fronte alla legge; l’u. fu uno dei principî fondamentali della rivoluzione francese. Nel diritto costituzionale si distingue un’u. formale, per la quale si riconosce a tutti gli uomini pari capacità giuridica, e in particolare a tutti i cittadini pari godimento di tutti i diritti politici, e un’u. sostanziale, che è compito della Repubblica promuovere, secondo il dettato dell’art. 3 della Costituzione, per realizzare «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». In diritto internazionale, u. degli stati, situazione in cui si trovano gli stati in quanto componenti della comunità internazionale, quali membri, cioè, di una società perfettamente paritaria, enti sovrani indipendenti gli uni dagli altri. b. Con sign. più generico, parità di condizione (o il sentimento di essere di condizione pari): gli parve che i due compagni gli parlassero con un accento di cameratesca u. che lo commosse (Jovine). 3. La qualità e l’aspetto di cosa che presenti una superficie uniforme, liscia, senza asperità: u. di un terreno; fig., u. di stile, in uno scrittore.
http://www.treccani.it/vocabolario/uguaglianza/
diṡuguaglianza (o diṡeguaglianza; ant. diṡagguaglianza) s. f. [comp. di dis-1 e uguaglianza]. – 1. L’esser disuguale; non uguaglianza, disparità: d. di condizioni, d’età, di valore, di grado; c’è d. fra le due cose; io, che son mortal, mi sento in questa Disagguaglianza (Dante); abolire le d. sociali; mancanza di uniformità: pareggiare le d. del terreno. 2. In matematica, relazione nella quale si afferma che un numero è maggiore o minore di un altro, o che una grandezza è maggiore o minore di un’altra della stessa classe; è indicata genericamente con il simbolo ? o specificatamente con i simboli ‹ e ≤ (minore di, minore o uguale di) oppure > e ≥ (maggiore di, maggiore o uguale di).
http://www.treccani.it/vocabolario/disuguaglianza/
ineguale (o inuguale) agg. [dal lat. inaequalis]. - 1. [che non si presenta uguale: colori, forze i.] ≈ differente, diseguale, disomogeneo, dissimile, dissomigliante, disuguale, diverso, impari. ↔ identico, omogeneo, pari, uguale. 2. a. [di superficie e sim., che non risponde a un principio di uniformità: terreno i.] ≈ accidentato, difforme, scabro. ↑ tormentato. ↔ liscio, uniforme. b. [di ritmo, moto e sim., che non presentano uniformità: un'andatura i.] ≈ discontinuo, incostante, irregolare, variabile, variato, [di polso, respiro e sim.] aritmico. ↔ continuo, costante, regolare, uniforme.
http://www.treccani.it/vocabolario/ineguale_%28Sinonimi-e-Contrari%29/
L’uguaglianza è, dunque, l’Ideale etico-giuridico o etico-politico, secondo cui i membri di una collettività devono essere considerati allo stesso modo relativamente a determinati diritti o valori. Bisogna, quindi, riconoscere l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Se questo ideale fosse realmente preso in considerazione e attuato nella vita di tutti i giorni, nella vita di tutti, significherebbe che i nobili articoli-principi della Costituzione sono stati attuati e applicati, così come quelli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Sappiamo benissimo tutti, per esperienza di vita, che così non è. Il problema sta in Alto (lo Stato, la classe dirigente delle Istituzioni, la classe politica, la classe dirigente dei privati) come anche in Basso (i cittadini, il popolo sovrano). Nessuno, in Alto come in Basso, vive, incarna i principi fondamentali che permetterebbero una società delle uguaglianze. Vive e si è imposta una disuguaglianza sociale, una concreta differenza oggettivamente misurabile e soggettivamente percepita.
Ormai si tratta di una questione sociale che può essere analizzata e affrontata da un punto di vista scientifico ma che nessuno sembra interessato ad affrontare, compresa la stessa classe politica che pensa soltanto alla propria sopravvivenza e a servire il potere sovranazionale anziché il proprio Paese. Tanti gli esperti che dissertano in merito, politologi, sociologi, psicologi, psichiatri, antropologi, tutti soggetti che vivono alla grande delle loro speculazioni intellettuali che non risolvono nulla. La stessa religione (della “Chiesa dei poveri”) preferisce incrementare l’istituzione dell’elemosina che favorisce e sostiene le disuguaglianze che portano acqua al suo mulino, ma non mette mai mano alle sue immense riserve di ricchezza (comprese le tonnellate di lingotti d’oro in Vaticano e l’accumulo di denaro dell’Imu non pagata – 5miliardi di arretrati – e degli arretrati dell’Ici non restituiti). Una “Chiesa dei poveri” che ha una Banca (lo Ior) dei ricchi che non aiuta i poveri: è simbolo-piaga dell’attuale società sempre più egoista.
Dovrebbe essere dovere di tutti gli aventi diritti tenere il giusto atteggiamento verso quell’insieme di fenomeni psicologici, economici, sociali e culturali, che purtroppo sfuggono alla sensibilità generale, che sono insiti nella predisposizione sensoriale dell’umanità. I tempi non saranno mai maturi se tutti non fanno il loro primo passo responsabile.
Al potere, purtroppo, primeggiano degli irresponsabili che diventano anche sciacalli in momenti come quelli attuali, attraversati dal pericolo di un Corona-virus che andrebbe gestito diversamente da come stanno facendo (26 febbraio 2020), sia concretamente sia mediaticamente: gli uni accusano gli altri senza cercare di trovare una forma di unità neanche in una emergenza nazionale. Sono gli irresponsabili della politica, di destra e di sinistra, che danno il cattivo esempio ai cittadini che finiscono, alcuni, per commettere errori irreparabili come quelli di non attenersi ai protocolli rilasciati dalla Sanità e permettere al virus di diffondersi, di aumentare il numero dei contagiati. Egoismo e indifferenza verso il bene e il benessere altrui mettono in pericolo la società umana. In tali circostanze sono più gravi i comportamenti di coloro che stanno in Alto (che hanno il dovere di essere responsabili) che quelli che stanno in Basso (i cittadini vittime della paura, dell’ignoranza e dell’egoismo).
Irresponsabili sono anche gli economisti che, in questo particolare momento di allerta per il virus, bombardano la pubblica opinione sulla probabilità che l’Italia vada in recessione, visto come sono andate giù le Borse. Molti sono gli speculatori, gli sciacalli, i criminali intellettuali che stanno cavalcando l’onda del Corona-virus a discapito dei più.
C’è chi si preoccupa, in Alto, in questo momento che la priorità sia data alla tutela della salute, che si possa bloccare il Pil al 40% e che la Lombardia (le altre regioni sembrano non contare) rischia 6,5 miliardi di euro, quindi richiede sostegno al governo. Una regione egoista può mettere a repentaglio la stabilità delle altre regioni e dell’intero Paese. L’egoismo può distruggere l’umanità in men che non si dica, quindi la principale cura per tutti i problemi che stanno affliggendo il mondo è “meno egoismo”, “più altruismo”, seguita dall’uso intelligente del discernimento-discriminazione e dalla coltivazione di una visione capace di vedere “l’unità di tutte le cose”.
Compito dello Stato è anche quello di eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini, aiutando specialmente i ceti meno benestanti: esiste per questo il welfare state (lo Stato sociale). Purtroppo non viene fatto nel modo giusto e in modo sufficiente perché la cosa è in mano alla politica, a tutti quei politici che perseguono tutt’altro che il bene comune e quando sembra che cercano di farlo è solo campagna elettorale, ricerca del consenso, cioè menzogna, inganno.
Lo Stato sociale dovrebbe essere un sistema che si propone di fornire servizi e garantire i diritti considerati essenziali perché ogni cittadino abbia dignità morale ed economica.
Lo Stato sociale dovrebbe offrire:
- assistenza sanitaria;
- pubblica istruzione;
- un reddito di necessità in caso di accertato stato di bisogno;
- assistenza di invalidità e vecchiaia;
- accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, eventi culturali, ecc.);
- difesa dell’ambiente.
Questi servizi, che dovrebbero essere offerti in modo più che dignitoso, non sono mai all’altezza di come vengono forniti: vengono finanziati, quelli forniti anche in modo precario, dal prelievo fiscale, il sistema di tassazione diventato pesante e insostenibile per una gran parte dei cittadini, soggetti ad una scala di difficoltà. Questo Stato sociale, che non ha mai funzionato alla perfezione (per incompetenza, disorganizzazione, parassitismo, boicottaggio e corruzione) si trova, nell’oggi, ancora più in difficoltà per la crisi diffusasi e mai più cessata, per il degrado politico e l’egoismo penetrato in profondità in Alto come in Basso.
Occorrerebbe un cambiamento, un intervento capace di esprimere la necessità di un mutuo concorso di forze. Difficile capire chi dovrebbe o potrebbe cominciare per favorire il “cambiamento”: un “cambiamento”, però, che deve significare un evidente “miglioramento”. Meno egoismo, più solidarietà, condivisione, compartecipazione, organizzazione, buon senso, intelligenza, etica e amore sono gli “ingredienti” necessari. Senza questi “fondamentali” è impossibile qualsiasi tipo di movimento veramente intenzionato a migliorare le cose.
Dalla prima elementare forma di Stato sociale, introdotta nel 1601 in Inghilterra, con la promulgazione delle leggi sui poveri (Poor Law), al welfare nel dopoguerra, che inizia il suo viaggio verso l’oggi, con il 1942, anno in cui nel Regno Unito viene compiuto un passo decisivo con il “Rapporto Beveridge”, rapporto che introdusse e definì i concetti di Sanità e pensione sociale per i cittadini.
Tra alti e bassi la garanzia delle prestazioni pubbliche, per una certa stabilità sociale, non ha mai funzionato completamente, nonostante l’aumento dei bisogni civili, di decennio in decennio.
In molti hanno fatto finta di ricercare, negli anni, il miglior equilibrio possibile tra prestazioni e stabilità dell’organismo sociale. Gli entusiasmi sono sempre cessati, come pure gli azionamenti necessari, subito dopo ogni campagna elettorale.
Ma chi c’è veramente dietro il “Potere” esercitato che non prende sul serio i bisogni collettivi necessari? Chi è che non vuole eliminare le disuguaglianze e fa di tutto per perpetuare una “società di disuguali” anziché una “società delle uguaglianze”?