Gli italiani dovrebbero sapere ciò che è accaduto, negli anni ’90, con le famose privatizzazioni, la svendita dei gioielli del Paese per mano di personaggi traditori della patria. Le disgraziate privatizzazioni sono quelle di Autostrade, Ilva, Alitalia e la più razziata di tutte quella di Telecom Italia (la vecchia Sip, una società invidiata a livello mondiale). Oggi Tim è in grande difficoltà perché indebitata, minacciata e a rischio caduta libera, o rischio implosione con il pericolo di fare almeno 20mila esuberi. Un grave affronto ai dipendenti che da anni subiscono i capricci di una classe di manager voraci, egoisti (che si foraggiano di superbonus), crudeli e disumani che nel tempo hanno sottratto ai lavoratori sempre più risorse, si guardi anche l’ultimo contratto di solidarietà e l’erosione di pezzi di stipendio e all’inevitabile smart working che ha causato il venire meno dei “buoni pasto”, un altro pezzetto di stipendio sottratto impropriamente. I superbonus che prendono non sono illegali ma immorali sì, in un momento critico, di grandi sacrifici, come quello che stanno attraversando i dipendenti e i cittadini dell’intero Paese.
Hanno permesso, a suo tempo, che dei privati “predoni del Nord” molto voraci, senza rischiare nulla e senza spendere un euro di tasca propria, scalassero a debito la società. In primis Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti (Olivetti) con al seguito di banche e azionisti tra cui FIAT, cui succederà una cordata capitanata dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera, con gli onnipresenti Benetton e le solite banche al seguito, che dopo averla depredata l’hanno restituita al Paese malata-sottosviluppata.
Sono Prodi e Ciampi che permettono, nel 1997, l’oscena privatizzazione della Telecom Italia che così passa da 120mila a 50mila dipendenti con un aggravamento pesante del debito, cui si affianca lo svuotamento significativo della società a livello patrimoniale (si pensi solo alla svendita degli immobili a prezzi fuori mercato, che ASATI ha stimato generare una perdita in termini di ricavi di circa 3miliardi di euro. Una serie di operazioni fallimentari (si pensi solo al caso SEAT che da solo ha generato una minusvalenza di 6miliardi di euro) e la dismissione di asset strategici per l’azienda, come Telecom Argentina che raddoppierà il suo valore due anni dopo. Secondo alcuni studi, durante la gestione Pirelli, se non fossero state vendute le quote di tutte le partecipate estere per ridurre i debiti (Perù, Grecia, Turchia, Spagna, Austria, ecc.) Telecom Italia avrebbe potuto contare su un fatturato superiore del 50%.
Invece il depauperamento della società è continuato con la pressoché assenza di investimenti (anche per colpa di un azionariato privo di una visione a lungo termine) e senza una vera visione strategica da condensare in un serio piano industriale. Da cui il ritardo tecnologico accumulato che si traduce per l’Italia e per tutti noi cittadini, nell’arretratezza in termini di digitalizzazione dei servizi e in termini di mancata produttività per le aziende, che non possono contare ancora oggi su una infrastruttura di rete stabile interamente realizzata in fibra.
Luigi Gubitosi, il capo di oggi di Tim, a cui piace che si racconti in giro di lui che è un manager di ferro (a noi appare piuttosto di fragile argilla, un manager dell’apparenza che punta su sostegni esterni, con quanto ha fatto e pensa di fare), qualche giorno fa ha fatto pervenire ad ogni singolo dipendente una sua comunicazione. Una vera e propria esaltazione di sé che non sta né in cielo né in terra, di cose eccellenti che avrebbe fatto e di quelle che sta per fare, oltre che presentare l’azienda come un gigante quando in realtà ha in mano al momento, una società nana piuttosto malconcia. In questa comunicazione non riferisce tuttavia ai dipendenti che Tim si trova al centro di diverse fazioni che sono in guerra tra loro: quella dei partiti che vorrebbe una rete “neutra”; quella che non la vuole “neutra”; la fazione incarnata dal ministro Gualtieri che spalleggia Gubitosi (chissà perché); quella di altri uomini del governo che invece attaccano Gubitosi; quella dell’ad di Enel Francesco Starace che fa finta di non voler vendere OpenFiber perché un’eccellenza e che dopo un anno di litigi con Cdp, si riuniscono insieme contro Gubitosi.
Questa omissione di informazione, nella comunicazione data ai dipendenti, che sarebbe lecito dare loro onestamente, come va interpretata alla luce di quanto sta per accadere nel prossimo futuro, oltre il dicembre 2020?
“(…) Prima di tutto, vorrei esprimervi la mia soddisfazione per essere riusciti a mantenere il Paese sempre connesso durante tutta l’emergenza sanitaria. La nostra rete si è dimostrata resiliente e affidabile. Abbiamo permesso a cittadini, ospedali, aziende, scuole e pubblica amministrazione di continuare a comunicare e operare. In questo periodo abbiamo contribuito a ridurre il digital divide portando l’ultrabroadband di TIM in oltre 1700 comuni avendo attivato oltre 10.000 nuovi cabinet a fine luglio. Abbiamo anche voluto comunicare la nostra vicinanza a tutti gli italiani attraverso due spot istituzionali che ripercorrono la storia del Paese attraverso l’evoluzione delle telecomunicazioni e raccontano il nostro contributo durante l’emergenza Covid-19 insieme all’Arma dei Carabinieri, suscitando l’orgoglio di tutti i colleghi TIM.
(…) Stiamo inoltre portando avanti molti progetti strategici per la nostra Società e per il Paese, dal potenziamento dell’offerta di servizi digitali in partnership con leader mondiali come Google, all’arricchimento dei contenuti grazie agli accordi con Disney+, di cui siamo distributori esclusivi in Italia, e con Netflix, accordi che da un lato stanno registrando un elevato apprezzamento e dall’altro stanno rafforzando ulteriormente il posizionamento di TIMVISION.
(…) Sul fronte della gestione ordinaria le nostre attività mostrano segni positivi di ripresa, con un secondo trimestre in cui abbiamo registrato un buon andamento delle linee fisse e mobili, con tassi di disconnessione in calo rispetto ai trimestri precedenti.
(…) È proseguito l’ottimo lavoro sui costi, che nel trimestre si sono ridotti del 13%, consentendoci di registrare un EBITDA di 1,8 miliardi, in calo del 6,4%.
Queste efficienze sulla gestione ordinaria e l’operazione straordinaria di INWIT ci hanno permesso di generare cassa e ottenere una riduzione record del debito: -1,7 miliardi di euro nel semestre e -2,4 miliardi di euro rispetto allo scorso anno.
(…) Ci siamo impegnati nell’ultimo periodo per agevolare il più possibile la gestione di questo momento con iniziative dedicate alle persone di TIM su salute, famiglia, lavoro e le necessità più rilevanti: vogliamo continuare questo percorso anche nella fase post-Covid, sperimentando un nuovo modello di lavoro che coniughi digitalizzazione dei processi, ripensamento degli spazi e organizzazione agile delle attività.
(…) Anche grazie all’accordo siglato con le Organizzazioni Sindacali il 4 agosto, che definisce le regole del gioco e le tutele associate a questo nuovo modello, investiremo con fiducia sulla flessibilità, l’autonomia e la responsabilità professionale delle persone di TIM, certi di poter favorire così l’espressione del miglior contributo da parte di tutti, la condivisione delle idee, la qualità verso i nostri clienti. Stiamo lavorando per rendere i nostri uffici più confortevoli e funzionali, con l’obiettivo di riaccogliere tutti nel modo migliore al termine di questa lunga fase di transizione post emergenziale e ripartire in modo più moderno e dinamico, alternando giornate di lavoro in ufficio con altre da remoto e rafforzando la capacità di lavorare per obiettivi (…)”.
Luigi Gubitosi
Stralci della comunicazione ai dipendenti
(Operations TIM e resilienza e impegno)
Qualcosa continua ad essere poco chiaro in Tim, nonostante gli spot futuristi e le diverse forme di propaganda positiva. In questo periodo, infatti, alcuni vecchi dirigenti d’alto livello, competenti, professionali ed onesti, vengono sostituiti, accantonati, con soggetti provenienti dalle banche, dalle società di consulenza che lavorano già per Tim, delle vere incognite incomprensibili (soggetti che si stanno dimostrando, sin da subito, incompetenti per i temi previsti dalla funzione assunta e cercano di compensare i propri vuoti con l’arroganza e la prepotenza nei confronti delle risorse che a loro si riferiscono).
I grandi supermanager di Tim sembrano essere bravi solo a prendere i superbonus (facilmente, senza fatica e senza rischi) e a tenere sotto minaccia velata i dipendenti in smart working, costringendoli con molti artifizi a lavorare il triplo del dovuto (di quanto stabilito dal contratto di lavoro), sottraendo pause, ora di pranzo e ingabbiandoli oltre l’ora di cena, creando molti problemi nelle famiglie con o senza figli: una vera intrusione mascherata nelle famiglie, una strategia ben consapevole del fatto che i lavoratori, per paura di perdere il posto di lavoro o di rientrare nei prossimi esuberi, non azionano alcuna rimostranza, né informano i sindacati. Costringono perfino, come ci hanno raccontato molti dipendenti affidabili (da Palermo a Milano), a lavorare di sabato, di domenica e addirittura nei giorni di ferie, con i pretesti di urgenze inverosimili (chi svolge le proprie attività riconosce benissimo quando subentrano delle effettive urgenze). Addirittura, alcuni, hanno costretto delle risorse a rientrare dei giorni in azienda o a effettuare viaggi di lavoro in altre regioni senza alcuna vera necessità, violando il decreto governativo e le disposizioni aziendali. Insomma si tratta di dirigenti o dei responsabili 7Q che si comportano da caporali (ossessionati dalle proprie carriere a discapito delle risorse umane maltrattate) e certamente, ne siamo fermamente convinti, senza che l’azienda ne sia consapevole e responsabile in alcun modo. Il problema però esiste e andrebbe risolto con una severa presa di posizione dell’azienda nei confronti di questi “responsabili-caporali” (irresponsabili) che abusano della loro posizione, ben consci di esercitare pressione psicologica sui dipendenti. Lo smart working è risultato inconciliabile con la vita familiare di molte lavoratrici (donne-mogli-mamme), per un ben 65%. Intere famiglie gettate in un mare di conflitti: non tutti hanno appartamenti così grandi da poter dividere l’attività di smart working (per i contatti telefonici, per le conference call a cui i lavoratori sono chiamati continuamente e in alcuni casi a delle necessarie stampe da effettuare) dalle normali vicissitudini familiari (gestione serena dei figli, un normale dialogo tra coniugi, spazi a tavola per pranzo e cena scissi dai dispositivi e dagli accessori necessari allo svolgimento delle attività in smart working). Molte le donne-lavoratrici in crisi nello smart working, che manifestano emicranie continue, insonnia, stati di ansia e preoccupanti segnali di depressione, pensano di lasciare il posto di lavoro (segnalazione in un report dell’Università Bicocca).
Nessuno, in Tim, ha pensato di dare, oltre alle sole belle parole della comunicazione fatta pervenire ai dipendenti, a tutti i lavoratori in smart working, con i sacrifici fatti in questi mesi di pandemia un piccolo “bonus” di riconoscimento, invece di distribuire i soliti superbonus ai soliti ben foraggiati supermanager.
Non c’è nessuna bravura, nessun merito in una operazione come questa inflitta ai dipendenti in smart working, al punto da prenderci anche dei superbonus: uno spreco cerebrale di diversi manager. Un manager, responsabile di risorse umane, dovrebbe essere uno che sa “percepire” le difficoltà dei propri sottoposti, dovrebbe saper “ascoltare” oltre che “condividere” tutte le informazioni necessarie. Tutto ciò cosa significa in realtà? Significa che un manager dovrebbe essere dotato di intelligenza emotiva e riuscire a comprendere-controllare le emozioni e restare sempre obiettivo nei suoi giudizi e nella guida delle risorse che a lui si riferiscono (senza mai trasformarsi in un deplorevole “manager-caporale”).
Colui che si appresta a svolgere il ruolo di manager dovrebbe essere selezionato in quanto dotato della capacità di saper essere un “centro di raccolta” di altri individui. Fare il manager non è come pensa la maggior parte di quelli che lo fanno, cioè essere un “capo” a cui si deve obbedienza e non lo si discute, ovvero recitare l’uomo forte al comando (un modello davvero ridicolo anche se ambito dai più). A nulla vale una elevata competenza senza la presenza di questa dote naturale, perché i risultati vengono realizzati dalle risorse, il manager non può riuscire a fare tutto da solo, anche se la tendenza dei più è di prendersi il merito di tutto compreso il superbonus. Manager dovrebbe essere colui che ha saputo sviluppare in sé, oltre alla competenza, le necessarie forze psichiche centrifughe e centripete di irradiazione e di attrazione, ovvero essere riuscito a costruire spiritualmente, tra sé e gli altri, tra gli altri e sé e tra gli altri tra loro, canalizzazioni spirituali, per realizzare un’unitaria sincronizzazione-pulsazione tra i complessi umani diretti. Un individuo di tale profilo e spessore è un vero manager, capace di essere naturalmente un leader etico. Senza un tale profilo e spessore chi si sente supermanager, anche se si accaparra i famosi superbonus, è ben altro, appartiene ad una categoria, in realtà, più miserevole. Un vero manager è un sollecitatore e accordatore di oscillazioni cellulari, è uno capace di ritrovare sempre la migliore forma di sé per farla ritrovare ai suoi collaboratori (non sottomessi). Un manager autentico è un liberatore di sé e degli altri, il suo dirigere non è solo un ruolo-funzione ma qualcosa che va oltre i complessi che dirige: può determinare attraverso elevati pensieri, equilibrate parole e sagge azioni-comportamenti, un’atmosfera elevata dove i singoli o i gruppi, dei complessi che dirige, possono manifestare o sviluppare al meglio i loro creativi fuochi interiori.
Questi supermanager, dal basso profilo e poco spessore, risulterebbero mancare di lungimiranza, una delle principali e fondamentali capacità che dovrebbe possedere un buon manager.
In realtà Tim, grazie ai suoi manager superintelligenti e voraci, si ritrova bloccata in più fronti, come prigioniera. Un esempio è quello che Tim (Gubitosi) è stata costretta a bloccare per un mese l’ingresso nella società della rete degli americani di Kkr (vuole una newco unica, ma non può rinunciare al controllo). Significa il congelamento, fino a fine Agosto, sull’intesa fra l’ex monopolista, il fondo d’investimento americano Kkr e Fastweb sul tratto finale della rete che porta la linea telefonica dentro le case. Un tale blocco sarebbe stato evitabile se i supermanager addetti fossero stati capaci di pensare nella giusta direzione, quella del solo interesse aziendale e avessero avuto l’indole ai “giusti, retti ed equi rapporti”? Un altro esempio è quello sul fronte di un evidente conflitto di interesse riguardo a Cdp (che dovrebbe essere indipendente) che sta sia in Tim sia in Enel (nell’operazione OpenFiber). E ancora, l’esempio che riguarda Vivendi (Vincent Bolloré) che con la sua posizione di peso (azionario) riesce a condizionare Tim perché serve il suo consenso per una operazione di sistema. I supermanager non avrebbero dovuto far arrivare a tanto, a suo tempo, Vivendi. Sarebbe bastato pensare correttamente, con un po’ di lungimiranza, per evitare una tale deplorevole situazione.
Questi supermanager, prima di mettere in campo qualsiasi tipo di azione, non dovrebbero dimenticare i gravi errori fatti nel passato (anni ’90) quando la rete Telecom Italia (costruita con i soldi dello Stato) venne privatizzata assieme alla compagnia telefonica. I privati, si sa benissimo, pensano solo ai profitti e non agli investimenti e lo si è visto in tutti questi anni, dalla privatizzazione ad oggi. L’azienda è stata spolpata dai vari supermanager e capi azienda senza scrupoli che si sono succeduti.
I supermanager di Tim non hanno saputo (o forse voluto?) vedere-affrontare, a suo tempo, la questione delicata di carattere politico-finanziario permettendo che nel capitale di Tim e in quello di Mediaset ci sia la stessa presenza ingombrante del socio francese, la Vivendi.
La verità è che Tim si ritrova, nell’immediato, a dover-saper gestire un grande problema, una vera e propria partita dal difficile equilibrio di interessi.
A rischiare e a subire, come sempre, dalla privatizzazione ad oggi sono i dipendenti, capaci e professionali nelle loro elevate competenze, nonostante tutto (nonostante i vari supermanger incapaci che si sono succeduti), senza i quali l’azienda sarebbe già precipitata in un pozzo nero.
Le azioni apparentemente incomprensibili dell’oggi sono quelle motivate, e strategicamente mosse, per essere pronti ad accogliere, all’orizzonte degli eventi, i miliardi di finanziamenti in arrivo da Bruxelles col Recovery Fund.
Le aziende come Tim, Mediaset, Rai, Enel stanno nella posizione strategica del gatto mammone, pronto a fare il balzo sulla “preda”, i bei pezzi allettanti di finanziamenti del Recovery Fund Ue.
Sip-Telecom Italia-Tim è diventata, dalla privatizzazione in poi, una società acquistabile sempre a debito, da qui si spiegano i 31,5 miliardi di euro di debiti lordi.
La Tim, se è sincera nello spirito che sembra emergere nella comunicazione data ai dipendenti, in cui si evince un interesse per il bene del Paese, dovrebbe tenere conto di quanto ha diffuso nel suo report la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno): nel Mezzogiorno il Covid-19 ha cancellato il 6% dei posti di lavoro mentre al Settentrione il 3,5%. Ci permettiamo di fare tale accostamento perché abbiamo il sospetto che Tim, nonostante tutto, abbia in mente di dichiarare ulteriori esuberi nel prossimo futuro.
L’egoismo o il vero senso di solidarietà degli imprenditori-aziende può fare la differenza dopo il dicembre 2020?
Ogni azienda, verso qualsiasi politica si voglia avventurare nel post-Covid, non dovrebbe dimenticare, dovrebbe tener conto che tra il 2007 e il 2017 le politiche attive italiane sono state un vero disastro per i cittadini-contribuenti-lavoratori. A nulla sono servite le politiche attive innescate, considerate geniali (dagli idioti che le hanno fatte): la famosa legge Biagi; l’istituzione dei voucher; la riduzione del cuneo fiscale per i privati; l’abolizione dell’Articolo 18; l’imposizione del Jobs Act da parte del governo Renzi; l’azzeramento dell’Irap. Parliamo di politiche che hanno fallito il loro scopo (un fallimento facilmente prevedibile) perché, in soli dieci anni, il tasso di disoccupazione dal 57,1% del 2007 è passato soltanto al 58,4%. Un fallimento che è costato allo Stato circa 30miliardi e gettato i cittadini-lavoratori dentro un mare di conflitti e di problemi. Una situazione italiana che la pandemia del Covi-19 ha evidenziata e gravemente peggiorata. E cosa hanno fatto molte aziende-imprenditori che non avevano affatto bisogno degli aiuti di Stato? Hanno usufruito dei soldi pubblici ma senza migliorare la condizione dei lavoratori. Hanno, invece, contribuito a peggiorarla, cominciando gradualmente a smantellare quei diritti che si erano conquistati con lunghi anni di lotte, di sacrifici e a volte di sangue.
Quali sono state, in questi dieci anni, le politiche di Telecom Italia-Tim per aiutare il Paese e i suoi cittadini-lavoratori?
Un uomo è, innanzitutto, un cittadino che ha diritto ad una dignità morale ed economica date dal lavoro come sancisce la Costituzione italiana (che garantisce tutti i diritti necessari alla persona umana). Non solo, ha diritto anche a quello che specifica chiaramente lo Statuto dei Lavoratori e cioè che il cittadino (della Costituzione) non può perdere i propri diritti nei luoghi di lavoro. Ogni datore di lavoro dovrebbe tenerne sempre conto ogni volta che aziona una nuova politica aziendale. Qualsiasi tipo di modello organizzativo del lavoro (compreso lo smart working) non può mettere in discussione i diritti del cittadino-lavoratore. I diritti riguardano la libertà, l’uguaglianza, la parità di genere, la casa, la salute, i trasporti, l’ambiente, ecc..
Il Paese Italia, ma anche ogni azienda che sinceramente ha a cuore il futuro destino della nazione, dovrebbero ripensare le proprie politiche egoistiche e rimettere l’uomo (il cittadino-contribuente e il lavoratore-dipendente) al centro, altrimenti ogni tentativo di ripresa risulterà una falsa partenza. Serve concretizzare una nuova visione, quella per un nuovo mondo, che dovrà concentrarsi sull’importanza della felicità dei singoli che significa, a sua volta, una società migliore, più illuminata e più felice.