“Chi sa non parla; chi parla non sa”.
Lo stato di coscienza-conoscenza non può essere comunicato, può essere solo vissuto.
Il linguaggio conoscitivo non può incarnare lo “stato sapienziale”, quindi non può trasmetterlo: lo “stato sapienziale” è coscienza-conoscenza non memoria trasmettibile.
Al probando si indirizzano parole in funzione della possibilità di provocare la scintilla fatale.
La coscienza-conoscenza non ha una direzione, è nell’ovunque assoluto.
Un vero Sadhaka si riconosce dal suo comportamento spirituale che rivela la sua posizione coscienziale con la profondità di questa.
I comportamenti di un ente planetario rivelano le sue certezze riguardo a Dio e al soprannaturale.
Nei contemporanei enti planetari prevale lo stordimento del mondo dei fenomeni che soffoca ogni considerevole minuscola intuizione riguardante la presenza del Principio Divino. Prevale, nella confusione generale, il razionalismo materialistico.
Il Sadhaka è tale perché ha percorso fin qui una serie di sforzi motivati da una granitica certezza che ha spazzato via, di volta in volta, tutte le incertezze che ostacolavano la via: la sua immortalità in Dio.
L’Iniziato, anche lui, si trova nello spazio e nel tempo, nel transitorio, nel mondo delle incertezze ma si posiziona nella vita interiormente indipendente, in modo non-locale anche se sembra perfettamente localizzato lungo l’asse orizzontale dell’esistenza.
La posizione dell’iniziato è quella di “Essere”: per lui Essere è Conoscere.
In molti si dilettano a distinguere ciò che è naturale, contronaturale, innaturale e soprannaturale.
Il problema è nei limiti del percipiente perché non risvegliato alla consapevolezza della “Sostanza Unica”, dell’Uno senza secondo. Il miracolo non manifestato è già presente: è questione delle condizioni coscienziali che possono permettere la manifestazione prorompendo nel terrestre, limitato nella convinzione dello spazio-tempo.