D. La scienza empirica sostiene che l’uomo proviene dal basso, dopo una serie di trasformazioni e un processo di evoluzione protratto nel tempo.
La Scienza sacra, invece, sostiene che l’uomo proviene dall’Alto, e se si trova qui, in questo momento di conflitto, è per effetto della così detta “caduta”.
Come possiamo risolvere il problema?
R. Il problema è molto impegnativo e di non facile soluzione, se lo si vuole affrontare con i semplici strumenti sensoriali. Dunque, l’uomo è frutto di “evoluzione” o di “involuzione”? È il prodotto del divenire o dell’Essere?
E ancora, se l’uomo è composto di Spirito-nous, Anima-psiché e corpo-soma, a quale di questi elementi attribuiamo il processo evolutivo?
L’empirismo scientifico definisce l’uomo un assieme di organi che producono intelligenza, volontà, sensorietà e coscienza. In altri termini, per tale filosofia scientifica, l’uomo, essendo un corpo, una forma, un composto, non può non subire mutazione e sviluppo. Così, la struttura fisica umana del periodo paleolitico non è identica a quella attuale.
La Scienza sacra non ha niente da ridire su questo punto; ogni forma è divenire, è processo, è mutamento. Ma l’essere non è solo soma-corpo-cellula, è anche nous, è anche psiché, per parlare nei termini della Tradizione occidentale, è anche Anima che preesiste al corpo e quindi persiste alla dissoluzione di questo.
La parapsicologia, e anche alcune correnti della psicologia, s’interessa di fattori che vanno di là dal fisico.
Il problema lo si può allora vedere sotto un’altra prospettiva: il nous, l’atman, o in altri termini l’Essere, evolve?
Posto così, il quesito dell’”evoluzione” o “involuzione” propone il problema dell’Essere e del divenire o non-essere.
Che cos’è che diviene, e che cos’è che non diviene?
Altrove abbiamo trattato a lungo il problema dell’Essere e del non-essere, come abbiamo considerato l’impossibilità evolutiva dell’Essere e dello Spirito puro.
Potremo, invece, soffermarci sul concetto di “caduta”. Difatti, la Tradizione parla di “caduta” dell’Anima, il che implica che l’Anima proviene dall’Alto.
Ma che cosa s’intende per “caduta”? e chi è caduto?
Alcuni affermano che l’uomo è un “Dio tramortito”, altri che è un “Angelo decaduto”, ciò che è lo stesso; altri che, avendo l’uomo disobbedito al Creatore, è stato posto nel mondo del conflitto; altri che, avendo egli libertà di scelta, si è imprigionato con le proprie mani. Vi sono altri punti di vista, però possiamo trarre qualche conclusione.
La “caduta”, sotto un aspetto filosofico più che mistico, può considerarsi la “scissura” di un qualcosa che prima era unito e integrale. La scissura può operare l’oblio della originaria unità, per cui essa determina dualità; l’unità si scompone e l’essere, che non è più sintesi, è costretto a peregrinare (movimento) fino a quando non si “ritrova” unità. L’uno è caduto nel due, quindi nel molteplice, e nella molteplicità non può esservi sintesi e omogeneità, vale a dire compiutezza. La “scissura” è un atto di alienazione (Raphael, La Filosofia dell’Essere, in particolare l’ultimo capitolo).
Se un essere umano, a livello prettamente psicologico, dovesse trovarsi scisso, il suo caso diventerebbe patologico perché, perdendo la sua identità individuale originaria, sarebbe costretto a vivere nell’incertezza e nello smarrimento; diremo che un tale individuo vivrebbe come un fantasma, un dormiente, un sonnambulo. Così l’individuo, scindendosi, si è identificato con il suo fantasma fenomenico, con i suoi strumenti di contatto, con i suoi veicoli o corpi di manifestazione, dimenticando la sua controparte, diremo, divina. Alcuni dicono che l’essere è composto di due io: l’Io divino e quello individuato.
L’uomo, irrequieto, in continuo movimento, violento e ottenebrato, va in cerca della sua metà dimenticata, va in cerca dell’unità e della completezza. L’irrequietezza è legittima, non è legittima la direzione che prende.
L’ente, per quanto cerchi la sua metà fuori di sé, nel mondo degli oggetti, non sarà mai felice. Per quanto sfoghi questa sua irrequietezza nell’appropriazione di beni materiali, nell’autoaffermazione, nella sete di dominio, nelle guerre, nel sesso, nella famiglia, ecc., non potrà mai essere felice; potrà stordirsi, potrà perdersi ancor più nell’oggetto, qualunque esso sia, ma non sarà mai felice e pacificato, perché rimane manchevole dell’altra sua metà. E ciò è una constatazione e un’evidenza senza necessità di dimostrazione. Fino a quando non si reintegra, egli potrà essere padrone dell’intero pianeta, ma non potrà essere in pace e sereno, sarà pur sempre incompiuto, insoddisfatto e gli mancherà senza meno qualche altra cosa. Questa spinta prorompente verso la ricerca è tale perché l’unità – invero mai spenta nell’individuo – esige l’unità. Un qualunque desiderio rappresenta la privazione di qualcosa e, per quanto lo si possa assecondare, l’ente non sarà mai pago fino a quando il desiderio non si trasformerà in aspirazione di unità.
Il desiderio è irrequietezza, è movimento psicologico; è brama e sete di “appagamento” per soddisfare quella “metà” che è rimasta monca e che quindi cerca completezza. Il desiderio nasce dalla “scissura”, e può essere risolto solo ricomponendo le due metà o la dualità. Da ciò si deduce che i più funesti e temibili demagoghi sono coloro che cercano di offrire le “cose” del mondo fenomenico materiale a questa “parte” di essere, a questa “metà” di individuo, che ansiosamente cerca la sua felicità o la sua completezza, presentandole come la soluzione del suo problema. È la visione del “vitello d’oro”. Nei tempi moderni questa “scissura” si è più ingrandita e, di conseguenza, si è più accresciuta la sete di “cose” (che non sono).
D. Se l’atman-spirito puro non può mai trovarsi dualità, chi si è scisso?
R. Tutti i Rami tradizionali sono concordi nel sostenere che la “scissura” appartiene all’Anima, al jivatman o alla psiché; Anima che a sua volta rappresenta un riflesso dello Spirito puro.
Come l’individuo di sogno, che esperimenta la dualità, è una proiezione della mente, così l’Anima è una semplice “proiezione” dell’atman.
D. In che modo si determina la scissura?
R. Questa “proiezione”, o riflesso dell’atman, attira a sé materia dei piani esistenziali e si costruisce i veicoli o corpi di manifestazione, poi si identifica con essi dimenticando la sua origine. Il Mito di Narciso spiega bene questo fenomeno e processo. Potremo comprendere tutto ciò solo con delle immagini e delle analogie.
D. L’individuo, già ombra dell’atman, è costretto a identificarsi con l’altra sua “ombra”?
R. Non è costretto, comunque è libero di farlo.
D. Qualche esempio esplicativo?
R. Noi, con la nostra mente, possiamo proiettare un ideale, una passione, ecc., e con essi identificarci fino a dimenticare che siamo un individuo di là da qualunque idea-passione. Diremo, possiamo “sognare” anche allo stato di veglia (e la veglia è anche un sogno) e identificarci col nostro sogno fino a perdere la nostra identità. Ciò si verifica nella maggior parte degli individui; questi, difatti, non sono Persone, sono solo professori, politici, commercianti; sono padri, madri, figli, ecc.; sono tutto tranne che enti consapevoli della loro realtà profonda.
Quando vi è un’assimilazione con ciò che non siamo o con le “cose” – e una “cosa” è anche il nostro corpo fisico, un nostro ideale o una nostra emozione – , allora avviene la scissura. Quando ci troviamo “cosa”, la nostra identità si è perduta, come s’è perduta la nostra libertà.
Potremmo anche dire che, identificandoci con l’oggetto, noi siamo “caduti”, non siamo più noi stessi di là dal numero-qualità. “L’oblio è dunque la sua malvagità “ (Corpus Hermeticum: X, 15).
D. Dunque, l’individuo può anche non creare la scissura?
R. Abbiamo detto che può farlo e può anche non farlo, dipende dalla sua libertà di essere che è inerente alla sua natura.
Dovremmo riconoscere, comunque, che l’Essere, per la sua natura di unità indivisibile, non può scindersi o diventare due.
Quindi rimane chiaro che la scissura (parola indubbiamente inadeguata per esprimere l’idea che vogliamo proporre) non è una rottura dell’equilibrio dell’unità in senso assoluto, ma la natura dell’Essere è tale che può operare illimitate modalità espressive: la caduta, o la scissura, non può essere considerata come il trovarsi altro dall’Essere, ma rappresenta un modo di essere. Il pezzo di ghiaccio è una modalità espressiva dell’acqua, ma non si può dire che in essa si sia operata una scissura assoluta o una caduta irreversibile. L’esperienza umana è un “modo di essere” dell’Essere, un momento coscienziale dell’Essere.
D. Così, la “caduta” non è un atto del volere divino?
R. No. L’uomo è scisso perché lo desidera, è passionale perché lo desidera, nasce su questo piano di esistenza perché lo desidera, l’uomo è persino uomo-individuo perché lo desidera.
D. Allora la Tradizione non fa altro che indicare la soluzione di questa scissura?
R. Sì. La Tradizione è la depositaria di questa verità fondamentale; essa insegna all’individuo irrequieto e conflittuale come trovare la via del ritorno all’unità. La simbologia tradizionale è attinente a questo processo di scissura e alla sua conseguente ricomposizione: così è la simbologia di Iside e Osiride nell’antico Egitto e quella dell’Orfismo in Grecia; in altri termini, è una simbologia dei Sacri Misteri occidentali e di quelli vedici-upanishadici.
La morte e la rinascita iniziatiche non rappresentano altro che un profondo simbolo. Occorre morire a ciò che non si è, e rinascere a ciò che si è.
Mentre la filosofia del divenire perpetua lo stato di scissura e di conflitto, la Filosofia dell’Essere lo risolve, riportando l’essere all’Essere.
“ Qual è mai la causa che ha reso le anime – le quali pur son parti staccate di lassù e appartengono anzi completamente al mondo supremo – dimentiche del loro padre Iddio e ignare di se stesse e di Lui? Ebbene, prima radice del male, per esse, fu la temerarietà, e poi il nascere e l’alterità primitiva e la voglia di appartenere a se stesse. Così, ebbre, visibilmente, di quella loro autodeterminazione, poi ch’ebber fatto il più largo uso di quel loro spontaneo movimento, dopo quella gran corsa sulla via contraria, distanziate che furono per sì gran tratto, finirono alfine per ignorare se stesse e la loro origine: quasi fanciulli che, strappati troppo presto ai genitori e allevati lungo tempo lontano, non riconoscono più se stessi né i loro genitori. Le anime, dunque, non scorgendo più né Lui né se stesse, disistimandosi, per ignoranza della loro stirpe, e apprezzando invece le altre cose, ammirando, anzi, tutte le cose più che se stesse, trasalirono, attonite di fronte a loro e ne furono avvinte; e si strapparono, a tutto potere, dalle cose donde avevan già volto le spalle, sprezzantemente. Così risulta che di quella totale ignoranza di Dio unica causa è il dar pregio alle cose terrene e disprezzo al proprio essere. Certo, cosa perseguita e cosa ammirata van di pari passo e chi ammira e persegue confessa, con ciò stesso, la sua inferiorità; però, col porsi al di sotto di ciò che nasce e muore, col solo supporre di essere la più spregevole e mortale fra le cose che stima, uno non saprà giammai concepire, nell’intimo suo, né la natura né la potenza di Dio “ (Plotino, Enneade V, 1, I. Laterza).
“ In tale sede si rileva tuttavia l’essenza del male propriamente umano, la quale consiste nel distacco dal fondo del proprio essere, nel rifiuto della propria origine, nell’alienazione atea. Tutta la morale di Plotino può essere, nel suo nucleo sostanziale, una terapia del ritorno in sé, un’esortazione al raccoglimento interiore nel quale soltanto può sbloccarsi la chiusura egoistica (“la voglia di appartenere a se stessi”) e arrestarsi la dispersione delle passioni sregolate (“la grande corsa sulla via contraria”).
L’egoismo non è altro, effettivamente, se non un venir meno di quell’originaria forza d’amore e liberalità in cui consiste l’essenza di ogni essere spirituale, è una colpa ‘per manco di vigore’, un degradare e corrompersi dell’energia più profondamente umana divenuta incapace di elevarsi dentro di sé, nell’intimità della mente dove ha sede il senso del Sacro. Così le passioni, quando dal loro essere soltanto ‘alterazioni’ del corpo si trasformano in ‘agitazioni’ dell’anima, sottraendola, come in un sogno, alla sua vera vita, nascono tutte da un involgarirsi dell’Eros, dal suo farsi ‘terrestre’, rinunciando a essere il genuino amore dell’uomo per la propria dignitas, per la ‘bellezza’ della propria anima.
La Via della liberazione sta per Plotino nella ‘purificazione’ della nostra ‘vista interiore’ (I, 6, VIII), perché l’anima riconosca se stessa nel suo originario decoro “ (P. Prini, Plotino).
da “Il Sentiero della Non-Dualità (Advaitavada)” di Raphael