La simbologia del Pellegrino, all’alba del duemila, non è diversa da quella del Pellegrino di miglia di anni fa. Ciò che lo muove non è soltanto uno scopo, una meta. V’è qualcosa di più sottile, un lento mutare di ritmi, il piacere di percorrere strade non battute, l’ardire di confermare con i sensi ciò che il cuore ha un giorno sentito.
Il Pellegrino sa che non esistono le vie, ma un sentiero, e che questo assume la forma, il colore, il senso proprio ai valori interni ed ai simbolo archetipali di ciascun essere.
“Nel simbolo vero e proprio, in ciò che noi chiamiamo simbolo, vi è sempre, in maniera più o meno visibile e diretta, qualche incarnazione e rivelazione dell’Infinito; l’Infinito è fatto per mescolarsi al finito, per essere visibile e per così dire tangibile in esso. Di conseguenza l’uomo è guidato e dominato dai simboli, e da essi reso felice oppure disgraziato”.
Thomas Carlyle
Sartor Resartus 1833
Proprio per questo il Pellegrino non giudica mai. Egli ha sviluppato un forte senso di tolleranza, conoscendo giorno dopo giorno le bellezze e le miserie di molti uomini.
Gli pare a tratti, specie quando va verso il tramonto, che ogni gesto, parola, pensiero compongano un grande affresco ideato da un Creatore che ha concepito la libertà dei vari personaggi nei limiti di una più o meno convinta recitazione. Il Pellegrino ha imparato ad ascoltare il canto degli uccelli ed il suono dell’acqua, nonché tutti i discorsi e le parole possibili. Il suo è un andare senza tempo e, in conclusione, senza spazio.
Tutto ciò che non è essenziale, tutto ciò che è artificialmente aggiunto scompare nella sua coscienza e resta il solo rumore dei suoi passi e del suo bastone.
Qualche volta lo si sente cantare ed allora tutti gli esseri s’acquietano all’improvviso ed un fremito percorre la natura. I suoi piedi e le mani non hanno calli e conservano un’arcana leggerezza.
“Le caratteristiche di un uccello solitario sono cinque: la prima, che vola verso il punto più alto; la seconda, che non sopporta compagni, neppure simili a lui; la terza, che mira con il becco ai cieli; la quarta, che non ha un colore definito; la quinta, che canta molto dolcemente”.
San Juan de la Cruz
Il viandante che lo dovesse incontrare resta soprattutto colpito da una vaga aria di innocenza, sempre accompagnata dal sorriso. Se si volessero poi ricavare dalle sue parole delle regole generali di comportamento si resterebbe veramente delusi. Incredibilmente pare quasi che non abbia né morale, né religione, né regole.
Misterioso è poi il piacere tutto suo di accompagnarsi volentieri anche con loschi figuri, spesso in bettole malfamate e, seppur più raramente, è anche possibile scoprirlo a tracannare qualche buon bicchiere di vino, magari in compagnia di qualche bellezza. Sembra che il suo scopo sia quello di non negarsi alla vita, o, meglio, di non negare la vita.
Il passo del Pellegrino è leggero e cadenzato ed egli tratta tutto con dolcezza. Il suo mantello, all’interno, è tempestato di stelle: pensieri e sogni, nella serena consapevolezza di un’armonia che tutto regge. Il Pellegrino sa guardare negli occhi, ma senza insistenza; non sfugge e non fugge.
“Non far mettere limiti al Tuo amore, non misura, non modalità, non termine. Esso è tua proprietà: chi può reclamarlo? La sua legge è soltanto in Te: chi altro può comandarvi?”.
Schleiermacher
Mutano i tempi ed i luoghi ma è sempre possibile vederlo, specie all’Aurora, camminare per le vie del mondo.
Il Pellegrino è la poesia della vita ed è vivo nel cuore di ogni uomo.
Nelle sue labbra immobili la preghiera dell’eternità.
dalla rivista “L’Età Dell’Acquario” n° 61 – maggio-giugno 1989 –
di Antonio Girardi, attuale Segretario Generale della Società Teosofica Italiana – (www.teosofica.org)