Anche se tutto ciò che è spirituale mal si presta alle classifiche e se il migliore approccio è quello apofatico, vedantino (neti, neti = non questo, non questo), in occidente siamo abituati a distinguere la via mistica da quella rituale iniziatica in un modo piuttosto rigido. Entrambe le vie comportano un’ascesi, anche se alcuni considerano l’ascesi come propria della sola via iniziatica.
Comunque tale via venga intrapresa, il discepolo o l’asceta o il miste, farà riferimento ad una autorità spirituale.
Tale autorità potrà essere visibile o invisibile.
Un istruttore è un’autorità visibile (purché sia degno). Una ipostasi divina è un’autorità invisibile (purché non sia una proiezione medianica o un delirio del ricercatore). Ne deriva che la presenza di un’autorità invisibile è cosa rarissima e che le illusioni (come vedremo in seguito), sotto questo profilo, sono catastrofiche.
Al di là di ogni autorità il discepolo incontra sè stesso o forse, il suo spirito. Ma questo è un punto di arrivo e non quello di partenza. È la conquista della Consapevolezza Suprema.
Alcuni immaginano di poter saltare tutte le tappe e cominciare dal traguardo. Questa è una delle illusioni più stupide ma, essendo fondata sulla presunzione di libertà, sulla ribellione nei confronti della gerarchia, ipnotizza schiere di vittime, più o meno ignare.
Nella Via si incontreranno dei Misteri, degli Arcani, ecc.. Sulle differenze semiologiche e metafisiche fra i vari significati consigliamo i libri di Guénon, di Otto, di Kerenyi, di Dumezil.
Ci limiteremo qui ad alcune etimologie elementari.
Iniziare deriva dal tardo latino initiare col senso specifico di iniziare ai misteri religiosi e ha la stessa radice di in-ire, entrare.
Iniziare vuol dire essere introdotti in un contesto sacro, autorizzati a cominciare. Un iniziato, perciò non è necessariamente un illuminato ma, semplicemente uno che è all’inizio del vero cammino spirituale. Si possono perciò avere molte iniziazioni successive, a molti misteri, senza per questo “ottenere” alcuna illuminazione. Questo è il percorso delle iniziazioni, così dette, virtuali o per riti, dove non è affatto detto che, colui che ha ricevuto l’iniziazione, realizzi quanto contenuto nel signum che gli è stato trasmesso. La virtualità, consiste appunto nella potenzialità propria del signum, di manifestarsi, nella sua valenza sacra, quando l’animo del discepolo sarà sufficientemente pronto.
Sotto questo profilo è sufficiente una sola iniziazione, la prima. Essa “apre la porta” ma è assai difficile averla.
Mistero deriva da mysterium e dal greco mystèrion, ciò che è chiuso, segreto, arcano. Ciò che è chiuso (sacralmente protetto da porte invisibili ma vegliate dai guardiani della soglia) viene trasmesso (o dovrebbe essere trasmesso!) solo a chi è degno e quindi in grado di penetrarvi, con il sigillo (o signum; vedi tradizione) dell’iniziazione.
Mistico invece deriva da mystikòs (relativo ai misteri). La radice my che, alla lettera significa “chiudere gli occhi o la bocca” dà il senso di chiudersi ad ogni stimolo esterno (analogamente a quanto fatto dalle famose scimmie della tradizione cinese).
In una via mistica non è sempre necessaria un’iniziazione. Lo sforzo è totalmente interiore. Il mistico può essere un isolato che, attraverso la meditazione, la preghiera ed altri mezzi ascetici, cerca di trovare ciò che è chiuso = misterioso, lavorando soprattutto su s’è stesso, in modo da escludere ogni appesantimento, ogni influenza superflua, che impedisca all’anima di essere sollevata nei cieli.
La qualificazione, in tal caso, è difficilissima in quanto lo sforzo per non farsi distrarre da ciò che è esterno (cioè dal mondo) è enorme. La via mistica (soprattutto nel nostro secolo, contraddistinto da un continuo cinematografo illusorio), è piena dei cadaveri di coloro che si sono persi nelle illusioni proiettive.
Tutto ciò che non è mistero (chiuso in sé), non entra in una via mistica.
Ecco perché tale via è propria dei santi e di coloro che, più che dominare, trascendono le passioni umane.
Ascesi deriva da àskesis che vuol dire esercizio e pratica. Tale termine non va confuso con ascesa (salita). Le parole sono simili ma non è detto che un asceta, a sua volta, ascenda da qualche parte.
L’ascesi, cioè l’esercizio, richiede disciplina. L’asceta è quindi colui che si esercita, che pratica, che studia. Sempre (non quando lo ritiene opportuno o si sente ispirato, o non ha altri impegni).
Ma per compiere un’ascesi si parla in genere di orazioni, di pratiche, di meditazioni, di contemplazioni.
Le prime due sono spesso assimilate a “strumenti” del praticante al fine di raggiungere le seconde due.
Orazione viene da os-oris col senso di discorso. Può assumere una versione cantata (anzi nell’antichità era solo così) ed allora diventa carme o salmodia (da psàllo = io canto al suono della cetra), o ritmica, e allora diventa giaculatoria (cioè preghiera gettata, lanciata verso Dio). Tradizionalmente, l’orazione non è una richiesta (o per lo meno la richiesta è l’aspetto spiritualmente meno significativo) ma un corretto orientamento, una giusta disposizione dell’anima e un ringraziamento.
Da orazione sorge ad-orazione, col senso devozionale di portare alla bocca, per baciare, per rispetto, per alimentarsene.
Pratica, da pràssein = fare, operare, agire. Concerne la liturgia, gli esercizi spirituali (digiuni, movimenti, insieme di orazioni e silenzi, ecc.) scanditi dalla ritmica propria della comunità d’appartenenza. La pratica richiede, generalmente, l’impiego di oggetti con un alto valore simbolico e rituale (rosarii, campanelli, recipienti per lustrazioni, tamburi ecc.) e l’assunzione sapiente di particolari posizioni delle mani o del corpo, in armonia con le varie fasi della liturgia.
Meditazione viene da mederi che, a sua volta, si attesta su un’antichissima radice indoeuropea, med, che ha il senso di curare. Col tempo ha preso il significato (ancora sacro) di riflettere per curare e poi il termine si è laicizzato. Ovviamente per curare si intende curare sacralmente la totalità dell’essere, prendersene cura per misurarlo spiritualmente e portarlo alla sanità (santità). Oggi la meditazione, per mezzo dell’influsso delle discipline orientali, ha parzialmente recuperato, anche in occidente, la sua origine sacra ma si sono creati degli equivoci colossali con altri termini quali rilassamento, concentrazione, ecc. (dove, spesso, per meditante, cerca di liberare la mente da ansie e pensieri invadenti, o peggio, che cerca di vedere o sentire, ad ogni costo, qualcosa d’ineffabile).
In realtà la meditazione, nella sua accezione arcaica, è molto di più.
Contemplazione. È il termine metafisicamente più profondo. Viene da templum e da cum. Templum, che è retto dal prefisso tem (dividere, partire) è lo spazio celeste limitato, diviso. Contemplare equivale, quindi, ad osservare nei limiti, l’interno di uno spazio celeste. La contemplazione viene a volte definita come uno stato nel quale l’anima si sprofonda e si dilata. Equivale ad un ingresso nello spazio celeste dove non esistono contraddizioni. Ovviamente ciò comporta che colui che entra in tale stato riesca a vedere l’omologia celeste nella cosa contemplata. Si dice che la contemplazione possa avere un oggetto (immagine, persona, suono, pensiero ecc.). è la forma di chiarezza estatica nella quale mente e cuore smettono di contrapporsi, e comprendono interamente e per identificazione, ciò che contemplano. Si dice anche che tale contemplazione possa essere priva d’oggetto. In tal caso colui che contempla si disidentifica da qualsiasi valenza egoica, ed entra completamente nella trascendenza o in quello che i cabalisti chiamano Ineffabile Assoluto.
tratto da “Maleducazione Spirituale” di Claudio Lanzi – Simmetria edizioni
Testi di Claudio Lanzi Consigliati:
Edizioni Simmetria - La Danza delle Hore; Sentieri Spirituali; Maleducazione spirituale; L'anima errante; Intelletto d'Amore; Misteri e Simboli della Croce; Ritmi e Riti.
Edizioni Mediterranee – La porta ermetica di Rivodutri (insieme ad A. M. Partini)