Rebis, un simbolo unificatore
“Il Rebis è anche l’emblema dell’iniziato alla sapienza ermetica: colui che si è reso degno di essere innalzato al grado di maestro dopo aver vinto il quaternario degli elementi”.
Un equivoco lungamente perpetuatosi ha portato a credere che l’alchimia non sia altro che un metodo per trasformare i metalli vili in oro. Ma in realtà l’alchimia occidentale, quella orientale e quella cabalistica possono essere tutte definite una fisica mistica del risveglio alla dimensione spirituale dell’individuo. La Cabbalà e l’alchimia erano entrambe strumenti di una forma iniziatica di conoscenza che cercava di illuminare la via per una sapienza trascendente. Il vero processo alchemico è lungo e complesso, quanto il percorso dell’autocoscienza – la longissima via per l’individuazione – che allegoricamente rispecchia, perché la trasmutazione dell’oro vile nell’oro filosofale è una metafora del processo psicologico che porta alla liberazione dell’uomo dalle contraddizioni fondamentali della vita. La Cabbalà e l’alchimia esaltano l’amore e la consapevolezza e non la mortificazione e l’ignoranza; la vita e la gioia e non la morte e la sofferenza; la persona autonoma e non il leader.
Il Rebis alchemico, personificazione allegorica dell’equilibrato sviluppo delle facoltà conoscitive dell’uomo (sensi, immaginazione, ragione), traduce in forma figurata il secondo precetto della Tabula Smaraldina (“Il più basso è simile in tutto al più alto e il più alto è simile in tutto al più basso, e questo perché si compiano i miracoli di una sola cosa”), identificandosi con il motivo dell’uomo-microcosmo, misura e fine della creazione divina. Attraverso questa figura gli alchimisti esprimono il dualismo universale (Sole/Luna, maschio/femmina, corpo/spirito, fisso/volatile, caldo/freddo, secco/umido) che determina tutte le manifestazioni della vita.
Il Dualismo e il Rebis
“Il dualismo è una concezione filosofica o teologica che vede la presenza di due essenze o principi opposti ed inconciliabili; è quindi una concezione contrapposta a quella del monismo”.
L’origine del termine
La parola “dualismo” è una delle poche di cui conosciamo la data di nascita e chi l’ha utilizzata per primo. Il termine è infatti attestato per la prima volta nel 1700 da Thomas Hyde (1636-1703) nella sua Historia religionis veterum persa rum, dove si descrivono l’antichissima religione persiana di Zoroastro e quella fondata da Mani (215-277), predicatore e teologo nato nel regno dei Parti e vissuto nell’Impero Sassanide, identificando in esse la costante lotta tra due principi, la Luce e le Tenebre, ossia il Bene e il Male, coevi, indipendenti e contrapposti, dal cui esito temporaneo dipende ogni aspetto dell’esistenza e della condotta umana. Pierre Bayle (1647-1706) nel suo Dizionario, e Leibniz (1646-1716) nella Teodicea, fanno risalire a questi due principi anche l’origine materiale dell’universo mentre Christian Wolff (1679-1754) sarà il primo a modificare i due principi cosmogonici in due entità metafisiche riprendendo il dualismo cartesiano di “sostanze materiali e sostanze spirituali”.
Dualismo nella storia della filosofia
La contrapposizione fra realtà corporee e mondo delle idee è caratteristica della filosofia platonica e neoplatonica ed ha la sua lontana origine nell’Orfismo.
Aristotele, pur contrapponendo anima e corpo, introdusse il concetto di “sostanza”, che permette di evitare un dualismo ontologico. Agli albori della filosofia moderna il teorico del dualismo per eccellenza fu Cartesio.
Il dualismo metafisico d’origine cartesiana si trasforma in Kant (1724-1804) nel dualismo critico del fenomeno e della cosa in sé, doppio successivamente rifiutato dalla speculazione ottocentesca idealistica che ridusse tutto ad un rigido monismo che però non resistette al riemergere del doppio nella filosofia successiva di Francis Herbert Bradley (1846-1924) (apparenza e realtà), di Henri Bergson (intuizione e concetto), di William James (1842-1910) (religione e scienza).
A queste forme di dualismo in età contemporanea si sostituisce un dualismo metodologico utilizzato come strumento per la comprensione delle scienze fisiche e di quelle spirituali come avviene nel marxismo per il dualismo di sovrastruttura e struttura, evoluzione degli originari concetti di teoria e prassi, nella psicanalisi con la scoperta del conscio condizionato dall’inconscio, nella logica con i meccanismi contrapposti della tautologia e verificazione empirica, nella linguistica con il dualismo di sincronia e diacronia, ed infine nello strutturalismo.
Il dualismo di Heidegger
La filosofia di Heidegger, per quanto ontologicamente non dualistica, presenta dal punto di vista esistenziale un dualismo tra “autentico” e “inautentico”, tra “esistenziale” ed “esistentivo”. L’autentico ed esistenziale è ciò che emerge nel rapporto dell’uomo con la aletheia, la verità dis-velata dell’essere, mentre l’inautentico ed esistentivo concerne la banalità del quotidiano e del contingente. Si riproduce perciò in Heidegger l’antico dualismo antropico tra il proiettarsi verso il fondamentale, il profondo, il nascosto, la vera essenza dell’essere, o invece verso l’inessenziale e l’apparente. Ciò, per quanto già posto in Essere e tempo si radicalizza nel “secondo” Heidegger, quando il filosofo opera la Kehre (la “svolta”) in senso mistico del suo filosofare.
Il dualismo mente-corpo
Nella filosofia contemporanea, in particolare nell’ambito della filosofia analitica anglo-americana, il dualismo più dibattuto è quello concernente il rapporto mente-corpo (o mente-cervello). Si tratta quindi di una concezione metafisica che, contrapposta al monismo, sostiene che la realtà è costituita da due sostanze fondamentali, ontologicamente separate ed incapaci di interagire causalmente l’una con l’altra. Per questo motivo, esso si oppone al monismo per il quale, al contrario, la realtà è costituita da un’unica sostanza. Diverse concezioni in qualche modo dualiste della filosofia della mente sono l’interazionismo, il monismo neutrale, il parallelismo e l’epifenomenismo.
Dualismo epistemologico
Il dualismo epistemologico è una posizione teorica che può essere in contrasto con il dualismo ontologico: non necessariamente la realtà è composta da due essenze di tipo diverso, ma il processo conoscitivo non può coglierla come fenomeno unitario.
Ad esempio in filosofia della mente, con dualismo epistemologico si intende il considerare mente e cervello come coincidenti dal punto di vista ontologico, ma necessariamente separati nel processo conoscitivo: secondo tale approccio non è possibile descrivere i processi mentali in termini neurobiologici.
Dualismo religioso
Dualismo iranico
Varie religioni, specie iraniche, presentano aspetti dualistici.
Lo Zoroastrismo o Mazdaismo Zoroastriano, fondato da Zoroastro (IX-VIII secolo a.C.) e ancora presente in Iran. Viene adorato Ahura Mazda che è il Creatore, completamete buono mentre l’antitesi è increata ed assoluta.
Lo Zervanismo, un ramo estinto dello Zoroastrismo, noto dal IV secolo a.C. e ora estinto, prevede una divinità Zurvan che è il primo principio creatore. Ahura Mazda (Ohrmuzd in medio persiano) è sottoposto a Zurvan e ha come antitesi il fratello gemello Angra Mainyu (Ahriman in medio persiano).
Il Mandeismo una religione anch’essa monoteista ma con una visione accentuatamente dualista, sopravvive in Iraq e nella diaspora. Hanno il culto dei Profeti Adamo, Abele, Seth, Enoch, Noè, Aram e specialmente di Giovanni il Battista e di un Gesù spirituale, di chiara ispirazione docetista, e battezzato da Giovanni.
Rappresentano un antico (III secolo d.C.) movimento gnostico di origine cristiano-giudaica con influenze dualistiche iraniche piuttosto oscure. Ed infine il Manicheismo, fondato da Mani nel III secolo d.C., ebbe rapido successo dall’Europa Occidentale alla Persia ma subì presto dure persecuzioni. È sopravvissuto per dieci secoli in Asia Centrale e Cina.
Il dualismo teologico della religione universale manichea che spiegava la compresenza di ordine e caos, bene e male nell’universo a partire dal conflitto tra il Dio di luce (Ohrmuzd) e l’emissario delle tenebre (Ahriman), pur prevedendo, in quanto religione di salvezza, separazione finale delle tenebre dalla luce. Religione universale, sintesi di Zoroastrismo, Buddismo ed elementi di cristianesimo. Probabilmente l’influenza del Cristianesimo sui [Mani] deriva della Chiesa di Marcione oltre che dalla scuola gnostica di Bardesane.
Dualismo Cristiano
Sin dalle origini, secondo i Padri della Chiesa è presente una corrente gnostica e dualista e spesso docetista nell’ambito del Cristianesimo. Una corrente che vede nella contrapposizione di due divinità una negativa e l’altra positiva la spiegazione del male nel mondo.
Cerdone è forse il primo esempio ma la figura più rilevante è quella di Marcione con la sua lettura originale della teologia di San Paolo.
Le tracce, della religione di Marcione, con variazioni non sempre ben individuabili, proseguono attraverso i Pauliciani e i Tondrachiani in Anatolia, i Bogomili nel Balcani ed i Catari nell’Europa Occidentale.
Tra le variazioni avvenute nel tempo ricordiamo che per Marcione la divinità negativa è il Dio Creatore del Vecchio Testamento e della Legge Mosaica mentre per i dualisti medievali è Satana.
Dualismo nella letteratura
Se tra gli studiosi, come rileva Ioan Petru Culianu, ne I miti dei dualismi occidentali non è stato raggiunto alcun accordo preciso sulla definizione del dualismo e lo stesso termine è applicato, indifferentemente, a Platone, al cristianesimo, a Cartesio e alla religione manichea o mandea non è privo di interesse che uno scrittore come Robert Louis Stevenson (1850-1894) ci introduca al dualismo interiore dello sdoppiamento della personalità nel romanzo “Lo strano caso del Dottor Jekill e di Mister Hyde”. L’ironia del romanziere sta nel presentare come un rispettabile dottore un tale il cui nome franco-inglese (Je-kill = io ammazzo) proclama ad alta voce essere un criminale spietato, mentre Hyde, cognome dello studioso settecentesco di storia delle religioni, inventore del termine dualismo, nel romanzo diventa l’incarnazione del male. Ma anche con questo capovolgimento Stevenson voleva forse invitare a non dimenticare il sempre possibile dualismo tra apparenza ed essenza su cui aveva richiamato l’attenzione dei moderni Erasmo da Rotterdam con i suoi Sileni di Alcibiade. Anche il più tranquillo e pacifico studioso di storia delle religioni, anche un rispettabile Mister Thomas Hyde potrebbe sempre nascondere in sé – “toh ide” vuol dire, appunto, “nascondere” – un potenziale “serial killer”.
ALBERO FILOSOFICO
Rappresenta il magistero ermetico, la materia prima, l’unione dei tre regni del reale e l’asse del mondo che connette cielo e terra mediando tra i principi del maschile e del femminile.
L’albero, simbolo del cosmo, è una metafora per descrivere sia l’Opera alchemica sia la materia prima del magistero, il seme fecondo da cui nascerà la pietra filosofale. Esso ha come frutti il Sole e la Luna, i pianeti e i metalli, mentre le sue radici profonde alludono al fatto che la rigenerazione ermetica può avvenire soltanto attraverso l’integrazione e il dominio della parte bassa e istintuale della psiche. Queste possono impiantarsi nella terra oppure nell’acqua, immagine del mare primordiale da cui sono nate tutte le cose.
Secondo gli alchimisti arabi la materia prima, analoga adamitica del paradiso terrestre, veniva raccolta ai piedi di una pianta sacra cresciuta in Occidente.
Come emblema della Grande Opera e radice del lapis l’albero filosofico è stato associato all’albero edenico. I suoi frutti, infatti, assicurano all’uomo l’immortalità e il dominio sulle forze fisiche e spirituali presenti in natura.
Questa pianta miracolosa può assumere la forma di qualsiasi creatura esistente e rivestire sembianze antropomorfe poiché coincide con la dimensione interiore degli esseri. Per questa sua virtù è stata paragonata al Mercurio alchemico, principio di ogni trasmutazione e fonte dell’elisir di lunga vita. Con la sua immagine gli alchimisti hanno designato le diverse fasi del magistero ermetico: calcinazione, soluzione separazione, putrefazione, coagulazione, nutrizione, sublimazione, fermentazione, esaltazione, crescita, proiezione.
“Il Rebis alchemico è rappresentato attraverso l’immagine di Ermafrodito o come uomo bicefalo dotato di attributi maschili e femminili, spesso sormontato dai simboli del Sole e della Luna”.
Tratto dal Volume 1 – Gennaio 2011 – di “Rebis” (L’Unità degli Opposti) TecnaEditrice
Per una Biblioteca del Sapere:
del mondo straordinario dell’umano pensiero, dell’alchimia, della mistica, della cabala, della magia, dei rosacroce, della massoneria.