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175. Mefistofele e L’Androgino di Mircea Eliade

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Si vogliono presentare, di seguito, alcuni stralci (del Capitolo II) di questo scritto di Mircea Eliade a compendio della particolare prospettiva intrapresa e a conferma del nostro sostenere la Corrente Unica della Tradizione.
Eliade, sulla scia di quanto percepisce nel rileggere dopo circa venti anni il “Prologo in Cielo” del Faust (poema drammatico del 1808 scritto da Johann Wolfgang von Goethe) e “Séraphita” (di Balzac Honoré), scrive delle pagine illuminanti sul mistero della totalità per quanti in grado di comprendere.

*****

Il Mistero della Totalità

… Ciò che mi affascinava e, ad un tempo, mi turbava nel “Prologo in Cielo” era l’indulgenza, anzi la simpatia, dimostrata da Dio nei confronti di Mefistofele. Dio diceva:

Tra tutti gli spiriti che negano
È il Maligno che mi è meno inviso.
L’attività dell’uomo cede troppo facilmente,
E presto egli si diletta dell’assoluto riposo;
Così io gli do volentieri questo compagno,
Che lo stimola e gli fa cenno  e che, come Diavolo, ha da lavorare
“.

La simpatia è, d’altronde, reciproca. Quando il Cielo si chiude e gli arcangeli scompaiono, Mefistofele, restato solo, riconosce che anche egli, di tanto in tanto, s’incontra volentieri col Vecchio:

“Von Zeit zu Zeit seh’ ich del Altern gern …”.


Si sa che nel Faust di Goethe, nessuna parola è usata a caso. Quindi mi pareva che la ripetizione dell’aggettivo gern (volentieri), pronunciato una prima volta da Dio e la seconda volta da Mefistofele, dovesse avere un significato. Paradossalmente, esisteva una “simpatia” inaspettata tra Dio e lo Spirito che nega …
… E in una delle Massime (Goethe) (N. 85) egli osserva: “Talvolta noi comprendiamo che un errore può muoverci e incitarci all’azione proprio come una verità”. E ancor più chiaramente: “La Natura non si preoccupa degli errori; essa stessa li corregge e non si chiede che cosa avrebbe potuto derivarne”.
Nella concezione di Goethe, Mefistofele è lo spirito che nega, che protesta, che soprattutto arresta il flusso della vita e impedisce che le cose si compiano. L’attività di Mefistofele non è diretta contro Dio, ma contro la Vita. Mefistofele è “il padre di tutti gli impedimenti” (der Vater aller Hindernisse – Faust, v. 6209).
Ciò che Mefistofele chiede a Faust è di arrestarsi. Il “Verweile doch!” è una formula di precipua ispirazione mefistofelica: Mefistofele sa che nel punto in cui si arresterà, Faust avrà perduto la sua anima. L’arresto non è però una negazione del Creatore, bensì della Vita. Mefistofele non si oppone direttamente a Dio ma alla sua principale creazione, la Vita. Invece del movimento e della Vita, egli si sforza di far prevalere la stasi, l’immobilità, la morte, perché ciò che cessa di cambiare e di trasformarsi si decompone e perisce. Questa “morte nella Vita” si traduce in una sterilità spirituale; in fondo, è essa la dannazione. Colui che ha lasciato perire, nel più profondo di se stesso, le radici della Vita soggiace al potere dello Spirito negatore. Goethe fa capire che il crimine contro la Vita, è un crimine contro la salvezza.
Tuttavia è stato spesso rilevato che Mefistofele, pur opponendosi con ogni mezzo al flusso della Vita, in fondo la stimola. Egli lotta contro il Bene, ma finisce per fare il Bene. Questo demone che nega la Vita è nondimeno un collaboratore di Dio. Per questo Dio, nella sua prescienza divina, ne fa deliberatamente un compagno dell’uomo.
Si potrebbero moltiplicare le citazioni per dimostrare che secondo Goethe l’errore e il male siano necessari non solamente all’esistenza umana, ma anche al Cosmo, a ciò che Goethe chiamava il “Tutto-Uno”. Le fonti di questa metafisica immanentistica le conosciamo: Giordano Bruno, Jacob Boehme, Swedenborg. Ma lo studio delle fonti non mi sembrò il metodo più indicato per giungere a una migliore comprensione della “simpatia” tra il Creatore e Mefistofele. D’altra parte, io non desideravo fare un’esegesi del Faust, né dare un contributo alla storia del pensiero goethiano. In questo genere di ricerche non avevo alcuna competenza e quello che mi interessava era di confrontare il mistero, abbozzato nel “Prologo in Cielo”, con certe concezioni tradizionali comprendenti “misteri” analoghi …

… Si sa che per Nicolò da Cusa la coincidentia oppositorum era la definizione meno imperfetta di Dio (Eraclito scriveva già – fr. 67, IPPOLITO,  Ref., IX, 10, 8 – : “Dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame; cioè tutti gli opposti”). Si sa anche che una delle fonti d’ispirazione del Cusano era stata l’opera dello Pseudo Dionigi l’Aeropagita. Come diceva l’Aeropagita, la coincidenza degli opposti in Dio costituisce un mistero. Ma non è di queste speculazioni teologiche e metafisiche che io intendo trattare …

… Secondo lo stesso Jung, il “processo di individuazione” consiste essenzialmente in una sorta di coincidentia oppositorum, giacché il comprende sia la totalità della coscienza sia i contenuti dell’inconscio. Nella “Psycologie der Uebertragung” e nel “Mysterium coniunctionis” si potrà trovare la più completa elaborazione della teoria dello Jung sulla coincidentia oppositorum come fine ultimo dell’attività psichica integrale (Cfr. C.G. Jung, Die Psychologie der Uebertragung, Zurich, 1946 – I punti di vista di Jung sulla realtà del male hanno dato luogo a discussioni appassionanti – ) …

… Lo storico delle religioni può ritrovare la coincidentia oppositorum e il mistero della totalità tanto nei simboli, nelle teorie e nelle credenze concernenti la realtà ultima, il Grund della divinità, quanto nelle cosmogonie che spiegano la Creazione nei termini di una divisione di un’Unità primordiale; tanto nei rituali orgiastici intesi a rovesciare i comportamenti umani e a dissolvere i valori, quanto nelle tecniche mistiche di congiunzione degli opposti, nei miti dell’androgino, nei riti di androginazione e via dicendo. Da un punto di vista generale, si può affermare che tutti questi miti, riti e credenze hanno per scopo di ricordare agli uomini che la realtà ultima, il Sacro, la divinità, trascende le loro possibilità di comprensione razionale; che il Grund lo si può cogliere unicamente come un mistero e un paradosso; che la perfezione divina non va concepita come una somma di qualità e di virtù, ma come una libertà assoluta, al di là del Bene e del Male; che il divino, l’assoluto, il trascendente si distinguono qualitativamente dall’umano, dal relativo, dall’immediato perché essi non costituiscono modalità particolari dell’essere né situazioni contingenti. In una parola, questi miti, riti e teorie che implicano la coincidentia oppositorum insegnano agli uomini che il modo migliore per comprendere Dio o la realtà ultima è di rinunciare, non fosse che per qualche istante, a pensare e a immaginare la divinità in termini d’esperienza immediata, una simile esperienza non potendo percepire che frammenti e tensioni. … Gli esempi indù che riferiremo fra poco attestano senz’altro tale presa di coscienza, però la maggior parte dei nostri documenti non appartiene a questa categoria. Per esempio, i miti e le leggende riguardanti la consanguineità di Dio e di Satana, o del Santo e della Diavolessa, questi miti, nati persino in ambienti sapienziali, hanno incontrato grande successo anche negli strati popolari, il che prova come abbiano sempre corrisposto ad un oscuro desiderio di penetrare il mistero dell’esistenza del Male o dell’imperfezione della Creazione divina. … L’essere umano tutto intero viene impegnato quando l’uomo ascolta questi miti e queste leggende; coscientemente o no, il loro messaggio finisce sempre per essere decifrato e assimilato.
Un esempio illustra nel miglior modo ciò che abbiamo detto e ci pone subito al centro del problema. È il concetto fondamentale dello zervanismo iranico, secondo cui Ohrmazd e Ahriman sarebbero nati entrambi da Zervan, il Dio del Tempo infinito. Qui siamo di fronte ad uno sforzo estremo della teologia iranica di superare il dualismo e di postulare un principio unico di spiegazione del mondo. Qualsiasi cosa si pensi dell’origine dello zervanismo, una cosa è certa: queste dottrine fondamentali sono state pensate e elaborate da spiriti adusati alla speculazione logica e filosofica …

… Tutti questi miti e leggende meriterebbero un’analisi più approfondita che qui non possiamo intraprendere. Basta aver constatato che, al livello del folklore religioso, tra le popolazioni centro-asiatiche e europee da tempo islamizzate o cristianizzate, si è sentito il bisogno di dare un posto al Diavolo, non solamente nella creazione del Mondo (onde spiegare l’origine del male) ma anche vicino a Dio, quale compagno nato dal desiderio divino di uscire dalla propria solitudine. È poco importante per il nostro argomento decidere se si tratti o meno di creazioni d’origine eretica o erudita …

… L’India è stata ossessionata dal problema della realtà ultima, dell’Essere Unico velato dal molteplice e dall’eterogeneo. Le Upanisad hanno identificato questa realtà ultima con Brahman-atman. Più tardi, i sistemi filosofici spiegarono la molteplicità: o per mezzo di una illusione cosmica e la Maya, come il Vedanta, oppure come il Samkhya e lo Yoga attraverso il dinamismo della Materia, in continuo movimento, che si trasforma incessantemente per incitare l’uomo a realizzare la Liberazione. Ma la fase pre-sistematica del pensiero indù è, dal nostro punto di vista, ancora più importante. Nei Veda e nei Brahmana, la dottrina della realtà unica è implicita nei miti e nei simboli. La mitologia e la religione vèdiche ci presentano una situazione a prima vista paradossale. Da un lato, vi è distinzione, opposizione e conflitto tra i Deva e gli Asura, gli dei e i “demoni”, le potenze della Luce e quelle delle Tenebre. Una parte considerevole del Rg-Veda è consacrata alle lotte vittoriose del dio Indra contro il drago Vrtra e gli Asura. Dall’altro lato numerosi miti mettono invece in risalto la consustanzialità o la fraternità dei Deva e degli Asura. Si ha l’impressione che la dottrina vèdica si sforzi di stabilire una doppia prospettiva: se, nella realtà immediata, in ciò che si manifesta davanti ai nostri occhi, i Deva e gli Asura sono inconciliabili, di natura diversa e in lotta, all’inizio dei tempi, cioè prima della Creazione o prima che il Mondo avesse assunto la sua forma attuale, essi erano consustanziali (Ananda K. Coomaraswamy ha trattato questo problema in molte sue pubblicazioni; pecca forse per un eccesso di sistematizzazione metafisica. Non bisogna credere che la coerenza teorica sia necessariamente il risultato di una riflessione sistematica: la coerenza è già alla base dell’immagine e del simbolo, fa parte integrante del pensiero mitico).
Infatti, essi sono tutti figli di Prajapati o di Tvastr; fratelli dunque, nati da un unico Padre. Gli Aditya – cioè i figli di Aditi, i “soli” – erano originariamente serpenti. Spogliatisi delle loro vecchie pelli – il che vuol dire aver essi acquistato l’immortalità (“hanno vinto la morte”) – sono diventati Dèi, Deva (Pancavimca Brahmana, XXV, 15,4). Come in molte altre tradizioni, nell’India vèdica, spogliarsi della propria pelle equivale a liberarsi dell’”uomo vecchio” e a ritrovare la giovinezza oppure ad accedere a una modalità esistenziale superiore – l’immagine ricorre spesso nei testi vèdici. Ma il sorprendente è che quel che è proprio ad un rettile va ad essere attribuito agli Dèi. Quando si leva all’alba – è scritto nel Satapatha Brahmana (II, 3; 1,3 e 6) – il Sole “si libera della Notte … proprio come Ahi (il Serpente) si libera della propria pelle”. Del pari, il dio Soma “proprio come Ahi, striscia fuori dalla sua vecchia pelle” (Rg-Veda, IX, 86, 44: cfr. Altri riferimenti in Coomaraswamy, Angel and Titan, p. 405).
L’atto di spogliarsi di una pelle d’animale e di strisciare fuori da essa ha un importante ruolo rituale: si ritiene che chi lo compie si liberi dalla condizione profana, dai peccati o dalla vecchiezza. Ma il dio Soma non solo si comporta come il serpente mitico Ahi: il Satapatha Brahmana lo identifica senz’altro con Vrtra, il Drago primordiale (“Soma era Vrtra”, Catapatha Brahmana, III,4,3,13; III,94,2; IV,4,3,4).
Questa identificazione paradossale del Dio col Drago non è un’eccezione. Già il Rg-Veda aveva dato ad Agni il titolo di “sacerdote Asura” (VII, 30,3) e al Sole il titolo di “sacerdote Asura dei Deva” (VII, 102,12). In altri termini, gli Dèi sono, o sono stati, o sono suscettibili di diventare Asura, ossia non-dèi. Agni, il dio del Fuoco e del Focolare, il dio luminoso per eccellenza, è consustanziale al Serpente Ahi Budhnya, simbolo delle Tenebre sotterranee e omologo di Vrtra. Nel Rg-Veda (I, 79,1) Agni è chiamato “serpente furioso”. L’Aitareya Brahmana (III, 36) afferma che Ahi-Budhnya è in modo invisibile (paroksena) ciò che Agni Garhapatya è in modo visibile (pratyaksa). In altre parole, il Serpente è una virtualità del Fuoco, mentre le Tenebre sono Luce non manifestata. Nella Vajasaneyi Samhita (V, 33), Ahi Budhnya e il Sole (Aja Ekapad) vengono identificati.
Può darsi che le speculazioni sull’essenza ofidiana di Agni derivino dall’immagine della nascita del fuoco. Il fuoco “nasce” dalle tenebre o dalla materia opaca come da una matrice ctonia, e s’innalza come un serpente. Nel Rg-Veda (IV, I, II-12), il fuoco che si accende – “quando nasce sul suo terreno” – viene descritto come “senza piedi e senza testa, celante le sue due estremità” (guhamano anta), allo stesso modo di una serpe arrotolata (Sugli attributi ofidiani dell’Aurora, cfr. Coomaraswamy, The Darker Side of Dawn, p. 7 e passim.). In altri termini, esso viene presentato come un Oroburos, immagine sia della coincidenza degli opposti che della totalità primordiale. Il separare i piedi dalla testa simboleggia, in India, la divisione dell’unità iniziale, quindi la Creazione. Secondo la cosmogonia tramandataci dal Rg-Veda (X, 90,14) la Creazione comincia con la separazione della testa dai piedi del gigante Purusa. Aggiungiamo che il paradosso della doppia natura di Agni – insieme Serpente e Dio – è anche visibile nell’ambivalenza religiosa del fuoco. Secondo il Rg-Veda (X, 16,9, ecc.), il fuoco, da una parte, è potenza divoratrice degli uomini che bisogna ad ogni costo evitare; d’altra parte, è l’araldo (duta) degli dèi, amico (mutra) e ospite (atithi) degli uomini.

L’ambivalenza della divinità è un tema attestato in tutta la storia religiosa dell’umanità. Il sacro mentre attira l’uomo gli fa paura. Gli dèi si rivelano a volte benevoli a volte terribili. In India, presso alla sua forma bella e amabile, ogni divinità comporta una “forma terrifica” (krodha murti): è il suo aspetto furioso, minaccioso, pauroso …

… In conclusione, questi miti e la loro esegesi teologica rivelano un aspetto poco conosciuto, perché meno evidente, della storia divina. Si potrebbe quasi parlare di una “storia segreta” della Divinità, comprensibile solo per gli iniziati, cioè per coloro che conoscono le tradizioni e capiscono la dottrina. La “storia segreta” vèdica rivela, da una parte, la consanguineità dei Deva e degli Asura, il fatto che queste due classi di entità sovrumane sono nate da un identico principio; d’altra parte, essa svela la coincidentia oppositorum esistente nella struttura più profonda delle divinità, le quali si mostrano, alternativamente o simultaneamente, benefiche e terrifiche, creatrici e distruttrici, solari e ofidie (cioè manifeste e virtuali), e così via …

… Tutto questo, evidentemente, vale solo in una prospettiva trascendentale e atemporale; nell’esperienza immediata dell’uomo, nella sua esistenza concreta e storica, i Deva si oppongono agli Asura, e l’uomo deve perseguire il bene e combattere il male. Ciò che è vero sul piano dell’eternità, non lo è necessariamente su quello temporale.
Il mondo è nato in seguito a una rottura dell’unità primordiale. Sia l’esistenza del mondo che l’esistenza nel mondo, presuppongono la separazione delle Tenebre dalla Luce, la distinzione del Bene dal Male, una scelta e una tensione. Ma per l’India il Cosmo non è la modalità esemplare e insuperabile del reale e l’esistenza nel mondo non viene considerata come il summum bonum. Tanto il Cosmo che la vita dell’uomo nel Cosmo sono situazioni particolari, e una situazione particolare non può esaurire le ricchezze favolose dell’Essere. Come è noto, l’ideale dello spirito indù è il jivan mukta, “il liberato da vivo”, cioè qualcuno che non subisce più “la condizionalità di una situazione” ma che , come è detto nei testi, è “libero di muoversi a volontà” (kamacarin). Il jivan mukta si trova simultaneamente nel tempo e nell’eternità; la sua esistenza è paradossale, nel senso che essa costituisce una coincidentia oppositorum che non è possibile comprendere o immaginare …

… L’androgino nel XIX secolo
Séraphita
è senza dubbio il più affascinante dei romanzi fantastici di Balzac. Non certo a causa delle teorie di Swedenborg di cui è imbevuto, ma perché Balzac è riuscito a illuminare con la luce dell’arte un tema fondamentale dell’antropologia arcaica: l’androgino considerato come l’immagine esemplare dell’uomo perfetto ...
… Ma l’androgino di Balzac appartiene ben poco alla terra. La sua vita spirituale è tutta rivolta verso il cielo. Séraphitus-Séraphita vive solo per purificarsi e per amare. Benché Balzac non lo dica espressamente, si comprende che Séraphitus-Séraphita non può abbandonare la terra prima di aver conosciuto l’amore. Può darsi che si tratti dell’ultima, più preziosa perfezione: amare realmente e congiuntamente due esseri di sesso diverso. Amore serafico evidentemente, ma non per questo amore astratto, impersonale. L’androgino di Balzac ama due persone ben distinte; resta dunque nel mondo concreto, nella vita. Qui, su questa terra, non è un angelo: è un uomo perfetto, cioè un “essere totale”.
Séraphita
è l’ultima grande creazione letteraria europea che abbia come motivo centrale il mito dell’androgino …

… Per trovare le fonti di questa rivalorizzazione dell’androgino da parte del romanticismo tedesco, bisognerebbe esaminare le vedute di Jacob Boehme e di altri teosofi del XVII secolo, specialmente di J.G.Gichtel e di Gottfried Arnold. Grazie all’antologia commentata dal professore E. Benz, Adam. Der Mythus des Urmenschen, Munchen, 1955), questa ricerca potrebbe essere portata a termine rapidamente …
… Jacob Boehme attinse probabilmente l’idea dell’androgino non dalla Kabbala, ma dall’alchimia, di cui peraltro utilizzò la terminologia (cfr. J. Evola, p. 271, Cfr. anche A. Koyre, La philosophie de Jacob Boehme – Paris, 1929 – , p. 225). Infatti uno dei nomi della Pietra Filosofale era proprio Rebis, l’”essere doppio” (lett.: “due cose”) o l’Androgino ermetico. Il Rebis nasceva dall’unione del Sole con la Luna, o alchemicamente, dall’unione dello Zolfo con il Mercurio. È superfluo mettere in rilievo l’importanza dell’androgino nell’opus alchymicum, dopo gli studi fondamentali di C.G. Jung. …

… In Dio non esiste più divisione, poiché egli è il Tutto e l’Uno. Per Scoto Eriugena, la divisione dei sessi fu una conseguenza del peccato, ma avrà termine con la riunificazione dell’uomo, a cui seguirà la riunione escatologica del mondo terrestre con il Paradiso …
… Ricordiamo anche che diversi Midrashim presentarono Adamo come androgino …
… L’androginia è parimenti attestata nel Vangelo di Tommaso, che, pur non essendo propriamente un’opera gnostica, attesta l’atmosfera mistica del cristianesimo nascente. Rimaneggiata e reinterpretata, questa opera fu però abbastanza popolare tra i primi gnostici; la traduzione in dialetto saidico figurava nella biblioteca gnostica di Khenoboskion. Nel Vangelo di Tommaso, Gesù, volgendosi ai suoi discepoli, dice loro: “Quando dei due voi farete uno; quando farete il dentro come il fuori e il fuori come il dentro, e l’alto come il basso; quando farete del maschio e della femmina un solo essere, sì che il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più femmina, solo allora voi entrerete nel Regno” (Doresse, op. cit. vol. II (1959), p. 95; A. Guillaumont, H. Ch. Puech, ecc., L’Evangile selon Thomas (1959), log. 17-18; Robert M. Grant, The secret sayings of Jesus (New York, 1960), pp. 143 sgg.). In un altro logion (n. 108, ed. Puech; . 103 Grant), Gesù dice: “Quando voi farete in modo che i due siano uno, voi diventerete i figli dell’Uomo e se voi direte: ‘Montagna, spostati!’ essa si sposterà” (Doresse II, p. 109, n. 110) …
… Altri testi contengono passaggi simili sulla riunione dei sessi quale sindrome del Regno …

… L’androginia divina
Questa idea della bisessualità universale, conseguenza necessaria dell’idea della bisessualità divina in quanto modello e principio di ogni esistenza, può illuminare tutta la nostra ricerca, perché, in fondo, in una concezione simile è implicita l’idea che la perfezione, quindi l’Essere, consiste in fondo in una unità-totalità. Tutto ciò che è in senso eminente deve essere totale, il che comporta la coincidentia oppositorum a tutti i livelli e in ogni contesto. Questa coincidenza si verifica tanto nell’androginia degli dèi quanto nei riti di androginazione simbolica, oltre che nelle cosmogonie che spiegano il mondo partendo da un Uovo cosmogonico o da una totalità primordiale in forma di sfera. Si incontrano idee, simboli e riti del genere non solamente nel mondo mediterraneo e dell’antico Medio Oriente, ma anche in numerose culture esotiche e arcaiche. Una diffusione simile può spiegarsi solo col fatto che questi miti presentavano un’immagine soddisfacente della divinità, o della realtà ultima, quale totalità indivisa, o spingevano, nel contempo, l’uomo ad avvicinarsi a questa plenitudine attraverso riti o tecniche mistiche di reintegrazione.
Qualche esempio ci aiuterà a capire nel modo migliore questo fenomeno religioso. Nella teogonie greche più antiche, gli Esseri divini neutri o femminili generano da soli. Questa partenogenesi implica l’androginia. Secondo la tradizione tramandataci da Esiodo (Teogonia, 124 sgg.), dal Caos (neutro) nacquero Erebo (neutro) e Notte (femminile). La Terra generò da sola il Cielo stellato. Sono formule mitiche della totalità primordiale, che contiene tutte le potenze, e quindi tutte le coppie di opposti: caos e forme, tenebre e luci, virtuale e manifesto, maschio e femmina ecc. Come espressione tipica della potenza creatrice, la bisessualità figura tra le qualità meravigliose della divinità. Hera partorì da sola Efesto e Tifeo, e questa “dea nuziale ha a tutta prima figura di androgino” (Marie Delcourt, Hermaphrodite. Mythes et rites de la bisexualité dans l’Antiquité classique, Parigi, 1958, p. 29). A Labranda, in Caria, si adorava uno Zeus barbuto con “sei mammelle disposte in triangolo sul petto”. Eracle, l’eroe virile per eccellenza, scambiò le proprie vesti con quelle di Onfale. Nei misteri italioti di Ercules Victor, tanto il dio che gli iniziati erano vestiti da donne e, come ha mostrato Marie Delcourt, si riteneva che questo rito “promovesse la salute, la giovinezza, la forza, la vita dell’essere umano e forse conferisse perfino una specie di perennità.
A Cipro, si venerava un’Afrodite barbuta chiamata Aphroditos, e in Italia una Venere calva. Quanto a Dioniso, egli era il dio bisessuato per eccellenza …
… Qui non ricorderemo le divinità androgine presenti in altre religioni (cfr. M. Eliade, Mitul Reintegrarii, pp. 99 sgg.; Traité d’Histoire des Religions, pp. 359 sgg.). Il loro numero è considerevole. Se ne trovano tanto in religioni complesse ed evolute (come per esempio presso gli antichi Germani, nel Medio Oriente antico, nell’Iran, in India, in Indonesia ecc.) quanto presso popoli di cultura arcaica, in Africa, America, Melanesia, Australia e Polinesia …

… La totalità primordiale
Si vede dunque che questi riti di ritorno alla totalità per mezzo dell’androginia simbolica o dell’orgia sono suscettibili di essere valorizzati in diversi sensi. Però sono tutti praticati quando si tratta di assicurare il successo di un inizio: sia il principio della vita sessuale e di quella culturale espresso dall’iniziazione, sia il Nuovo Anno o la primavera o “l’inizio” rappresentato da ogni nuovo raccolto. Se consideriamo che, per l’uomo delle società tradizionali, la cosmogonia rappresenta “l’inizio” per eccellenza, si comprende la presenza di simboli cosmogonici nei rituali iniziatici, agricoli o orgiastici. “cominciare” una cosa vuol dire stare per creare quella cosa, quindi di usare una enorme riserva di forze sacre.
Ciò spiega la similitudine strutturale tra il mito dell’Androgino primordiale, antenato dell’umanità, e i miti cosmogonici. In un caso come nell’altro, i miti rivelano che all’origine, in illo tempore, esisteva una totalità compatta – e che questa totalità è stata divisa o fratturata affinché il mondo o l’umanità potessero nascere. All’Androgino primordiale, soprattutto all’Androgino sferico descritto da Platone, corrispondono, sul piano cosmico, l’Uovo cosmogonico o il Gigante antropocosmico primordiale.
Infatti, un gran numero di miti cosmogonici presentano lo stato originale, il “Caos”, come una massa compatta ed omogenea, nella quale non era discernibile alcuna forma; o anche come una sfera simile a un uovo, nella quale il Cielo e la Terra si trovavano riuniti, o come un Macrantropo gigante ecc. In tutti questi miti, la Creazione si compie attraverso la divisione dell’uovo in due parti, rappresentanti il Cielo e la Terra, o attraverso lo smembramento del Gigante, o la frammentazione della massa unitaria.
Tanto sul piano cosmico che su quello antropologico, all’origine vi era dunque una totalità che conteneva tutte le virtualità. Ma questa ossessione dell’”origine”, attestata da tanti miti e riti diversi di vario genere, va interpretata anche in un’altra prospettiva. Constatiamo infatti che la tendenza all’unificazione, alla totalità, benché si manifesti a livelli diversi, usa mezzi vari con mira a fini non identici. La reintegrazione dei contrari e l’abolizione degli opposti hanno luogo tanto in un’orgia rituale quanto in un’androginazione iniziatica, ma i piani della realizzazione sono differenti. La reintegrazione dei principi polarizzati si compie anche per mezzo delle tecniche yoga, soprattutto di quelle dello yoga tantrico. Anche in questo caso, si vuole raggiungere una “unità-totalità”, ma l’esperienza si sviluppa su più livelli, e l’unificazione finale non può essere descritta che in termini trascendentali. In altre parole, sul piano dell’esperienza oscura dell’orgia rituale, dell’androginizzazione rituale o della regressione nel Caos precosmogonico, si tratta di tendenze alla reintegrazione e alla unificazione che sono paragonabili, come struttura, all’aspirazione dello Spirito a tornare all’Uno-Tutto. Non possiamo qui soffermarci su questa tendenza paradossale della Vita a riprodurre ciò che è proprio alto Spirito. È importante tuttavia precisare che se tutti questi miti, riti e tecniche mistiche implicano la coincidentia oppositorum; se, dal punto di vista strutturale, l’Uovo cosmogonico è assimilabile all’orgia rituale, alla androginizzazione o allo stato in un jivan mukta, l’unità-totalità non è la stessa nel caso di colui che partecipa a un rito orgiastico e in quello di colui che abolisce le opposizioni per mezzo dello yoga …

tratto da “Mefistofele e L’Androgino” di Mircea Eliade – Edizioni Mediterranee –

Testi di Mircea Eliade consigliati:
Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi – Edizioni Mediterranee 1974
Il mito dell’eterno ritorno – Edizioni Borla 1989
Il mito della reintegrazione – Edizioni Jaca Book 1989
Cosmologia e alchimia babilonese – Edizione Sansoni 1992
Mito e realtà – Edizioni Borla 1993
Lo Yoga (immortalità e libertà) – BUR Biblioteca Univ. Rizzoli 1999
Nostalgia delle origini – Edizioni Morcelliana 2000
Il mito dell’alchimia seguito da L’alchimia asiatica – Bollati Boringhieri 2001
Il sacro e il profano – Bollati Boringhieri 2006
Miti, sogni, misteri – Edizioni Lindau 2007
Tecniche dello Yoga – Bollati Boringhieri 2007
Trattato di storia delle religioni – Bollati Boringhieri 2008
Yoga. Saggio sulle origini della mistica indiana – Edizioni Lindau 2009

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