Di seguito, significativi e illuminanti “estratti” dalla Prefazione della “Bhagavad-Gita” offerta da Raphael ai sinceri discepoli dello Yoga, non per fatto culturale ma per necessità iniziatica.
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Comprensione Tradizionale del concetto del Divino
In un passaggio dello Yogavāsistha, composto di 27.000 versi, Sri Rāma chiede ad Hanumān, il grande devoto, il dio-scimmia: “In qual modo tu mi adori?”. Con questa domanda Sri Rāma fa esprimere ad Hanumān il concetto del Divino, secondo la Dottrina tradizionale. Hanumān così risponde: “Finché conservo il sentimento di avere un corpo fisico, finché non mi è possibile liberarmi dall’idea della forma fisica, io sono vostro servitore, io non sono che un misero organismo (prāni) e un abisso insormontabile mi separa da Voi. Se, al contrario, perdendo la nozione del corpo grossolano mi ritrovo jīva con una coscienza individuata, parlo, utilizzo la mia mente e commetto errori. In questo stadio io mi rendo conto che faccio parte del vostro Corpo superiore, ho il sentimento della vostra immanenza. Se mi elevo ancora di un gradino e domino completamente la mia mente, scopro in me un Centro spirituale che né il pensiero né il linguaggio possono cogliere; questo Centro superiore, che si pone di là dal mondo empirico, è l’ātman, è il Sé: tra me e Voi non c’è più alcuna differenza, alcuna distinzione, esiste solo Brahman e nient’altro che Brahman”.
Se ci si vuole spogliare dell’idea del corpo e operare sul piano dell’intelletto superiore, ci s’incammina progressivamente verso l’Identità; si può passare, così, dal Dualismo al Monismo fino all’Advaita: Uno-senza-secondo. Se si desidera conservare l’idea del corpo, di fronte a Dio si sostiene un ruolo di servitore, adoratore, devoto, ma questa posizione dualista consente, tuttavia, la purificazione dell’io.
Esistono, dunque, molteplici aspetti del Divino che, dal punto di vista metafisico, vanno dalla concezione più “tangibile” e “concreta” a quella più “sottile” e “noumenica”.
Quest’insegnamento del differente accostamento alla Realtà è sintetizzato nella Gītā. Non si deve, però, pensare che ciò significhi confusione o disordine sul piano spirituale. L’idea di una religione o fede dogmatica uguale per tutti è assolutamente estranea allo spirito indiano. Ogni individuo differisce dal suo simile per la sua struttura mentale, le sue aspirazioni e per la gradazione dei suoi bisogni. (Da questa esigenza sono nati gli ordini sociali). Occorre, dunque, che egli trovi la formula ottimale inerente alla sua particolare esigenza spirituale. Il suo karma è, quindi, di scoprire la verità relativa al suo stato e di esprimerla perché ciò costituisce il suo dharma (dovere).
Si potrà notare in seguito come Krsna gradatamente fa riconoscere ad Arjuna la sua vera condizione coscienziale, che è quella del guerriero, e l’imprescindibile dovere (dharma) di assecondarla e svelarla nell’azione.
Il pensiero tradizionale indù abbraccia così tutte le possibili condizioni coscienziali dell’uomo e usa distinguere quattro aspetti del Divino che possono essere appunto adeguati ai differenti livelli di comprensione umana.
a L’aspetto dell’Assoluto, Brahman nirguna senza attributi, l’Uno-senza-secondo. Sentiero metafisico puro. L’Asparśavāda (il sentiero del senza sostegno, del non-contatto) di Guadapāda e il Vedānta Advaita di Śamkara portano a questo ardito volo.
b L’aspetto del Dio impersonale, Nirākāra, senza rappresentazione mentale di nessuna natura. “Dio è spirito e verità”.
c L’aspetto del Dio personale, Ākāra, sotto forma di simbolo. E’ seguito dalle menti più accese, immaginative e devozionali.
d L’aspetto del Dio incarnato, Avatāra, che assume una configurazione umana per indicare il cammino agli uomini.
Aspetto dell’Assoluto
Brahman non è ciò che si indica con la parola Dio. Egli è al di là dal linguaggio e dallo stesso pensiero: è l’Assoluto nella sua incondizionatezza, incausalità, inalterabilità. Realizzarlo comporta la scomparsa dell’intero mondo dei nomi e delle forme. Solo il nirvikalpa samādhi raggiunge Quello. Tale samādhi non è né una comunione né un’unione; è anche impropria la parola Identità perché questa espressione implica ancora due termini, mentre nel nirvikalpa, Brahman rimane l’Uno-senza-secondo, quale Essenza pura. Egli è il Sostrato di ogni noumeno e fenomeno, del Reale e del non-reale, dell’Immanifesto e del manifesto, è la base di ogni possibile polarità, compresa quella del finito e infinito. Brahman non ha termini di paragone o di opposizione, ma è l’abisso ove si annullano e si risolvono tutte le coppie di opposti.
Speculare sul Brahman è impossibile, solo l’intuizione superconscia può coglierne un riflesso.
Aspetto del Dio impersonale
Per la seconda concezione il Divino può considerarsi la causa prima, la sorgente e il principio di ogni cosa manifesta, l’Essenza e la Sostanza universali, l’Uno matematico, mentre Brahman corrisponde allo Zero metafisico. La teologia cristiana ammette la Trinità: Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Lo stesso avviene per gli Indù con l’aspetto Impersonale, Personale e dell’Avatāra, incarnazione divina o Dio fatto carne.
Così l’aspetto Nirākāra è quello impersonale. Dio è Spirito e non può essere raffigurato da alcuna rappresentazione umana. Corrisponde al Brahman saguna con attributi o a Iśvara, sorgente del mondo dei nomi e delle forme. Essendo la causa del Tutto, contiene il “Germe d’oro” da cui emerge l’intera manifestazione. In Iśvara ogni cosa è già compiuta; Esso è, e la successiva fase manifestante non rappresenta altro che il dispiegamento delle potenzialità latenti della causa prima.
L’Uno è l’inizio di tutti i numeri e non c’è numero che non abbia come base l’uno. Un milione è formato da tanti uno. La causa prima è il sostegno e il sottofondo di tutte le illimitate forme planetarie e cosmiche. Con Brahman saguna, il numero e la geometria sono all’opera, gli archetipi sono potenzialmente pronti. Molti sentieri yoga portano al contatto con la causa prima, con l’Unità. Afferrare i princìpi primi, il mondo del significato, vuol dire penetrare l’essenza della grande causa. Espandere la coscienza nell’Uno-tutto è la conclusione di molti samādhi. Afferrare le leggi dell’Essere significa comprenderne il meccanismo evolutivo o, meglio, svelante.
Aspetto del Dio personale
L’aspetto Ākāra è quello personale del Divino. In tale condizione Dio prende una forma: Śiva, Kāli, ecc. Non sono figure storiche queste, ma simboliche. Con tanti simboli inizia il devozionalismo e il culto; il rapporto tra la Divinità e il fedele è già personale. Queste figure variano con il variare della mentalità dei fedeli, ma, più che altro, e ciò è importante, esse costituiscono veri simboli ideali che aiutano in modo considerevole l’ascesi e la trasmutazione delle potenze interne.
Aspetto del Dio incarnato
Dal Dio simbolo passiamo al Dio carne, all’ Avatāra o Messia, secondo le terminologie in uso. La Divinità, o meglio il Principio divino, si esprime mediante un corpo umano abbastanza perfetto. A questo livello gli individui, finalmente, vedono e toccano la Divinità. Dio cammina in mezzo agli uomini svelando un suo particolare attributo: l’Amore, la Sapienza o la Volontà divina. Il più delle volte, però, i fedeli e gli stessi discepoli di quell’Incarnazione non s’innalzano al Principio, ma si fermano all’individualità del semplice mediatore. In tal modo nasce il culto e l’idolatria dell’individualità.
tratto dalla Prefazione (pag. 11-15) alla “Bhagavadgītā”, di Raphael – Edizioni Asram Vidya
Se ami l’immortalità impugna la folgore
del giusto agire (karma-yoga) e squarcia il
dubbio che ti costringe. Quest’opera svela
il segreto dell’azione ‘non-incatenante’ “
Raphael