(Sono Siva Sono Siva)
PRESENTAZIONE
Il termine “Siva” designa la Realtà nei suoi vari gradi di espressione. Innanzitutto, Siva è il principio trasformatore e risolutore insito in ogni ente caratterizzato da attributi; quindi il principio ontologico donde il tutto procede e in cui il tutto si riassorbe al termine del ciclo di manifestazione; infine, l’Essere supremo e in qualificato (l’Assoluto metafisico) quale necessario fondamento della totalità, in quanto nessuna trasformazione o soluzione può aversi in assenza di un sostrato privo di forma e immutabile.
Siva rappresenta la Realtà ultima, il Supremo Sé (paramatma) che si rispecchia in ogni sé individuale (jiva) al quale conferisce coscienza ed esistenza; quindi la Realtà unica sottostante all’apparente molteplicità e che, come Testimone assoluto e privo di dualità, trascendente sia il manifestato che l’Unità principale non-manifesta, per quanto immanente e presente in ciascun essere come pura autocoscienza o consapevolezza.
Il movimento trasmigratorio spetta dunque al jiva-riflesso e non al Sé auto luminoso e immoto. L’unico atman sembra muoversi attraverso la totalità dei suoi riflessi jivaici come il sole sulla superficie dell’acqua.
L’universo dei nomi e delle forme è un’immensa proiezione di Siva la cui natura è Esistenza-Coscienza-Beatitudine assolute (sat-cit-ananda) ed appare come principio di coscienza individuato (jivatma) in ogni essere vivente.
Mentre il jiva (sé vivente) tramite le modificazioni di coscienza (savikalpako jiva) trasmigra continuamente lungo consecutive e indefinite condizioni di coscienza-esistenza, attuando così le sue intrinseche e numericamente indeterminate possibilità di espressione (rapporto io-oggetto) in modo ciclico (samsara), l’atman rimane immobile, immodificato (nirvikalpakatma) e incondizionato.
Trascese tali possibilità espressive, il jiva si reintegra nell’atman-Coscienza pura e senza secondo, cioè nella Consapevolezza libera da qualsivoglia contenuto aggravante, condizionante e limitante.
Siva rappresenta dunque la coscienza inqualificata; mentre il jiva, benché della medesima natura (rupa), è soggetto all’ignoranza (ajnana), per cui emerge, si separa illusoriamente dal Sé proiettando il divenire mentale e coinvolgendosi in esso. La Coscienza – sostrato della maya – è sempre libera e non-duale in quanto è e non diviene; la maya invece è costituita dall’indefinita varietà insita nell’unità di coscienza, molteplicità che si concretizza e si mantiene attraverso la creazione delle diverse sovrapposizioni limitanti (upadhi).
Mentre queste sovrapposizioni sembrano rivestire e delimitare il Sé, è evidente, d’altro canto, che nulla può divenire senza essere e l’ente individuato non cessa di Essere quantunque possa pensare di venire all’esistenza, apparire, divenire e scomparire: perdersi nel fluire mentale comporta il coinvolgimento nella trasformazione attraverso la funzione sperimentatrice dell’ego diveniente.
Rimuovere tali sovrapposizioni significa invece risalire al Principio onnicomprensivo, alla Fonte perenne, alla propria ed unica Sorgente trascendendo il dramma della nascita e morte e “risvegliandosi” quindi coscientemente alla propria natura di puro Essere-Siva, Coscienza e Beatitudine assolute.
Per questo occorre risolvere l’identificazione (“non sono …”) con l’oggetto di per sé inerte, trascendere il pensato e il pensiero stesso nonché il pensatore, quindi il dato di percezione, per ritrovarsi Soggetto autoconsapevole e sempre presente.
La reiterata identificazione col Principio supremo (“Io sono Siva”) dischiude l’intuizione della reale identità non-duale.
La ripetizione ritmica, infatti, può – se ben assimilata, compresa e risuonata – innescare una vera e propria vibrazione coscienziale che, operando per simpatia e inducendo una risonanza su toni sempre più elevati, è capace, col suo intenso potere di penetrazione e assorbimento, di convertire, trasmutare e sublimare la densa compagine mentale (subcoscienza cristallizzata) nella pura Consapevolezza libera; quindi, infrangere le limitazioni formali sovrapposte, infine risolvere la stessa Ignoranza principiale (corpo causale) nella pura Coscienza onnipervadente (fuoco incolore) del Sé-Siva.
Discriminato, astratto e prosciolto dai condizionamenti, il principio-riflesso di coscienza (jiva) si immerge e si risolve nella Coscienza incondizionata e infinita dell’atman.
Questa breve composizione è anche conosciuta con il nome di Nirvanasatkam perché, discriminato il Testimone dalle sovrapposizioni e realizzata la propria natura di Siva o pura Coscienza, ci si immerge nella beatitudine del Nirvana, ove l’illusione del samsara si è dileguata nell’evidenza della Realtà non-duale.
L’affermazione coscienziale “Io sono Siva” (sivo ‘ham) non si applica pertanto all’ego empirico, che è un prodotto della mente; essa costituisce un potente mantra-seme atto a risvegliare in noi la consapevolezza della nostra reale essenza immortale e di condurre il jiva-autocoscienza pura (da cui emana e in cui dev’essere riassorbita la mente) a risolversi nell’atman, Coscienza integrale e senza secondo.
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Sono Siva Sono Siva
1 Non sono la mente, l’intelletto, il senso dell’io, il citta; né ancora il senso dell’udito, del gusto, dell’odorato, della vista; né ancora l’etere, la terra, il fuoco, l’aria. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva!
2 Né ancora sono il prana, né mi conosco come i cinque soffi vitali o i sette elementi o le cinque guaine; né sono l’organo della parola, delle mani, dei piedi, né l’organo della generazione né quello dell’escrezione. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva!
Ogni identificazione presuppone una consapevolezza, così come il pensato implica una mente proiettante. Il dualismo conflittuale concerne il prodotto del pensiero e non già la pura Coscienza non-duale che ne è il testimone; un’identificazione può prodursi o non prodursi, esistere o meno, ma la Coscienza non-duale è sempre esistente in quanto l’essere è Coscienza.
Così, benché la pura Coscienza (cit) sembri identificarsi con i contenuti di conoscenza che essa stessa sostanzia, rimane tuttavia sempre identica a se stessa e priva di dualità.
Nei primi due versi si accenna alla struttura dell’essere individuato allo scopo di operare l’autodiscriminazione dall’oggetto di conoscenza.
La mente (citta) è coscienza condensata e, come “organo interno” (antahkarana), può assumere diverse funzioni:
– manas, o mente empirica, sede della facoltà razionale-analitica individuale; esso elabora i dati dei sensi;
– buddhi, o intelletto puro, sede dell’intuizione sintetica superconscia di ordine universale.
Insieme a queste funzioni si devono considerare:
– gli organi di percezione (jnanendriya) e quelli di azione (karmendriya);
– le cinque suddivisioni del soffio vitale (prana);
– gli elementi (sottili e grossolani) quali stati allotropici della coscienza;
– i sette componenti del corpo fisico-denso.
Tutti questi ingredienti formano il triplice corpo (trisarira) – grossolano, sottile e causale – o i cinque involucri (pancakosa) ossia le guaine racchiudenti il Sé.
Per maggiore chiarezza si dà lo schema della costituzione individuale:
ATMA
corpi guaine
causale-animico anandamayakosa involucro di beatitudine
buddhimayakosa involucro dell’intelletto
sottile-luminoso manomayakosa involucro mentale
pranamayakosa involucro energetico
fisico-grossolano annamayakosa involucro di nutrimento
I tre corpi o i cinque “gusci” (kosa) non sono entità autonome e contrapposte: essi costituiscono un tutt’uno, un insieme integrale e rappresentano diverse e simultanee modalità vibratorie – reciprocamente compenetrantesi – del jivatma o sé incarnato. L’unità che essi sottendono è la stessa autocoscienza jivaica, mentre la molteplicità-variabilità che esprimono dipende dall’inerzialità karmica. L’uomo comune s’identifica con tali corpi e ne condivide la relatività esistenziale; il Saggio, invece, sa scorgere il Sé eternamente libero e splendente di là dagli involucri-sovrapposizioni limitanti e sa risolvere nella Consapevolezza immodificata i tre corpi dell’avidya.
3 Non mi appartengono avversione, piacere, avidità, illusione; così non mi appartengono orgoglio, invidia; né, ancora, doveri, desideri e fini da perseguire, né la stessa liberazione. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva!
Per la Coscienza pura che tutto comprende non esistono attrazione o repulsione, attaccamento o distacco poiché non c’è altro da sé. La contrapposizione, la tensione e il moto riequilibrante non possono avvenire nella Non-dualità, ove non vi è alcuna differenziazione: il movimento, infatti, distingue la “parte” ma il Tutto-Uno è compiuto in sé.
Nessun conflitto può turbare la pura Coscienza onninclusiva né esso può sorgere quando si vive una visione di Unità, quando cioè si possiede la stabile, piena e perfetta consapevolezza che tutto è “Uno e senza secondo”.
L’andare e il venire, il crearsi e il dissolversi concernono l’oggetto, l’io-corpo, l’apparenza fenomenica e persino l’universo, ma il Sé rimane il Testimone immutabile e sempre immobile. Il movimento di compensazione si produce nel divenire mentale ma nell’atman onniconsapevole è il perfetto Equilibrio autonomo, l’assenza di sostegni (asparsa), l’eterna beatitudine del puro e assoluto Essere (sat).
Concordemente allo stato di coscienza degli esseri vi sono diverse modalità esistenziali: soggezione al desiderio sensoriale-immaginativo (kama), attività finalistica (artha), conformità al Principio (dharma) e conseguimento della liberazione (moksa). Ma il Sé-Siva è pienezza-compiutezza-stabilità e, come Assoluto in qualificato, trascende tutte le possibilità relativistiche; non si può parlare di schiavitù o liberazione, di finalismo o incompiutezza per Quello che, essendo Non-dualità, è essenzialmente incondizionato, infinito e sempre libero, come non v’è giorno né notte per il sole o nascita e morte per l’Essere.
Il nostro riflesso di coscienza, dunque, può continuare ad aderire all’oggetto-forma e all’io empirico pretenzioso, può raccogliersi e involgersi nel soggetto-jiva (sonno profondo), oppure può trascendere i condizionamenti e – attraverso l’intelligente discriminazione e l’equilibrato distacco – elevarsi dal piano fenomenico-effettuale, trascendere anche quello noumenico causale (jiva-Isvara) e risolversi nella sua fonte quale pura Non-dualità. Sta a ciascuno pensarsi ente mayahico o riconoscersi Siva nirguna.
4 Non sono la virtù, non il vizio, non il piacere, né il dolore, né il mantra né il pellegrinaggio; non sono i Veda, né il rito sacrificale, né l’oggetto di fruizione, né, in verità, colui che fruisce né l’atto del fruire. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva!
Piacere e dolore e tutte le coppie di opposti rappresentano i poli complementari del pensiero: essi possono agitare la mente, ma la pura Coscienza imperturbabile è Beatitudine senza oggetto.
La mente produce sovrapposizioni, la coscienza le rimuove; la mente crea e conserva, la coscienza risolve.
Il Sé non dev’essere ricercato nello spazio-tempo proiettato dalla mente, né può essere conosciuto attraverso l’immaginazione, la speculazione intellettuale, il rito o l’attività esteriore o interiore: l’atman può essere svelato soltanto nell’intimo essere autoconsapevole.
La mente avida di contenuti si sostiene sugli attributi delle cose e non è perciò in grado di cogliere Ciò che trascende quantità e qualità. Quella sottile essenza che è la coscienza auto luminosa, esente da modalità e causalità, pervade la mente e la costruzione del pensiero: solo nella Coscienza può realizzarsi il Senza attributi.
Merito e demerito, azione e frutto competono al jiva e non al sempre puro Sé; nell’atman non si dà azione, frutto o esperienza. Quando la coscienza individuata si condensa e si “solidifica” in polarità distinte, allora forma quella massa inerziale che è il karma e da cui il jiva stesso è sospinto a proiettare, sperimentare, divenire. Il jiva – si può dire – è l’espressione del proprio karma.
Tutti i jiva sono compresi nel Sé come momenti autocoscienziali dell’atman: quando la massa karmica è stata consumata dal fuoco della Conoscenza e riconvertita in energia libera (consapevolezza radiante) il jiva, non più dotato di forza d’inerzia trasmigratoria, si ferma, arresta il proprio movimento-divenire samsarico e si estingue nell’atman onnicomprensivo e onnipervadente: è lo “Spazio” (coscienziale) che si ritrova identico a se stesso e privo di distinzione, il conoscitore che si scopre Conoscenza pura, l’essere vivente che si riconosce puro Essere.
Al di là dell’oggetto di esperienza (piano grossolano o di veglia), dell’esperienza (piano sottile o di sogno) e del soggetto fruitore (piano causale o di sonno, jiva-causale) vi è il Quarto (Turirya) o Sé, consapevole della triplice relatività: il Realizzato, risoltosi in Turiya-Brahman, può dimorare nella Coscienza immodificata o contemplare in sé la proiezione universale di maya. Nella pura Coscienza, infatti, vedente, vista e veduto coincidono perfettamente.
5 Non mi appartengono la paura, la morte, la distinzione di casta. Così non ho padre né madre né, ancora, nascita; non ho parenti, amici, né maestro né discepolo. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva!
Il non-nato non muore, ma sempre è. nella sostanza coscienziale sono plasmati i contenuti formali della mente, gli oggetti esterni e interni, gli esseri e i mondi: essi appaiono e scompaiono, si manifestano e si dissolvono come miraggi, ma la pura Coscienza permane sempre identica a se stessa, eterna (nitya), pura (suddha), auto consapevole (buddha) e assoluta (mukta).
Rimosse la dualità e l’unità accidentali rimane la Non-dualità; incluso il Tutto attraverso l’espansione coscienziale dell’ente-simbolo rimane l’Uno-senza-secondo.
Tutto è compreso in Siva, e per realizzare Siva occorre comprendere la totalità in quanto unità di coscienza assoluta e auto esistente (svayambhu). L’atman è immortale, e perciò non avendo né nascita né morte non può avere altresì né padre né madre. Se l’atman è un Compiuto non ha né maestro né alcun discepolo. In altri termini, ciò che è pura Coscienza-pienezza non può avere né esprimere dati che appartengono al non-essere.
6 Sono privo di modificazioni, di nome, di forma; sono espressione dell’onnipotenza e dell’onnipervadenza, essendo oltre i sensi non sono identificato alla stessa liberazione. Sono Coscienza ed essenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva!
Risolte le sovrapposizioni si autosvela il Sostrato in qualificato.
La progressiva discriminazione conduce a reintegrare l’espressività mentale egoica nell’autocoscienza jivaica e a risolvere questa nella Coscienza pura o Siva, cioè ad estinguere la molteplicità nell’unità assoluta di coscienza. La negazione introspettiva, da parte sua, produce una dis-identificazione ma non porta a un “vuoto-nulla” perché il Soggetto cosciente (Sé) non può negare se stesso: rimosse le sovrapposizioni oggettive inerenti al piano sensibile, intelligibile, ecc., la totale negazione (neti, neti) lascia splendere il Sé privo di attributi quale unico e non-duale Soggetto testimone reale, nella cui consapevolezza inclusiva tutto è compreso (iti, iti). Il puro Brahman è al di là del divenire e dello stesso Essere, e il Risvegliato si è ritrovato e stabilito oltre ciò che è e ciò che non è.
L’aformalità di Turiya-Siva, o assenza di qualificazioni e attributi, è Pienezza perfetta in quanto totale e non-duale pervasività: la Coscienza pura è al di là dal soggetto o dall’oggetto di percezione.
Realizzare Turiya è riconoscersi consapevolmente in quanto Siva-Coscienza pura, trascendente e pervadente il mondo dei nomi e delle forme.
Il Realizzato, il Compiuto, non è coinvolto nel divenire degli eventi: egli è Coscienza infinita e riflette l’immobilità e la pace dell’assoluto Siva.
tratto da “Opere Minori” (Volume secondo) di Sri Samkaracarya – Asram Vidya