gototopgototop
Registrazione

Centro Paradesha

SEI QUI: Home / Articoli / 263. Prospettive: spirituale e scientifica di Deepak e Leonard
A+ R A-

263. Prospettive: spirituale e scientifica di Deepak e Leonard

E-mail Stampa PDF

Offriamo, di seguito, due “Visioni” della Realtà: quella “Spirituale” rappresentata da Deepak Chopra e quella “Scientifica” rappresentata dal Fisico Leonard Mlodinow.
Queste due “Visioni” sono tratte dal libro edito dalla Sperling & Kupfer “Le due anime del mondo”.

*****

La prospettiva spirituale
di Deepak Chopra

Chi guarda fuori, sogna; chi guarda dentro, si risveglia”.
Carl Gustav Jung

Se vuole vincere la contesa per il futuro, la spiritualità deve anzitutto superare un grande pregiudizio. Nell’immaginario collettivo la scienza ha da lungo tempo screditato la religione. I fatti hanno rimpiazzato la fede. La superstizione è stata lentamente sconfitta. Ecco perché la teoria darwiniana della discendenza dell’uomo dai primati prevale sulla Genesi, e perché per l’origine del cosmo guardiamo al Big Bang anziché a un mito della creazione popolato da uno o più dèi.
È quindi essenziale chiarire che la religione non va confusa con la spiritualità. E nemmeno Dio equivale alla spiritualità. Nei secoli le religioni organizzate possono essersi indebolite, mentre la spiritualità non ha subito sconfitte. Migliaia di anni fa, nelle culture di ogni parte del mondo, maestri spirituali come Buddha, Gesù e Lao Tze hanno proposto profonde visioni della vita. Hanno insegnato che al di là del mondo quotidiano di dolore e di lotta esiste un mondo trascendente. Benché l’occhio veda rocce, montagne, alberi e cielo, questo non è che un velo che cela un’altra, vasta, misteriosa, invisibile realtà. Al di là della portata dei cinque sensi vi è un regno invisibile di infinite possibilità, e la chiave per dispiegarne il potenziale è la consapevolezza. Guardati dentro, proclamavano saggi e veggenti, e troverai la vera fonte di ogni cosa: la tua consapevolezza.
È questa la grandiosa promessa che la religione non ha saputo concretizzare. Le ragioni di questo insuccesso qui non ci interessano, perché questo è un libro sul futuro. Basti dire che se davvero il regno di Dio è dentro di noi, come annunciava il Cristo, se davvero il nirvana è liberazione dalla sofferenza, come insegnava il Buddha, e se davvero la conoscenza del cosmo è racchiusa nella mente umana, come sostenevano i rishi, gli antichi saggi dell’India, oggi guardandoci intorno non possiamo certo dire che i loro insegnamenti abbiano dato i frutti sperati. Sempre meno persone nel mondo credono alla vecchia maniera, e anche se i più anziani a volte lamentano questo declino delle religioni tradizionali, chi si è allontanato da una di queste in genere neanche sente più il bisogno di giustificarsi. Da tempo la scienza ha dispiegato dinanzi ai nostri occhi un mondo nuovo che non richiede di avere fede in un regno invisibile.
Il vero problema è la conoscenza, e come raggiungerla. Gesù e Buddha non avevano dubbi sul fatto che stessero descrivendo la realtà da una posizione di autentica conoscenza. Dopo oltre duemila anni, noi pensiamo di saperne di più.
La scienza celebra i suoi trionfi, che indubbiamente sono tanti, e giustifica le sue catastrofi, anche queste numerose e in aumento. L’atomica ci ha catapultati in un’era di distruzione di massa che al solo pensarci suscita incubi atroci. L’ambiente è stato disastrosamente compromesso dalle emissioni dei macchinari che la tecnologia ci fornisce per renderci la vita migliore. Eppure, i fautori della scienza minimizzano queste minacce, riducendole a trascurabili effetti collaterali o a imperfezioni della politica sociale. La morale, ci viene detto, non è responsabilità della scienza. Ma se guardiamo più in profondità, notiamo che la scienza è incorsa nello stesso errore della religione. La religione, infatti, ha perso di vista l’umiltà dinanzi a Dio, e la scienza ha smarrito il suo timore reverenziale, considerando sempre di più la natura come una forza da soggiogare per carpirne i segreti e metterli a disposizione dell’umanità. E ora ne stiamo tutti pagando il prezzo. Alla domanda se l’Homo sapiens sia a rischio di estinzione, alcuni scienziati rispondono ottimisticamente che nel giro di poche centinaia di anni i viaggi spaziali saranno abbastanza perfezionati da permetterci di abbandonare il nido planetario che stiamo irreparabilmente avvelenando. E allora via, a deturpare altri mondi!
Tutti sappiamo qual è la posta in gioco: il futuro incombe cupo su di noi. La soluzione standard per le nostre attuali sventure è fin troppo familiare: la scienza ci salverà con nuove soluzioni tecnologiche per risanare l’ambiente, rimpiazzare i combustibili fossili, curare il cancro e l’AIDS e porre fine alle carestie. Di’ soltanto il nome del male che ti affligge, e subito qualcuno ti indicherà una soluzione scientifica proprio dietro l’angolo. Ma la scienza non sta forse promettendo di salvarci da se stessa? E perché dovremmo credere a questa promessa? La visione del mondo che ha sconfitto la religione, e che guarda alla vita come a qualcosa di essenzialmente materialistico, ci ha messi su una strada che porta a un vicolo cieco. Letteralmente.
Anche se riuscissimo miracolosamente a liberarci dell’inquinamento e dell’eccesso di rifiuti,  le generazioni future non disporranno ugualmente di un buon modello di vita, se non quello che ci ha portati al fallimento: consumi incontrollati, sfruttamento selvaggio delle risorse naturali e diabolica creatività bellica. Come ha amaramente detto un giovane studente cinese parlando dell’Occidente: “Vi siete mangiati tutto quello che c’era sul tavolo. Ora ci concedete dolce e caffè, ma volete che il conto lo paghiamo noi”.
La religione non è più in grado di risolvere questo dilemma, ha già avuto la sua chance. Ma la spiritualità può farlo eccome! Abbiamo bisogno di tornare alla fonte della religione. E la fonte non è Dio, bensì la consapevolezza. I grandi maestri vissuti nei millenni passati hanno offerto qualcosa di più radicale della fede in una potenza superiore. Hanno offerto un modo di vedere la realtà che prende il via non dai fatti esteriori e da un’esistenza fisica limitata, ma dalla saggezza interiore e dall’accesso alla consapevolezza illimitata. L’ironia è che Gesù, Buddha e altri illuminati erano anche scienziati. Avevano un modo di scoprire la conoscenza che correva parallelo a quello della scienza moderna. Anzitutto c’era un’ipotesi, un’idea che necessitava di prove. Poi la sperimentazione, per vedere se l’ipotesi era vera. Infine la verifica, in cui le nuove scoperte venivano sottoposte ad altri ricercatori, che dovevano riprodurle.
L’ipotesi spirituale proposta migliaia di anni fa si articola in tre punti:

1. C’è una realtà invisibile, che è la fonte di tutte le cose visibili.
2. Questa realtà invisibile è conoscibile attraverso la nostra consapevolezza.
3. Intelligenza, creatività e capacità organizzative sono insite nel cosmo.

Questo tris di idee è simile ai valori platonici nella filosofia greca, i quali ci dicono che l’amore, la verità, l’ordine e la ragione forgiano l’esistenza umana da una realtà superiore. La differenza è che filosofie ancora più antiche, le cui radici arrivano a cinquemila anni fa, ci dicono che tale realtà superiore è con noi, proprio qui e ora.
Nelle pagine che seguono, mentre Leonard e io dibatteremo sui grandi interrogativi dell’esistenza umana, il mio ruolo sarà quello di offrire risposte spirituali: non da sacerdote o da seguace di una qualche fede in particolare, ma da ricercatore nel campo della consapevolezza. Questo, lo so bene, rischia di alienarmi le simpatie dei credenti devoti, dei molti milioni di persone di ogni fede per cui Dio è un’entità intima e personale. Ma le tradizioni sapienziali di tutto il mondo non escludono un Dio personale (per essere sincero, da bambino non mi è stato insegnato di adorarne uno, però mia madre lo faceva, recandosi ogni giorno a pregare al tempio di Rama). Al tempo stesso, però, tutte le tradizioni sapienziali del mondo includono un Dio impersonale che permea ogni atomo dell’universo e ogni fibra del nostro essere. Questa distinzione preoccupa quei credenti che vogliono aderire all’”unica vera fede”, qualunque essa sia. Ma il concetto di un Dio impersonale non va considerato una minaccia.
Pensate a qualcuno che amate. Ora pensate all’amore stesso. La persona che amate dà un volto all’amore, ma voi sapete che l’amore esisteva prima della nascita di quella persona, e sopravvivrà alla sua morte. In questo semplice esempio sta la differenza tra Dio personale e Dio impersonale. Come credenti potete dare un volto a Dio, è una vostra scelta privata, ma spero vi rendiate conto che se Dio è ovunque le qualità divine di amore, misericordia, compassione, giustizia e ogni altro attributo a Lui ascritto si estendono all’infinito, per tutto il creato. Non sorprende che questa idea sia comune a tutte le principali religioni. È stata una consapevolezza superiore a permettere ai grandi saggi, santi e veggenti di raggiungere un tipo di conoscenza da cui la scienza si sente minacciata, ma che è pienamente valida. La nostra comprensione della consapevolezza è troppo limitata per renderle giustizia.
Se vi domandassi di che cosa siete consapevoli in questo preciso istante, probabilmente descrivereste la stanza in cui vi trovate, gli oggetti, i suoni e gli odori da cui siete circondati. Di riflesso diverreste consapevoli del vostro stato d’animo, delle sensazioni del vostro corpo, magari di una preoccupazione o di un desiderio nascosti più a fondo, sotto il livello dei pensieri superficiali. Ma il viaggio interiore può continuare ben più in profondità, portandovi in una realtà che non riguarda gli oggetti “là fuori”, e neppure i sentimenti e i pensieri “qui dentro”. Alla fine questi due mondi si fondono in un unico stato dell’essere che supera i limiti di spazio e tempo e si colloca in un regno di infinite possibilità.
Ora però ci troviamo di fronte a una contraddizione. Come possono due realtà opposte (tanto quanto cuocere una pagnotta è l’opposto di sognarne una) essere la stessa cosa? Questa visione improbabile delle cose è concisamente descritta in un antico testo sapienziale indiano, la Isha Upanishad: “Quello è completo, e anche questo è completo. Questa totalità è stata portata da quella totalità. Quando questa pienezza si fonde con quella pienezza, tutto ciò che resta è pienezza”. Un passo che a prima vista pare un indovinello, ma che è agevolmente decifrabile se capiamo che “quello” è lo stato di pura consapevolezza, mentre “questo” è l’universo visibile. Entrambi sono completi in se stessi, come sappiamo dalla scienza, che per quattro secoli si è accontentata di esplorare l’universo visibile. Ma nella visione del mondo spirituale una pienezza nascosta sottende tutta la creazione, e in ultima analisi è questa pienezza invisibile a contare di più.
La spiritualità ha una storia plurimillenaria, e i suoi “ricercatori” furono tra le menti più brillanti del loro tempo, veri e propri Einstein della consapevolezza. Tutti possono riprodurre e verificare i risultati delle proprie ricerche, come con i principi della scienza. E ciò che più conta, il futuro che la spiritualità promette – un futuro di saggezza, libertà e benessere -, non è svanito con il declino dell’età della fede. La realtà è realtà. Ce n’è una sola, ed è permanente. Questo significa che verrà giorno in cui mondo interiore e mondo esteriore dovranno incontrarsi, e allora non dovremo più scegliere tra i due. Si tratterà di una scoperta rivoluzionaria, poiché la disputa tra scienza e religione ha ormai convinto quasi tutti che o si affronta la dura realtà della vita quotidiana (scienza), o ci si ritira a contemplare passivamente un regno al di là della vita quotidiana (religione).
Questo aut-aut ci venne imposto allorché la religione fallì nel realizzare le sue promesse. Ma la spiritualità, la fonte profonda della religione, non ha per niente fallito, ed è pronta a un faccia a faccia con la scienza per offrire risposte in linea con le più avanzate teorie scientifiche. È stata la consapevolezza umana a creare la scienza, e ora la scienza sta tentando di escludere la consapevolezza, ovvero ciò che l’ha creata! Se ci riuscisse, finiremmo non solo con l’avere una scienza orfana e limitata, ma saremmo anche costretti ad abitare un mondo impoverito.
In un certo senso, questo è già realtà. Viviamo in un’epoca di spudorato ateismo, i cui fautori deridono la religione definendola superstizione, illusione e imbroglio. Ma il loro vero bersaglio non è la religione, bensì il viaggio interiore. Gli attacchi a Dio mi preoccupano meno della superstizione del materialismo. Per gli atei della scienza la realtà dev’essere esterna, altrimenti tutto il loro metodo cade a pezzi. Se il mondo fisico è tutto ciò che esiste, la scienza ha ragione a volerlo indagare a fondo in cerca di dati.
Ma qui la superstizione del materialismo collassa. I nostri cinque sensi ci incoraggiano ad accettare che “là fuori” ci sono oggetti: foreste e fiumi, atomi e quark. Tuttavia, alle frontiere della fisica, laddove la natura diventa infinitamente piccola, la materia si scompone e svanisce. Qui l’atto di misurare trasforma ciò che vediamo; ogni osservatore è intrecciato a ciò che osserva. Ma questo è l’universo già noto alla spiritualità, in cui l’osservazione passiva lascia il posto alla partecipazione attiva, e noi scopriamo di essere parte del tessuto della creazione. Il risultato è grande potere e libertà.
La scienza non ha mai raggiunto l’oggettività pura, né mai la raggiungerà. Negare il valore dell’esperienza soggettiva è escludere la maggior parte di ciò che rende la vita degna di essere vissuta: l’amore, la fiducia, la fede, la bellezza, lo stupore, la meraviglia, la compassione, la verità, l’arte, la morale e la mente stessa. L’ambito di ricerca delle neuroscienze ha ampiamente accettato che la mente non esiste, che è soltanto un sottoprodotto del cervello. Il cervello – un “computer fatto di carne”, come l’ha definito Marvin Minsky, esperto di intelligenza artificiale (IA) – ci dominerebbe in tutto: deciderebbe chimicamente come ci sentiamo, determinerebbe geneticamente il modo in cui cresciamo, viviamo e moriamo. Per me questo quadro non è accettabile, perché escludendo la mente chiudiamo la nostra porta d’accesso alla conoscenza e all’intuizione.
Mentre Leonard e io discutiamo dei grandi misteri dell’universo, i saggi e veggenti del passato ci ricordano che una sola è la domanda: che cos’è la realtà? È il risultato di leggi naturali che operano rigorosamente attraverso un processo di causa-effetto? O è forse qualcos’altro? Le nostre visioni del mondo sono in guerra per buone ragioni. O la realtà si limita all’universo visibile, oppure no. O il cosmo è nato da un vuoto privo di significato, oppure no. Nel tentativo di comprendere la natura della realtà, siamo come i sei ciechi della leggenda che tentarono di descrivere un elefante toccandone una sola parte. Chi ne afferrava una gamba diceva: “Un elefante è molto simile a un albero”. Chi ne toccava la proboscide affermava: “Un elefante è simile a un serpente”. E così via.
Può sembrare una favola, ma in realtà è un antico apologo indiano. I sei ciechi sono i cinque sensi più la mente razionale. L’elefante è il Brahman, la totalità di tutto ciò che esiste.
Apparentemente, l’apologo è pessimista: se tutto quello che possiedi sono i tuoi cinque sensi e la tua mente razionale, non sarai mai in grado di vedere l’elefante. Ma c’è un messaggio nascosto, così ovvio che molti non lo colgono: l’elefante esiste! C’era già prima di noi, e pazientemente attendeva di essere conosciuto. È la verità più profonda della realtà unificata.
Il fatto che la religione abbia fallito non significa che fallirà anche la nuova spiritualità che propongo, basata interamente sulla consapevolezza. Abbiamo bisogno di vedere la verità, e mentre lo faremo risveglieremo i profondi poteri che ci vennero promessi migliaia di anni fa.
Il tempo stringe. Il futuro dipende dalla scelta che facciamo oggi.

*****

La prospettiva scientifica
di Leonard Mlodinow

Più l’evoluzione spirituale dell’umanità avanza, più
mi appare certo che il cammino verso una religiosità
autentica non passa per il timore della vita e della
morte e per una fede cieca, ma per gli sforzi compiuti
in direzione di una conoscenza razionale.
Albert Einstein

I bambini vengono al mondo convinti che tutto ruoti intorno a loro, e così è avvenuto anche all’umanità. Noi esseri umani abbiamo sempre desiderato di comprendere l’universo, ma per la maggior parte della nostra storia non avevamo i mezzi per farlo. Così, visto che siamo animali proattivi e dotati di immaginazione, non abbiamo permesso alla mancanza di strumenti di fermarci. Abbiamo semplicemente adoperato la nostra immaginazione per procurarci immagini e risposte convincenti. Tali immagini e risposte non erano basate sulla realtà, ma create ad hoc in base ai nostri bisogni. Tutti vorremmo essere immortali. Ci piacerebbe credere che il bene trionfi sul male, che una forza a noi superiore vegli sulla nostra esistenza, che siamo parte di qualcosa di più grande, o che siamo stati messi al mondo per una determinata ragione. Ci piacerebbe credere che le nostre vite abbiano un significato intrinseco. Le antiche concezioni dell’universo ci hanno confortato per millenni, confermando questi desideri. Da dove viene l’universo? Da dove viene la vita? Da dove viene l’uomo? Le leggende e le teologie del passato ci assicuravano che eravamo stati creati da Dio, e che la nostra Terra era il centro di tutto.
Oggi la scienza può rispondere a molte delle domande fondamentali dell’esistenza. Le sue risposte nascono dall’osservazione e dalla sperimentazione, anziché da pregiudizi o desideri umani. La scienza offre risposte in armonia con la natura così com’è, piuttosto che come noi vorremmo che fosse.
L’universo è un luogo che affascina e incute timore reverenziale, soprattutto a quelli che ne sanno qualcosa. E più impariamo, più stupefacente ci appare. Newton disse che se vedeva più lontano era perché si ergeva sulle spalle dei giganti. Oggi tutti noi possiamo salire sulle spalle di eminenti scienziati e osservare verità profonde e sorprendenti sull’universo e sul posto che vi occupiamo. Siamo in grado di capire come sia noi, sia la nostra Terra siamo fenomeni naturali scaturiti per effetto di leggi fisiche. I nostri progenitori contemplavano il cielo notturno con attonita meraviglia, ma vedere stelle esplodere in pochi secondi e risplendere di più luce di intere galassie conferisce a quella meraviglia una nuova dimensione. Ai nostri giorni uno scienziato può puntare il suo telescopio e osservare un pianeta simile alla Terra a migliaia di miliardi di chilometri di distanza, oppure studiare uno spettacolare universo interno, nel quale un milione di milioni di atomi collaborano nel creare una minuscola lentiggine. Oggi sappiamo che la Terra è soltanto un mondo tra i tanti, e che la nostra specie è nata da altre specie (i cui membri forse non inviteremmo nei nostri salotti, ma che tuttavia restano i nostri progenitori). La scienza ha rivelato un universo vasto, antichissimo, violento, strano e meraviglioso; un universo di varietà e possibilità pressoché infinite, in cui il tempo può finire in un buco nero, ed esseri coscienti possono evolvere da un brodo primordiale di Sali minerali. In un simile universo potrà forse sembrare che gli uomini siano insignificanti, ma ciò che è significante e profondo è che noi, insiemi di innumerevoli atomi non pensanti, possiamo diventare consapevoli e comprendere le nostre origini e la natura del cosmo in cui viviamo.
Deepak ritiene che le spiegazioni scientifiche siano sterili e riduttive, che sminuiscano l’umanità riducendola a un mero aggregato di atomi, non diverso da qualunque altro oggetto nell’universo. Ma la conoscenza scientifica non sminuisce la nostra umanità, così come sapere che il nostro Paese è uno tra i tanti non sminuisce il legame che abbiamo con la nostra cultura e le nostre radici.
In realtà è proprio il contrario. Le emozioni, l’intuizione e la subordinazione a un’autorità – aspetti che guidano la fede nella spiegazione religiosa e mistica – si riscontrano anche in altri primati, e perfino negli animali inferiori. Ma gli oranghi non sono in grado di ragionare sugli angoli dei triangoli, e i macachi non guardano al cielo chiedendosi perché i pianeti seguano orbite ellittiche. Solo gli esseri umani possono cimentarsi in quei meravigliosi processi della ragione e del pensiero chiamati “scienza”; solo noi siamo in grado di capire noi stessi e come è nato il nostro pianeta, e solo noi siamo riusciti a scoprire gli atomi di cui siamo fatti.
Il trionfo del genere umano è la nostra capacità di capire. Sono la nostra comprensione del cosmo, la nostra ipotesi su “da dove veniamo” e la nostra visione del posto che occupiamo nell’universo a renderci diversi. Un sottoprodotto di questa comprensione scientifica è il potere di utilizzare la natura a nostro beneficio, oppure, è vero, di sfruttarla a nostro detrimento. Le particolari scelte etiche e morali degli esseri umani dipendono dalla natura umana, e dalla cultura umana. Gli uomini scagliavano sassi sui loro nemici ben prima di conoscere la legge di gravità. E hanno inquinato l’aria ben prima di padroneggiare la termodinamica della combustione del carbone.
Promuovere il bene e scongiurare il male è compito delle religioni organizzate e della spiritualità. Sono queste, e non la scienza, che spesso non sono riuscite a mantenere le loro promesse. Le religioni orientali non hanno impedito all’Asia di avere una storia di brutali conflitti, e quelle occidentali non sono riuscite a pacificare l’Europa. Anzi, sono stati massacrati di gran lunga più esseri umani in nome della religione di quanti ne siano stati uccisi da tutte le armi atomiche rese possibili dalla fisica moderna.
Dalle crociate all’olocausto, la religione è stata, oltre che veicolo di bontà e amore, strumento d’odio. L’approccio universalista e pacifico di Deepak alla spiritualità è pertanto una gradita alternativa, ma la sua metafisica va ben oltre l’idea di guida spirituale, poiché si propone di offrire una visione della natura dell’universo. La convinzione di Deepak che l’universo abbia un senso e sia pervaso di amore può essere affascinante, ma è corretta?
Deepak critica la scienza per la sua visione della vita come qualcosa di “essenzialmente materialistico”. Con questo termine non vuole insinuare che gli scienziati si concentrino solo sulle cose e sul desiderio di possederle, ma che si occupano solo di fenomeni che possono vedere, sentire, annusare, rilevare con strumenti o misurare con i numeri. E all’universo visibile e misurabile studiato dalla scienza Deepak contrappone un “regno di infinite possibilità” implicitamente superiore ma invisibile, che sta al di là dei nostri sensi, un “mondo trascendente” che sarebbe la fonte di ogni cosa visibile. Deepak sostiene con passione e veemenza che solo accettando questo regno la scienza potrà superare i propri limiti e contribuire a salvare il mondo. Ma sostenere che tale regno possa espandere i limiti della scienza, che possa aiutare l’umanità o che gli antichi saggi ce ne abbiano parlato esortandoci a cercarlo, non lo rende vero. Se sapete di stare mangiando un cheeseburger e io vi dico che in qualche altro regno invisibile quel cheeseburger è in realtà un tenero filetto, giustamente vorrete sapere come faccio a saperlo, e quali prove posso addurre a sostegno della mia affermazione. Solo le risposte a quelle domande possono consentire a una convinzione di trascendere il pio desiderio. Quindi se Deepak vuole essere convincente, quelle domande rappresentano la sfida che deve affrontare.
Il vero problema, come dice Deepak, è la conoscenza, nonché il modo di raggiungerla. Deepak critica la scienza sostenendo che nega “il valore dell’esperienza soggettiva”. Ma la scienza non sarebbe andata molto lontano, se uno scienziato avesse descritto un atomo di elio come “piuttosto pesante”, e un altro avesse ribattuto: “A me pare invece leggero”. Gli scienziati si avvalgono di precise misurazioni oggettive e di altrettanto precisi concetti oggettivi per una buona ragione, e il fatto che cerchino di garantire che le loro misurazioni e i loro concetti non siano influenzati da “amore, fiducia, fede, bellezza, stupore, meraviglia, compassione” eccetera, non significa che disconoscano il valore di queste categorie in altri settori della vita.
Gli scienziati sono spesso guidati dal proprio intuito e dalle proprie sensazioni soggettive, ma riconoscono la necessità di un passo ulteriore: la verifica. La scienza procede attraverso un ciclo di osservazione, teoria e sperimentazione, e tale ciclo viene ripetuto finché teoria e prove empiriche non sono in armonia. Ma questo metodo potrebbe fallire, se i concetti non fossero precisamente definiti e gli esperimenti rigorosamente controllati. Questi aspetti del metodo scientifico sono cruciali, e determinano la differenza tra buona e cattiva scienza, o tra scienza e pseudoscienza. Deepak afferma che Gesù era uno scienziato. Lo era veramente? Non credo che Gesù abbia mai radunato un campione di popolazione terrestre per porgere a metà di loro l’altra guancia dopo essere stato insultato, e per assestare all’altra metà un bel ceffone, e infine per raccogliere statistiche sull’efficacia dei due diversi metodi. Potrebbe sembrare sciocco e impertinente che obietti proprio al fatto che Deepak definisca Gesù uno scienziato, ma la mia obiezione introduce un argomento – l’uso della terminologia – che diverrà cruciale nei capitoli successivi, quando entreremo in contesti più specifici: occorre fare molta attenzione, quando si parla di argomenti scientifici, a non usare i termini in maniera approssimativa. In una discussione è facile usare le parole in modo impreciso, ma è anche pericoloso, perché spesso l’essenza del ragionamento si basa sulle sfumature di quelle parole.
Non voglio dire che la scienza sia perfetta. Deepak sostiene che la scienza non ha mai raggiunto l’oggettività pura, e ha ragione. Tanto per cominciare, i concetti impiegati nella scienza sono concepiti dal cervello umano. Degli alieni con strutture cerebrali, processi intellettivi e organi sensoriali diversi potrebbero vedere le cose in modi completamente diversi, ma ugualmente validi. E se c’è un certo tasso di soggettività  nei nostri concetti e nelle nostre teorie, ce n’è anche nei nostri esperimenti. Infatti, da esperimenti condotti sugli sperimentatori è risultato che gli scienziati hanno una certa tendenza a vedere ciò che vogliono vedere, e a farsi convincere dai dati che vogliono trovare convincenti. Sì: gli scienziati e la scienza sono fallibili. Eppure tutte queste ragioni non portano a dubitare del metodo scientifico, ma piuttosto a seguirlo il più scrupolosamente possibile.
La storia dimostra che il metodo scientifico funziona. Dal momento che anche gli scienziati sono esseri umani, all’inizio alcuni di loro possono opporre resistenza a idee nuove e rivoluzionarie, ma se le previsioni di una teoria vengono confermate dagli esperimenti, la nuova teoria viene presto universalmente accettata. Per esempio, nel 1982 Robin Warren e Barry Marshall scoprirono il batterio Helicobacter pylori e ipotizzarono che provocasse l’ulcera. Il loro lavoro non fu ben accolto, perché al tempo gli scienziati credevano fermamente che le cause principali dell’ulcera peptica fossero lo stress e lo stile di vita dei pazienti. Ma ulteriori esperimenti hanno confermato l’ipotesi di Warren e Marshall, e nel 2005 è stato definitivamente stabilito che l’Helicobacter pylori è la causa di oltre il 90 per cento delle ulcere duodenali e fino all’80 per cento delle ulcere gastriche, e a Warren e Marshall è stato assegnato il Nobel. La scienza premierebbe anche Deepak, se le sue affermazioni risultassero vere.
Quando certe teorie in cui la gente crede appassionatamente vengono spazzate via dalla comunità scientifica, subito si levano accuse di chiusura mentale. Ma la storia della scienza dimostra che la vera ragione del rifiuto di tali teorie è che queste si scontrano con la mancanza di prove obiettive. Infatti anche idee molto strane, talvolta sorte da ambiti oscuri e impensati – idee come la relatività e l’incertezza quantistica – sono state rapidamente accettate malgrado sfidassero il pensiero convenzionale, e per un solo motivo: hanno superato i relativi test sperimentali. I fautori della metafisica e della spiritualità alla Deepak sono assai meno aperti a modificare o ampliare la propria visione del mondo per includervi le nuove scoperte. Anziché accogliere le nuove verità, spesso si aggrappano ad antichi testi, idee e spiegazioni. Se talora si rivolgono alla scienza nel tentativo di giustificare le loro idee, sono pronti a voltarle le spalle non appena sembra loro che la scienza non le avalli. E quando usano concetti scientifici lo fanno così vagamente che il loro significato viene di fatto stravolto, con il risultato che le conclusioni a cui pervengono non sono scientificamente valide.
Non ci si può aspettare che la scienza risponda a tutti gli interrogativi sull’universo. Forse ci sono segreti della natura che rimarranno per sempre al di là dei limiti dell’intelligenza umana. Altri interrogativi, come quelli sul senso della vita, è meglio guardarli da una prospettiva multipla, scientifica e spirituale al tempo stesso. Questi due metodi possono infatti coesistere e rispettarsi a vicenda. I problemi sorgono quando una dottrina religiosa e spirituale fa dichiarazioni sull’universo fisico che contraddicono ciò che dopo effettiva osservazione risulta essere vero.
Per Deepak la chiave di tutto è la comprensione della consapevolezza. È vero, la scienza ha appena iniziato ad affrontare la questione. Com’è che quegli atomi non pensanti di cui siamo fatti cospirano a creare l’amore, la sofferenza, la gioia? Come fa il cervello a creare il pensiero e l’esperienza cosciente? Il cervello contiene oltre cento miliardi di neuroni, all’incirca il numero di stelle in una galassia, ma le stelle difficilmente interagiscono, mentre un neurone è connesso a migliaia di altri. Questo rende il cervello umano ben più complesso e difficile da scandagliare dell’universo di galassie e stelle, ed è uno dei motivi per cui abbiamo fatto grandi progressi nella comprensione del cosmo, mentre la conoscenza di noi stessi procede con relativa lentezza. È forse un segno che la nostra mente non può essere spiegata?
Sarebbe poco lungimirante pensare che poiché oggi la scienza non può spiegare la consapevolezza, questa dovrà per sempre restare fuori dalla sua portata. Ma anche se l’origine della consapevolezza fosse davvero troppo complessa per essere pienamente afferrata dalla mente umana, questa non sarebbe ancora una prova che la consapevolezza appartiene a un ambito soprannaturale. Infatti, sebbene la questione di come la consapevolezza sia nata resti un enigma, abbiamo una quantità di prove che funziona secondo le leggi della fisica. Per esempio, in tutta una serie di esperimenti neuroscientifici, pensieri, emozioni e sensazioni della mente dei soggetti – il desiderio di muovere un braccio, il pensare a una persona precisa, come Jennifer Aniston o Madre Teresa di Calcutta, la voglia di cioccolato – sono stati tutti ricondotti a specifiche aree e attività del cervello fisico. Gli scienziati hanno perfino scoperto quelle che hanno definito concept cells, ovvero cellule che si accendono ogniqualvolta un soggetto riconosce un concetto, sia questo rappresentato da una persona, un luogo o un oggetto. Tali neuroni sono il substrato cellulare di un’idea. Si accendono, per esempio, ogni volta che un soggetto riconosce in foto Madre Teresa di Calcutta, a prescindere dall’abito che indossa o dalla posa che assume. Si accendono perfino se il soggetto vede soltanto il nome “Madre Teresa di Calcutta” scritto in un testo.
La scienza è in grado di rispondere all’apparentemente irrisolvibile quesito di come sia nato l’universo, e vi è ragione di credere che un giorno sarà in grado di spiegare anche le origini della consapevolezza. La scienza è un processo in continuo sviluppo, e di cui non è dato vedere la fine. Se in futuro saremo in grado di spiegare la mente in termini di attività di un universo di neuroni, se verrà provato che tutti i nostri processi mentali hanno origine dal flusso di ioni carichi all’interno delle cellule nervose, ciò non significherà che la scienza avrà negato il valore di “amore, fiducia, fede, bellezza, stupore, meraviglia, compassione, verità, arte, morale e mente stessa”. Come ho già detto, spiegare qualcosa non significa sminuirlo o negarne il valore. È anche importante riconoscere che, pur considerando una spiegazione scientifica dei nostri processi cognitivi (o di qualunque altro fenomeno) esteticamente o spiritualmente insoddisfacente, sgradevole o sconfortante, questo non la rende tuttavia falsa. Le nostre spiegazioni devono essere guidate dalla verità, e la verità non può essere modificata per conformarsi a ciò che vogliamo sentirci dire.
Purtroppo, l’attuale assenza di una teoria scientifica pienamente sviluppata della consapevolezza favorisce proprio quel tipo di ragionamento impreciso che porta a conclusioni che entrano in conflitto con le leggi fisiche note. La filosofia e la metafisica non possono spiegare un apparecchio per la risonanza magnetica, un televisore o anche solo un tostapane. Possono forse spiegare la consapevolezza, o perché l’universo è così com’è? Probabilmente. Ma se Deepak offre le sue personali spiegazioni di una consapevolezza universale, io ho in programma di attenermi a un principio basilare della scienza: lo scetticismo. Deepak sostiene che nella nostra discussione sia lui il perdente. I dati statistici mostrano però il contrario. Secondo un campione casuale, solo il 45 per cento degli americani crede nell’evoluzione, mentre il 76 per cento crede nei miracoli. Nessun candidato presidenziale statunitense può risultare credibile se non proclama di avere fede in un qualche potere superiore, ma molti hanno trovato politicamente vantaggioso negare la teoria dell’evoluzione. La scienza non è quella padrona assoluta della vita moderna che Deepak immagina, ne è semmai la serva poco considerata.
Le risposte della scienza non arrivano facilmente. Il fisico e premio Nobel Steven Weinberg ha dedicato l’intera vita allo studio della teoria delle particelle elementari, come l’elettrone, il muone e il quark, tuttavia ha scritto di non avere mai trovato granché interessanti tali particelle. Dunque perché ha dedicato loro la sua vita? Perché crede che in questo momento della storia del pensiero umano studiarle sia il modo più promettente per penetrare le leggi fondamentali che governano la natura. Alcuni dei diecimila scienziati che hanno lavorato per oltre un decennio alla costruzione del Large Hadron Collider (LHC), il multimiliardario acceleratore di particelle del CERN di Ginevra, probabilmente non pensavano che le lunghe ore trascorse a calibrare delicatissimi strumenti e a mettere a punto spettrometri  fossero poi così divertenti, benché a molti saranno anche piaciute. Eppure lo hanno fatto, e per lo stesso motivo per cui Weinberg ha studiato i muoni. Gli esseri umani differiscono dagli altri animali per gli interrogativi che si pongono sul loro ambiente. Lasciato in un luogo nuovo che non conosce, un ratto lo esplorerà per un po’, ne traccerà una mappa mentale, si troverà un rifugio sicuro e smetterà di esaminarlo. Un essere umano, invece, messo in condizioni simili si domanderà: perché mi trovo in questa gabbia? Come ci sono arrivato? Dove sarà il posto più vicino per avere un caffè decente? Gli esseri umani studiano le scienze perché hanno bisogno di sapere come la loro vita rientra nel più vasto schema dell’universo. Questa è una delle qualità chiave che ci rende umani. Ma le risposte sono edificanti solo se sono vere. Suggerirei quindi al lettore, quando medita sulla visione del mondo spesso molto affascinante proposta da Deepak, di tenere sempre a mente le parole di un grande fisico del CalTech, Richard Feynman: “Il primo principio è che non devi ingannare te stesso, e bada che tu sei il più facile da ingannare”.

tratti da “Le due anime del mondo” di Deepak Chopra e Leonard Mlodinow
– un dialogo tra Spiritualità e Scienza – Sperling & Kupfer Editori

 

Libri di Deepak Chopra consigliati:
La vita senza condizioni
Guarirsi da dentro
Benessere totale
Corpo senza età, mente senza tempo
L’antica Saggezza dell’Anima
L’avventura di un’Anima
Le sette leggi spirituali dello Yoga

Libri di Leonard Mlodinow consigliati:
Il Grande Disegno (coautore con Stephen Hawking)
La grande storia del tempo (coautore con Stephen Hawking e D. Didero)
La passeggiata dell’ubriaco. Le leggi scientifiche del caso (coautore con I. Katerinov)

 

Centri Consigliati

centri consigliati

Libri consigliati

Libri consigliati

Riviste consigliate

Riviste consigliate

Link consigliati

Link consigliati