dalla Rivista Italiana di Teosofia ANNO LXVIII N.6, Gennaio 2012 (www.teosofica.org)
Alenka Jeric è socia del Centro Internazionale Studi e Ricerche Teosofiche di Cervignano del Friuli
Di seguito la Relazione presentata in occasione del seminario che si è svolto a Grado (GO) dal 23 al 25 settembre 2011 sul tema: “Teosofia e Gnosi”.
*****
Il Ritorno al Pleroma tra Gnosi, Teosofia e Induismo
Questa breve presentazione si propone innanzitutto di elaborare uno schema di riflessione, stabilendo dei paralleli tra alcuni aspetti del testo gnostico Ritorno al Pleroma ed alcuni aspetti dell’Induismo. In particolare, pare fondamentale soprattutto individuare un possibile filo conduttore sufficientemente chiaro all’interno di un percorso complesso come quello indicato dal Ritorno al Pleroma.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi all’induismo è stato seguito in gran parte il pensiero di Alain Danielou, esposto nel libro Miti e dei dell’India.
La teosofia parla della divinità immanifesta ed inconoscibile nonché della creazione del Cosmo ad opera di una divinità manifesta, il Logos, che delimitando una parte dell’universo esercita su di esso la propria influenza.
L’Uno per manifestarsi diventa tre. Egli si manifesta attraverso la trinità, ovvero la trinità è necessaria ai fini della manifestazione. Dall’altra parte sappiamo invece che, nell’universo manifesto, vige la regola del dualismo, degli opposti.
Nel trattato del Ritorno al Pleroma l’attenzione viene ripetutamente portata sulla relazione tra le tre lettere madri dell’alfabeto ebraico, Alef, Mem e Shin, in riferimento al superamento degli opposti appartenenti ad una visione dualista del mondo, conseguente all’assunzione del frutto dell’albero del bene e del male. Mem e Shin rappresentano gli opposti, mentre Alef rappresenta l’Unità nella quale i due opposti si fondono, vengono superati, trascesi. Da due elementi, ovvero da tre, divengono una sola realtà onnicomprensiva. Da questi tre aspetti parte la successiva diversificazione degli elementi che strutturano l’universo.
La tradizione indù parla dell’Essere Supremo, Brahman, in qualità di Realtà onnipervadente ed increata, che fa sorgere l’universo ma che rimane sempre se stessa, immutabile ed insondabile.
La manifestazione dell’universo avviene tramite la trinità Brahma, Vishnu e Shiva, chiamati rispettivamente il creatore, il sostenitore dell’universo e il distruttore. In realtà però tutti i tre aspetti della Trinità-Unità sono, allo stesso tempo, creatori, sostenitori e distruttori. Essi presiedono a tutti i processi di trasformazione in quanto tutto nella vita manifesta nasce, si sviluppa e muore. Tutte tre le divinità con la propria presenza agiscono, strutturano lo spazio-tempo a livelli diversificati, ma entro la stessa sfera che è una.
Inoltre dal potere manifestativo di Dio (Maya) scaturiscono tre tendenze chiamate anche forze di base o qualità fondamentali, attributi o guna che, allo stato immanifesto, costituiscono un’unità in quanto in perfetto equilibrio. La manifestazione ha luogo nel momento in cui questo equilibrio si incrina ed i tre guna iniziano ad interagire portando a combinazioni diverse dove predomina una delle tre qualità. I tre guna rappresentano tre forze distinte ma assolutamente inseparabili che portano alla strutturazione dell’universo manifesto: sattva, rajas e tamas.
La prima qualità rappresenta l’azione centripeta, che porta alla coesione. È sostanzialmente una forza di attrazione e di concentrazione di energia, rappresentata da sattva.
La seconda è una forza centrifuga, di disgregazione, che si oppone all’azione coesiva. Questa forza di dispersione viene rappresentata da tamas, che in sé significa tenebra, inerzia.
L’equilibrio tra le due forze precedenti, tra coesione-sattva e dispersione-tamas, dà origine ad un movimento rotatorio, orbitante, che rappresenta la sorgente dell’attività creativa, l’origine della diversificazione nel manifesto. Questa viene denominata rajas.
Riprendendo il tema della trinità Vishnu-Brahma-Shiva, si possono vedere i parallelismi che si è cercato di sviluppare tra alcuni aspetti costitutivi della manifestazione dell’universo.
1. Il primo aspetto della Trinità divina viene identificato nell’induismo con Vishnu, colui che sostiene l’Universo. Il nome ha il significato di “Colui che pervade” e “Colui che assume varie forme” e indica così l’aspetto divino che mantiene e protegge l’Universo. In questo senso rappresenta la forza centripeta, che crea la concentrazione delle energie, che porta alla coesione. Nasce l’ideazione divina, il pensiero divino che origina l’universo nella sua molteplice varietà. In questo pensiero divino tutto esiste in potenza, avviene la prima differenziazione in idee, archetipi che vanno a costituire i modelli originari di tutto il creato. Secondo lo schema che abbiamo visto in precedenza, questo tipo di attività di attrazione corrisponderebbe alla qualità sattva (luminosità, essenza, intelligenza).
Il Logos delimita un suo campo d’azione, uno spazio sferico nell’ambito del quale esercita il proprio influsso sulla sostanza primordiale. Parte la prima Onda di Vita o terzo aspetto del Logos con l’evoluzione dello spirito e della materia, la strutturazione primeva dalla quale in seguito potranno nascere le forme quali le conosciamo a livello fisico.
Nel Ritorno al Pleroma vediamo che Propator sta nel mezzo del mondo divino, il Pleroma, formato dagli Eoni, suoi attributi, sue emanazioni. Si può dire che il mondo divino è costituito dai nomi divini (attributi) corrispondenti alle perfezioni divine, potenze divine o virtù. Queste, in quanto nomi e pertanto forme, hanno una esistenza propria, pur rimanendo nella dimensione eterna. Sono nomi-esseri che designano il divino e ne costituiscono in un certo senso i moti del pensiero, che andrà in seguito ad imprimersi in maniera vorticosa nella materia.
Questo mondo, in qualità di infinita pienezza, è onnicomprensivo. È un’unità in cui tutto è presente.
2. Brahma rappresenta il creatore dal quale proviene il primo movimento, l’espansione. Il primo respiro dell’universo è composto da un’alternanza tra l’inspirazione e l’espirazione in un processo circolare. Il movimento è ritmico, esiste l’alternanza delle fasi, il dualismo. Abbiamo visto che l’equilibrio tra le opposte tendenze di coesione e di dispersione origina la tendenza all’orbitazione rappresentata dalla qualità rajas. È questa la tendenza che dà luogo al movimento, alla’attività che struttura, legando i diversi elementi tra di loro. È la tendenza che dà vita al mondo delle forme dense, dall’atomo fino al sistema solare.
La seconda Onda di Vita o secondo Logos crea le forme di vita dei diversi regni partendo dai piani della materia precostituiti. Le forme nascono a partire dai pensieri divini veicolati nella materia. All’interno di questi pensieri tutto esiste in potenza. Nasce il mondo della forma strutturata a partire da tutte le densità della materia, fino a quella più grossolana, al fine di raggiungere l’espressione piena di tutte le potenzialità.
Qui viene a situarsi Jaldabaoth, il Demiurgo degli gnostici. Nel Ritorno al Pleroma viene spiegato che egli, volendo divenire il creatore, volle impadronirsi di una parte del Pleroma e, credendo di esserne entrato in possesso, volle imitare l’Eternità. Così, nella zona in suo potere, nel suo regno, creò l’apparenza del Tempo nonché i mondi astrale ed ilico.
In una parte delimitata del mondo divino vengono a crearsi il mondo celeste o astrale e quello ilico o fisico, ad opera di Jaldabaoth. Questi è un “Eone luminoso”che ebbe in dono da Propator tutti i suoi poteri sin dalla sua apparizione. Dunque, in quanto Eone, Jaldabaoth è un’emanazione di Propator che, ad un certo punto, vuole essa stessa creare. Con questo atto creativo ebbe origine il mondo delle apparenze, cioè la manifestazione “esterna” al Pleroma. Esterna in quanto in certo senso oggettivata, esteriorizzata, ma non dimentichiamo che questo mondo esterno è in realtà solo una parte del Pleroma. Anch’esso è interno al Pleroma in quanto questo mondo eterno, archetipico è onnicomprensivo e pervade tutto. In altre parole tutto accade nella mente; ciò che crediamo sia esterno a noi, in realtà, è il frutto della rielaborazione dei dati veicolati dai sensi. Il vero creatore è la mente, essa crea l’apparenza.
3. Dopo Brahma e Vishnu il terzo aspetto è rappresentato da Shiva. Come le divinità precedenti anche Shiva porta in sé aspetti sia creativi sia distruttivi. La caratteristica più importante è quella della trasformazione o di rigenerazione.
A Shiva viene associata la qualità del tamas che indica oscurità, tenebra, inerzia, dispersione. Rappresenta la forza centripeta di disgregazione che agisce nell’universo e, in quanto tale, è opposta a sattva, la forza di coesione.
Nella filosofia indiana vengono distinti due aspetti del tamas. Dal punto di vista dell’universo manifesto tamas rappresenta l’inerzia, l’oscurità della materia nei suoi aspetti più grossolani, pesanti. Da un altro punto di vista rappresenta, in quanto tenebra e inattività, lo stato antecedente la manifestazione, il non-manifesto. Qui tamas viene associato a Shiva, il Signore del Sonno o anche al Signore dello Yoga, che rimane nel completo silenzio e nella immobile oscurità assoluta. Ogni attività è stata dissolta e l’universo, destrutturandosi, viene assorbito nell’Immensità non differenziata. Questo è il motivo per il quale si dice che Shiva rappresenta l’inizio e la fine. In questo nostro contesto l’aspetto Shiva-tamas diventa interessante perché rappresenta il processo di disgregazione nel senso di liberazione da ciò che lega, cioè in contrapposizione all’azione di Jaldabaoth.
In Teosofia, si parla della terza Onda di Vita che porta alla discesa del primo Logos, la scintilla divina che dà origine all’uomo. Questi è pertanto dotato di volontà propria, ha la possibilità di determinare la direzione della propria vita ed è a questo punto che può verificarsi e svilupparsi l’autoconoscenza quale sua caratteristica fondamentale.
Per quanto riguarda il testo gnostico preso in esame, si può dire che, dopo il mondo divino dal quale tutto origina e dopo la proiezione eterna nel mondo delle apparenze, delle forme, caratterizzato da tutto ciò che lega e sigilla, troviamo l’elemento del “ritorno”. Dopo il processo di involuzione, culminato con la formazione e discesa nei mondi astrale e ilico, prende consistenza pian piano il processo inverso di evoluzione che riporta l’uomo alla sua origine. Fondamentali in questo processo sono la presa di coscienza della propria condizione e la contemporanea acquisizione della conoscenza necessaria al ritorno a casa.
In tutto questo ritroviamo il noto schema di svolgimento del processo conoscitivo che si articola di nuovo in tre elementi: il soggetto che conosce, l’oggetto della conoscenza, nonché la conoscenza stessa che collega i primi due elementi. Si potrebbe paragonare l’aspetto Vishnu-Propator al soggetto nel quale sorge il pensiero divino, che determina l’esperienza interiore e l’aspetto Brahma-Jaldabaoth, che rappresenta l’esperienza esterna, all’oggetto.
Al fine di concludere il ciclo rimane il terzo elemento, che è la relazione tra Vishnu-Propator e Brahma-Jaldabaoth, ovvero tra l’esperienza interiore e quella esteriore. La relazione tra le due parti, ovvero la conoscenza, si può paragonare al ritorno all’origine, all’aspetto Shiva che disperde l’ignoranza, che libera dai legami. Nel contesto del Ritorno al Pleroma lo si può paragonare al Salvatore che libera il percorso attraverso le sfere degli Arconti.
La manifestazione ad un livello di pensiero divino è antecedente alla manifestazione astrale ed ilica del Demiurgo Jaldabaoth. Egli porta in vita un universo che è l’apparenza, l’ombra di ciò che ha una vita piena nel mondo divino. Il Cosmo è così una copia limitata del mondo divino originale. La creazione di Jaldabaoth ha come caratteristiche il limite, la struttura e la forma. Essa è conseguente alla manifestazione Pleromatica e, come il pensiero e la parola, entrambe possono coesistere. Si ricorda che la parola delimita e definisce una realtà. L’uso della parola è impossibile senza la presenza del pensiero. Dato che nella nostra vita quotidiana ci sono degli spazi normalmente condivisi dal pensiero e dalla parola, potremmo dire che noi viviamo in entrambi i mondi, entrambi manifesti. Ci sono pertanto due realtà coesistenti, entrambe manifeste ed ognuna a modo suo concrete, delle quali siamo normalmente in grado di percepire solamente una, quella ordinaria, limitata.
Ritornando al discorso della relazione tra soggetto ed oggetto, vediamo che essa indica la connessione delle due parti e rappresenta un passaggio sul quale si aprono o chiudono, per così dire, le porte che collegano una parte all’altra. Quando il passaggio è chiuso si fa l’esperienza della separatività entro un mondo governato dal Destino-Heimarméne, caratterizzato dal condizionamento da fatti ed avvenimenti eterni in virtù all’attaccamento ad essi. L’attaccamento è il legame, il sigillo, la catena. Il mondo degli Arconti si configura in questa maniera. L’attaccamento alle proiezioni esteriorizzate ci fa vedere la realtà in maniera distorta. In realtà, questo dato esterno è solo una delle prospettive, uno dei punti di vista.
Non dimentichiamo però che gli Arconti, che rappresentano le diverse passioni che ci legano a ciò che viene chiamato realtà eterna, null’altro sono che gli Eoni o attributi divini, discesi dal mondo divino nella sfera d’azione di Jaldabaoth cioè, per così dire, dall’altra parte dello specchio. Gli Eoni e gli Arconti sono delle realtà speculari, opposte: da una parte attributi divini o virtù, dall’altra passioni terrene. Forse queste due realtà non sono tanto distanti quanto può dare a credere l’apparenza. Potendo vedere contemporaneamente entrambe le prospettive, cioè i due mondi di Propator e Jaldabaoth o Vishnu e Brahma, probabilmente ci accorgeremmo che non solo sono coesistenti, ma che non sono affatto separati.
Da parte di Propator, la prospettiva è quella dell’unità onnicomprensiva. La coscienza comprende l’unità di tutte le cose, pur continuando a vivere nel mondo manifesto di Jaldabaoth.