Di seguito si riportano la sintesi di tre termini rilevanti, “Reincarnazione, Karma e Maya”, che si trovano nelle Upanisad, a cura di Raphael.
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Reincarnazione
La via Pitryana, la via dei Pitr, o via degli avi (mani), conduce alla sfera della luna (nome simbolico) e non porta alla liberazione (a risolvere cioè l’avidya), ma a nuovi stati di manifestazione individuati. La sfera della luna traccia la distinzione dello stato intelligibile da quello sensibile. Ci si può chiedere: che cos’è che si reincarna? È bene chiarire questo punto apparentemente difficile da decifrare.
Prima di tutto si può porre l’accento sulla parola reincarnazione perché questo termine può dare adito ad equivoci; sarebbe meglio utilizzare il termine “trasmigrazione”, che nel suo significato etimologico significa: spostarsi da un luogo ad un altro, un passaggio, un trasferirsi da un posto ad un altro. Questo termine ci sembra più pertinente. Nell’antica Grecia si parla di metempsicosi, palingenesi o ancora metensomatosi, che significa trasmigrazione. Quindi che cos’è che trasmigra da uno stato ad un altro? Alcuni pensano che trasmigri l’atman stesso, altri che sia invece il jiva, altri ancora l’ahamkara quindi la stessa ultima individualità vissuta sul piano fisico; leggendo attentamente alcuni passi delle Upanisad si può capire che non è nessuno di questi soggetti:
“Quando tutti i suoi desideri che albergano nel suo cuore sono venuti meno, allora il mortale diventa immortale …” (Brhadaranyaka Upanisad IV.IV.7).
“Quando tutti i desideri (kama=desiderio, brama) che albergano nel suo cuore sono distrutti, allora il mortale riprende la sua immortalità e qui [stesso] consegue il Brahman” (Katha Upanisad II.III.14; Brhadaranyaka Upanisad IV.IV.6).
Quando si ha un forte desiderio di andare in qualche posto si è costretti ad andare, quando si è andati e si è soddisfatto quel desiderio avviene che questo, non essendo stato risolto alla radice, come già si è accennato, sospinge ancora una volta a “trasmigrare” in un altro posto, o a fare altre esperienze, fino a quando il desiderio (guna), con il risveglio, non è stato risolto alla sua radice (Chandogya Upanisad VI.XI.2). Quindi si può anche dire che la trasmigrazione avviene nello stesso periodo di vita terrena, solo che qui si attua lungo una linea orizzontale, l’altra avviene lungo una linea verticale con una interruzione temporale tra un “morire e rinascere”, o una esperienza incompiuta e un’altra da compiere; per quanto anche nel primo caso l’interruzione avviene tra un desiderio e l’altro. I desideri, i dubbi, ecc. appartengono all’ahamkara (kama-manas) non all’atman (Brhadaranyaka Upanisad I.V.3 e segg.).
Quindi che cos’è che trasmigra? Sono le istanze, le impressioni, le impronte mentali di varia natura (vasana) che, a loro volta, si trasformeranno in semi (samskara, o contenuti psicologici) e questi sospingono poi all’attività, all’agire, a trasmigrare creando cause (karana) e quindi effetti (karya). Così si ha: vasana, samskara, karma, trasmigrazione. Quando si lascia il corpo fisico questo, ovviamente non esiste più né esiste quell’ahamkara, personaggio aleatorio. Il corpo fisico può vivere ottanta anni solari, metà di essi vengono vissuti dormendo: rimangono solo 40 anni solari di esperienze che, spesso, possono essere tragiche. Il Frammento “incarnato dell’anima sensitiva conserva le impronte degli oggetti anche senza l’aiuto del corpo” (Plotino IV.VII.8 5/10-13).
“Prima della sua apparizione esso [corpo] non poteva esistere, né dopo la sua dipartita potrà mai essere; la sua parabola è solo un lampo. Le sue qualità sono aleatorie; è per natura soggetto a mutamento; è composto di parti, è inerte e, come una brocca, è semplice oggetto sensorio. Tale potrà mai essere l’atman, l’indistruttibile testimone di tutti i cambiamenti fenomenici?” (Vivekacudamani, sutra 155.op.cit.). Per cui non è lo stesso personaggio nel corpo fisico che trasmigra, sono quelle istanze, desideri, legate al corpo mentale, a trasferirsi sul piano del sottile, o superfisico, (taijasa), le quali, sospinte dal guna rajas (Maitry Upanisad V.2), tendono a trasmigrare formando nuovi ahamkara e nuove esperienze (Brhadaranyaka Upanisad IV.IV.3 e segg.), ma anche immobilizzando il jiva sul suo piano, non lasciandolo libero di mettere le ali e volare verso la sua controparte divina.
Karma
Nella Sruti ci si incontra con un altro termine: karma; questo può essere considerato sotto una duplice possibilità, come atto rituale e come semplice causa-effetto; nel primo caso si ha ugualmente la promozione di una causa riferita però a una funzione rituale, sacrificale con un procedimento complesso e complicato; nel secondo caso il termine è rapportato ad una qualunque azione. Sul piano fisico quando si promuove una causa, conforme o non conforme alle leggi umane, fisiche o universali, si ottengono effetti, o risultati, adeguati a quella causa promossa.
Se si mette un dito della mano nel fuoco (causa) si ottiene una bruciatura (effetto), nessun dio ci ha punito per questo errore ci si punisce da se stessi per opera di ignoranza; se si disconoscono le leggi generali ambientali si possono produrre cause che purtroppo danno effetti disastrosi, capita spesso che l’effetto è sproporzionato alla stessa causa.
Ora, l’essere umano non solo deve rispondere verso le leggi dell’attuale stato oggettivo fisico perché anch’esso è un piano esistenziale, come gli altri stati visibili o invisibili all’occhio sensoriale (Mandukya Upanisad), non solo deve rispondere verso il proprio simile, e ad altri regni di natura contigui all’uomo, ma deve ancora rispondere verso il rta, l’Ordine universale, mancando il quale il cosmo non sarebbe tale ma un caos privo di direzione, ordinamento e unità.
Precedentemente si è parlato di libero arbitrio e si è detto che tocca all’individuo la responsabilità delle sue azioni (causa); e, qualora dovesse infrangere le leggi di ordine umano, o anche quelle di ordine universale, l’effetto ricadrebbe sull’individuo. Ecco il karma e, di conseguenza, il dharma dell’ente umano che deve perseguire per essere in armonia con la totalità della vita. Dharma è un modo di essere, è la natura di un ente conforme al dharma universale, da cui esso dipende.
Così, il karma non conforme alla Norma intelligibile rappresenta una rottura di equilibrio, una violazione dell’Armonia cosmica (rta) a cui bisogna rispondere; allo stesso modo, disconoscere le leggi ambientali del pianeta, come si è già accennato, significa infrangere quelle leggi, e la rottura di tale equilibrio porta senz’altro a delle conseguenze (karma), sia per lo stesso pianeta sia per il genere umano che lo abita, e non solo. È la nemesi dell’antica Grecia. Comunque, il karma non è assoluto perché l’ente coinvolto, o l’umanità coinvolta, può, mediante le stesse leggi, risolverlo contrapponendo un agire conforme al rta. Come si può notare, tutto questo non risponde a una questione di morale egoica, religiosa o sentimentale ma è qualcosa di un ordine superiore perché l’universo, in qualunque dimensione si esprime, quindi anche in quella dei rapporti umani, è governato da leggi e quando vengono infrante, o violate, si hanno delle conseguenze inevitabili. La responsabilità degli atti di un bambino la si può demandare al padre e alla madre; ma per un adulto, demandare la responsabilità del suo agire ad altri, pur anche ad una Divinità, significa non farlo crescere; anzi può ribellarsi adducendo alla Divinità il pretesto di averlo messo in quelle condizioni di irresponsabilità, di errore, ecc.
Maya
Un’ultima nota riguarda il termine maya; questa si dice è reale e nello stesso tempo non reale (anirvacaniya=indefinibile); se si osservano gli eventi e le cose oggettive con i soli strumenti sensoriali essi sono considerati reali; se invece si osservano con lo strumento della buddhi, o nòesis, che gli enti umani hanno ma che pochi usano (Plotino) si può scoprire che non sono reali assoluti, ma appartengono alla categoria dei semplici fenomeni i quali appaiono e scompaiono. Ciò significa che non hanno in sé la loro ragion d’essere; di qui la maya: esiste, se il percepito lo si vede da una certa prospettiva e angolazione, non esiste (non in termini assoluti), se lo si vede da un’altra prospettiva. Spesso alla prakrti si dà il nome di maya in quanto, essendo in movimento e in continuo cambiamento, non dà certezze. Sia Gaudapada, sia Sankara, sia Parmenide sostengono che l’oggetto esterno (la manifestazione formale) non è come le corna della lepre (Gaudapada e Sankara), oppure “tuttavia anche le cose che appaiono (mondo dei fenomeni) devono in modo corretto essere valutate” (Parmenide); per cui questi filosofi non sostengono il nulla, o il nichilismo, ma danno a ciascun aspetto la valenza che devono avere.
La maya dunque è ciò che appare ai nostri semplici strumenti sensoriali, oppure ciò che viene visto con l’occhio della pura consapevolezza; questa include il fenomeno, mentre l’altro modo di vedere, per la sua possibilità riduttiva, esclude quest’ultima condizione. Si veda Mandukya Upanisad (ma, si dirà, tutte le Upanisad), Sull’Ordinamento della Natura di Parmenide, lo stesso insegnamento di Platone e di Plotino, ecc.
Si è voluto dare solo alcuni punti fondamentali che si trovano in queste Upanisad: l’idea del jiva (Anima), dell’atman (può rappresentare il nous trascendente dell’antica Grecia); del Brahman supremo quale fondamento del tutto esistente, della sostanza-prakrti; dei guna che rivestono molta importanza nella letteratura delle Upanisad; dell’ahamkara (aham=io o “ciò che fa l’io”, o senso dell’io) in quanto ego empirico; della tripartizione dell’ente umano; dell’avidya quale ignoranza della realtà metafisica; della via pitryana che porta alla trasmigrazione; dell’etica filosofica; dell’iter del jiva sulla via del ritorno (devayana); della maya e del karma.
Per ulteriori accurati e specifici chiarimenti si rimanda prima di tutto allo studio approfondito di queste Upanisad; ai testi della Collezione Vidya (Edizioni Asram Vidya) e ad altre opere apprezzabili di autori occidentali e orientali che oggi si possono trovare facilmente.
da “UPANISAD” – a cura di Raphael; Edizione Bompiani – (dalle “Note Conclusive”)