“Era l’ora che precede il risveglio degli Dei.
Attraverso il sentiero del divino Evento
L’enorme mente presaga della Notte, sola
Nel suo spento tempio d’eternità,
Giaceva adagiata immobile sui margini del Silenzio.
Quasi si sentiva, opaco, impenetrabile,
Nel cupo simbolo della sua cieca musa
L’abisso dell’incorporeo Infinito;
Uno zero immensurabile occupava il mondo.
Un potere d’illimitato sé caduto, sveglio
Tra il primo e l’ultimo Nulla,
Rievocando i fianchi tenebrosi da cui uscì,
Volse le spalle all’insolubile mistero della nascita
E al lento processo della mortalità
E anelò di raggiungere il suo fine nel vacante Nulla.
Come nell’inizio oscuro di tutte le cose,
Una sua mutua sembianza informe dell’Ignoto
Ripetendo per sempre l’atto inconscio,
Prolungando per sempre la cieca volontà,
Cullò la cosmica sonnolenza di una Forza ignorante
Il cui spinto sonno creativo attizza i soli
E porta le nostre vite nel suo vortice sonnambulo.
Attraverso la vana enorme trance dello Spazio,
Il suo informe stupore senza mente o vita,
Un’ombra roteante attraverso un inanimato vuoto,
Respinta ancora una volta in sogni senza pensiero,
La terra girava perduta in abissi senza fondo
Immemore del suo spirito e del suo fato.
I cieli impassibili erano neutri, vuoti, immobili.
Allora qualcosa si mosse nell’inscrutabile oscurità;
Un movimento senza nome, un’idea impensata,
Insistente, insoddisfatta, senza uno scopo,
Qualcosa che avrebbe voluto e non sapeva come divenire,
Stimolò l’Inconscio per risvegliare l’Ignoranza.
Uno spasmo che arrivò e lasciò di un brivido la traccia,
Permise a un vecchio stanco desiderio inappagato,
In pace nel proprio subconscio antro senza luna
Di alzare il capo e cercare una luce assente,
Sforzando occhi chiusi di svanita memoria,
Come uno che cerchi un sé trascorso
E solo trovi il cadavere del suo desiderio.
Era come se pure in questa profondità del Nulla,
Anche in questo nucleo dell’estrema dissoluzione
Stesse in agguato un’entità immemore,
Sopravvissuta ad un passato ucciso e sepolto
Condannata a riesumare lo sforzo e il dolore,
Rivivendo in un altro mondo di frustrazione.
Una coscienza informe desiderò la luce
E una vuota prescienza bramò verso un lontano cambiamento.
Come il dito di un bambino appoggiato sulla guancia
Ricorda il bisogno illimitato delle cose
Alla disattenta Madre dell’universo,
L’infanzia di una voglia si aggrappò alla vastità cupa.
Impercettibile, da qualche parte, apparve una breccia:
Una lunga linea solitaria dall’esitante tono,
Quale vago sorriso tenta un cuore deserto,
Disturbò il lontano ciglio dell’oscuro sonno della vita.
Venuto dall’altra parte del senza-limiti
Un occhio di divinità traforò le profondità mute;
Un esploratore in ricognizione dal sole,
In mezzo a un pesante riposo cosmico,
Torpore di un mondo malato ed esaurito,
Sembrò cercare uno spirito solitario e desolato
Troppo giù caduto per ricordare perdute beatitudini.
Intervenendo in un universo senza mente,
Insinuò il suo messaggio nella riluttante calma
Chiamando l’avventura della coscienza e della gioia
E conquistando il seno disilluso della Natura,
Le impose un rinnovato consenso per vedere e sentire.
Un pensiero venne seminato nel Vuoto insondato,
Un senso nasceva nelle profondità della Notte,
Una memoria fremé nel cuore del Tempo
Come se un’anima da lungo tempo morta fosse spinta a vivere:
Ma l’oblio che segue la caduta
Aveva cancellato le fitte tavole del passato,
Tutto quello che venne distrutto deve essere ricostruito
E l’antica esperienza elaborata faticosamente una volta ancora.
Tutto può essere compiuto se c’è il tocco divino.
Una speranza che appena osava esistere s’introdusse
Nella desolata indifferenza della notte.
Come se richiesta in un mondo alieno
Con timida e arrischiata istintiva grazia,
Orfana e spinta fuori a cercar asilo,
Un’errante meraviglia senza luogo dove vivere,
Un soffuso richiamo di un lento miracoloso gesto
Venne in un remoto angolo del cielo.
L’insistente fremito di un tocco che trasfigura
Persuase la nera quiete inerte
E bellezza e meraviglia turbarono i prati divini”.
Sri Aurobindo: dal Canto I - Libro Primo di “Savitri”
tratto dalla Rivista “Domani” del 1976
... questo è l’inizio del meraviglioso poema epico SAVITRI di questo Titano della spiritualità …