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382. La Grande Equazione di Vittorio Marchi

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Di seguito, proponiamo piccoli “stralci” dall’ultimo stupendo lavoro del prof. Vittorio Marchi, a cui vanno i nostri più sentiti ringraziamenti.

*****

Prefazione documentativa: un profondo equivoco millenario

Viene smascherato infatti l’errore cronologico della Bibbia: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv. 1,1). “In principio, Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” (Genesi, 1,1-3).
Nel Nuovo Testamento, l’ideale apertura può essere considerata quella del prologo al Vangelo di Giovanni: “In principio c’era il Verbo” (Gv. 1,1).
L’Essere creato non nasce perciò da una lotta teogonica, come insegnava la mitologia babilonese, bensì da un evento sonoro efficace, una Parola che vince il nulla e crea l’Essere.
Può darsi, ma queste sono ancora parole che si aggiungono ad altre parole.
La realtà è che a causa di una traduzione poco accurata (o forse molto interessata) della Bibbia (le cui lingue originali sono il greco e l’ebraico) l’umanità è stata trascinata da un copista/redattore ambiguo e “infedele” (e forse senza tanti scrupoli) a vivere per millenni nel buio della più profonda ignoranza.
Cosa significa, infatti, l’espressione “In principio era il Verbo”? E se il Verbo è Dio, come può Dio avere un principio?
Che cosa significa “In principio Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu”?
Esiste dunque un principio per una Deità ritenuta senza limiti?
Con parole ricucitrici si è cercato di superare le palesi contraddizioni non della Bibbia, ma del copista/redattore della Bibbia, affermando che Giovanni ci fa risalire a prima dell’inizio del nostro tempo, al Grande Tempo dell’eternità, e che “in principio” significa assoluto, inizio senza inizio: l’eternità, appunto.
Già, ma queste sono ancora parole che si aggiungono ad altre parole, ragion per cui, dopo un’analisi accurata di come siano andate le cose all’atto della cosiddetta Creazione, non è che se ne sia saputo molto di più.
Perché allora non raccontarla tutta, questa bene-detta storia della Creazione, magari in maniera meno tortuosa, meno involuta e velata, e molto più semplice di quanto probabilmente non si è voluto fare?
Sicuramente l’evangelista Giovanni parla nella Genesi della Parola, del Verbum o del Logos (Pensiero), che genera questa Realtà e comincia, all’inizio della Bibbia, col dire “EN ARKHÈ”, cui è stato dato il significato di “in principio” invece che “A FONDAMENTO DI TUTTO”, quando anche la versione greca della Bibbia in uso presso gli ebrei della diaspora comincia con quel “EN ARKHÈ”, che anticipa il suono della Parola biblica per contrapporla subito dopo alla Luce.
Luce che viene poi a sua volta reinterpretata nel racconto della Creazione con quel “E la Luce fu”, laddove, nel processo cosmogonico, anche le tenebre, identificate nel Caos, sono “in principio”, prima che la luce, che ordina il Caos per trarne il Cosmo, le recuperi dal buio. Questo “Sia la Luce” diventa l’espressione elaborata dal traduttore per dare inizio all’Universo.
L’Universo, dunque, inizia? Da quando e da dove, se è infinito? Una cosa non può essere e non essere contemporaneamente.
Il discorso è un altro, invece, se la stessa contraddittoria versione della Genesi viene rivisitata alla luce di un “a fondamento di tutte le cose è la Vbr …”, in cui vbr viene tradotto, per assonanza e assimilazione, con verbo, ma in realtà significa vibrazione (elettricità, magnetismo, suono, materia oscura, etere, pensiero, coscienza, SPIRITO, il Tutto, insomma, nella sua manifestazione visibile e invisibile, a-spaziale e a-temporale).
È dunque la Vibrazione, sostanza vivente, vigente e intelligente, senza tempo, spazio e dimensione, quella di cui parla la Bibbia e non un’essenza di VITA ETERNA da cercare nell’Aldilà dopo la morte.
Solo nella teologia cristiana il cosmico ACRONIMO, IL SENZA TEMPO, l’AION di Gesù (da cui, per assonanza l’aeternum, l’aevum, l’evo, l’eone), è poi passato invece a indicare un tempo lineare, che ha avuto inizio e che avrà fine con l’escathon (la fine dei tempi), il giorno del giudizio universale (l’apocalittica fine del mondo).
Ma l’AION di cui parla Gesù esclude semplicemente tutto questo e respinge integralmente ciò di cui parlano le versioni consuete: non si riferisce all’aionos bios, indicato dalle traduzioni delle parole greche, bensì alla realtà del “QUI E ORA”, all’essere del SEMPLICE PRESENTE.
È il vivere senza dover dipendere dal passato o dal futuro, perché altrimenti nel passato c’è la nascita e nel futuro c’è la morte. Ci sono ancora l’abbaglio dell’inizio e l’inganno della fine, che in realtà non esistono.
C’è l’illusione di pensare al proprio futuro come a qualcosa che verrà (la sera, il giorno, durante il giorno; il mattino, la notte, durante la notte) un obiettivo da raggiungere nella vita di domani, durante l’oggi. Un’età a cui arrivare da vecchi, quando si è giovani; la pensione da raggiungere, quando si è attivi, al lavoro; la morte da rimuovere, da morti, mentre si è in vita; la vita eterna che ci attende nell’oltretomba dell’ulteriorità, quando si vive qua nell’oggi.
Si va avanti così, come se si navigasse a vista per cercare di dare un senso alla vita e trovare la rotta; ma la vita è sempre un passo più in là, sempre più “altrove” e inafferrabile.
Il presente è sempre e soltanto un attimo fuggente. E la vita in questo mondo non è mai un continuo ADESSO, né un perenne HIC ET NUNC, ma una sorta di miraggio (un’ARABA FENICE), perche l’OVUNQUE è qualcosa di ancora troppo oscuro, nel mondo in cui viviamo e per il nostro stile di vita.
La storia dell’Araba fenice, già simbolo della sapienza divina (cfr. Giobbe, 38, verso 36, intorno al IV secolo d.C.), che risorge dalle sue ceneri ogni 500 anni, ricorda un po’ quella dell’Infinito, per indicare qualcosa di cui non si conosce l’uguale, perché è introvabile, un esemplare unico e soprattutto inafferrabile, secondo il ben noto detto di Metastasio: “Come l’araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa” (Demetrio, atto II, scena III).
Dov’è, appunto, l’Infinito? E dove lo si va a cercare? Non è forse un’altra contraddizione della mente, quella di andare a cercare il non-locale nel locale, e per di più con strumenti finiti?
Di conseguenza, per fare fronte al problema di come raffigurare qualcosa di non rappresentabile, l’unica risorsa che rimane è quella di fare ricorso a un simbolo. E il simbolo dell’Infinito è la doppia spirale.
Perché? Perché, essendo costretti a raffigurare qualcosa che è “SENZA FORMA”, la doppia spirale può essere vista, solo con l’occhio del Pensiero, la nostra strumentazione di bordo, come l’unica proiezione (piana) che abbiamo a disposizione per riprodurre la struttura dei due emisferi dell’ANDROGINO universale.
Una struttura riportata ad hoc che, unica al mondo, è in grado di offrire l’immagine del ritmo alterno dell’evoluzione e dell’involuzione, della nascita (costruzione) e della morte (distruzione) di un Universo organico (Uomo universale), mediante due eventi, l’uno complementare all’altro, che, senza negarsi a vicenda, racchiudono in il ciclo eterno del principio della conservazione dell’energia vibrazionale, così come questo è riconosciuto anche dalle leggi della fisica classica.
La figura della doppia spirale, peraltro, può essere considerata in senso sia macroscopico che microscopico. Ciò perché, in virtù della loro analogia, si può sempre passare dall’uno all’altro di questi due punti di vista mediante un’opportuna trasposizione (In sanscrito, il punto di vista, il “paraocchi”, è definito con il termine Stra Hari, che significa anche “il Maligno”).

 

Le spirali di Fibonacci intorno all’uomo

Griglia con o senza canone di Leonardo con 64 quadrati. Le due spirali, maschile e femminile, sono speculari. La prima parte dall’angolo in alto a destra del doppio quadrato, la seconda dal basso ed è più vicina al centro o punto zero. Delle due, solo la spirale femminile passa per il punto zero, perché il punto zero corrisponde all’utero o punto della creazione, di cui gli uomini sono privi.

Da questo punto di osservazione possiamo considerare le due spirali come l’indicazione di un’energia cosmica che agisce in senso inverso nei due emisferi, i quali, nella loro più larga applicazione, rappresentano naturalmente le due metà dell’Eterno Androgino; mentre i punti intorno ai quali si avvolgono le due spirali, sono i due poli. E allora si può subito notare come ciò sia in stretta relazione con i due sensi di rotazione della swastika, dato che questi ultimi rappresentano, in ultima analisi, la stessa rivoluzione del mondo intorno al proprio asse, ma vista rispettivamente dall’uno e dall’altro dei due poli.
Tale motivo ritorna nei moti planetari e nella duplice azione dell’energia cosmica, che in fondo si identifica sotto tutti i suoi aspetti con la dualità dello Yin e dello Yang.
È facile rendersi conto che, nel simbolo dello yin-yang, le due semicirconferenze che formano la linea che delimita internamente le due parti chiara e scura della figura corrispondono esattamente alle due spirali e che i loro punti centrali, scuro nella parte chiara e chiaro nella parte scura, corrispondono ai due poli.
Tutto questo ci riconduce ancora una volta all’idea dell’Androgino. Idea che continua a replicarsi all’infinito, come avviene nel caso della duplice azione del moto di rivoluzione e di rotazione del pianeta terrestre intorno al proprio asse, mentre disegna la sua orbita ellittica intorno a due fuochi situati eccentricamente sull’asse maggiore dell’ellissi.
La manifestazione universale si presenta sempre con le due fasi inverse, dal manifestato al non-manifestato e viceversa, e l’ordine dei due termini dipende soltanto dall’ottica con cui si guarda, perché in realtà le due fasi complementari alle quali corrispondono sono al tempo stesso alternanti e simultanee e l’ordine nel quale si presentano non si iscrive in alcun ordine, se non come punto di partenza assunto, però solo convenzionalmente.
Da un punto di vista cosmogonico, con un primo movimento dinamico di andata può esservi la condensazione nel manifestato, mentre, simultaneamente, di riscontro, con un movimento di ritorno nel non manifestato, può verificarsi la dissolvenza.
Quello che c’è da notare è che i due stati sono sempre perfettamente simultanei e contemporaneamente invertibili …

Noi andiamo “da dentro a fuori” per amore?
Il nostro cuore di certo lo fa (v. il “Sintonizzatore del Cuore”, invenzione di Dan Winter); quindi lo stesso principio di perfetta compressione, che è la perfetta compassione che identifica il cuore sano dal punto di vista medico, identifica anche il punto dolce elettricamente frattale che è lo spazio sacro in una stanza.
Il segreto dell’architettura biologica, dell’utilizzo di materiali vivi e dell’allineamento frattale degli spazi, è che la geometria frattale concentra la forza vitale.
Ora passiamo alla vera scienza della coscienza e della crescita spirituale. Noi sappiamo, grazie ai recenti sviluppi della ricerca su temi come la beatitudine, l’estasi, le esperienze picco, la percezione picco e l’illuminazione, che le armoniche del cervello creano la proposizione della Sezione Aurea per giungere ai suddetti stati.
Pare che il processo per diventare frattali fuori dal corpo venga elettricamente rispecchiato dentro al corpo per far sì che il nostro cervello giunga all’illuminazione …

La sessualità dell’eterno Androgino
Il rapporto sessuale che sta all’origine dell’intera esistenza spiega come ogni nuova vita, ogni forma, venga creata attraverso un atto sessuale.
Il sacro femminino e/o la sposa perduta sono un modo per dichiarare che Dio (l’Uni-vivente) non è esclusivamente maschile, com’è effigiato sulla volta della Cappella Sistina, ma ha anche attributi femminili.
Quando il principio femminino viene represso dal prepotere di quello maschile, non c’è più connessione tra il proprio “IO SONO” e l’essere UNO (questo è ciò che è avvenuto nelle più opprimenti e prevaricanti società patriarcali degli ultimi millenni); di conseguenza, mancando l’azione mediatrice della sensibilità del femminino in rapporto al potere maschile, si viene a creare tra i due principi uno sbilanciamento dannoso. Un senso di potere dell’attributo maschile su quello femminile crea l’hybris, ovvero l’io ipertrofico, che indurisce il cuore e rende cinici.
Tutto ciò si riversa nel sociale e il pensare, a questo punto, conta più del sentire. Non c’è più equilibrio tra l’emisfero destro del cervello, in cui risiede la Sophia (archetipo emozionale della Sapienza), e l’emisfero sinistro, in cui risiede il Logos (il modo di pensare logico e razionale).
La “sposa perduta” (la consapevolezza, di cui è simbolo la maddalena “donna perduta”, considerata la “sacra prostituta”) viene abbandonata da Platone e dai pensatori greci successivi, che pure continuano a chiamarsi filosofi (cioè amanti della Sophia), quando in realtà sono diventati amanti del Logos. Così, una volta tagliato in due l’eterno Androgino, il pensiero duale non è più andato in pensione; però, senza una delle due metà o componenti dell’Amore divino (riassunto dalla spiritualità femminile, sintesi del “carnale o sensoriale” e del sacro), che media l’esperienza sessuale, la dimensione spirituale si squilibra e si spegne.
L’uomo, a questo punto, perde l’esperienza dell’intimità non solo con la donna, ma anche con la sua inconscia natura femminile, vale a dire con l’altra metà della sua anima.
Specularmente, la stessa cosa avviene per la donna, la cui natura si svilisce quando viene meno in lei il sano rapporto tra la sua psiche femminile e l’altra componente maschile della sua personalità.
Il femminino – espressione dell’emisfero destro del cervello, integra e completa, complementariamente, il maschile dell’emisfero sinistro del cervello, perché concerne un modo di relazionarsi alla realtà, attraverso la Sophia o sapienza interiore, che manca al maschile, più portato a fare altrettanto verso la “di lei natura” con il Logos attraverso l’esteriorizzazione analitica.
Nessuna delle due anime della natura umana, comunque, può prevalere sull’altra. In quanto semel in uno, esse non possono che essere indissolubilmente legate, coinvolte emtrambe in una reciproca energizzazione, propiziata dalla cerimonia evolutiva della cosiddette “Sacre nozze” o Ieramos, celebrate dalla divina alchimia, che da sempre manda avanti il “connubio dei due promessi sposi”, in conformità all’infinita legge cosmica della spiritualizzazione. Questa visione unitiva viene mirabilmente trasmessa ed è presente in tutta l’India, fino al Tibet e alla Cina, dove, come abbiamo visto più volte, assume il simbolo del TAO, in cui i due principi polari Yin e Yang si equilibrano.
Nella tradizione tantrica questa unione diventa il fondamento del legame tra i due termini Yin e Yang, il cui significato semantico etimologico rimanda a Yin/Joni (una vagina di forma ovale, o circolare) e a Yang/Lingam (un fallo eretto, verticale). È molto comune ritrovare nei vari templi orientali questi due simboli uniti e compenetrati, identificati nelle figure (antropomorfe) di Siva, il dio maschile, e di Sakti, la sua consorte, come immagini stesse del divino, principio unico di un eterno processo d’amore. E questo è peculiare di tutto quanto riguarda la legge di attrazione …

Ecco, la Verità è qualcosa di indivisibile dallo Spirito, dalle tante PAROLE (eda tutti quegli eventi) con cui la si designa: anima, visibile, invisibile, mondo, dio, natura, atomo, universo, materia, pensiero, corpo, spazio, vuoto, nulla, tutto, molti, uno, bene, male, noto, ignoto, cielo, terra, verbo, regno, padre, madre e figlio, uomo.
Che l’uomo, in questa sua antropica manifestazione, si distingua da tutti questi aspetti o eventi è dichiaratamente falso. Per questo, per tentare di ovviare all’inconveniente di incorrere in una simile fittizia sua separazione, ci siamo visti a coniare per lui l’espressione di Spirito univivente o a usare più semplicemente il termine Univivente.
Non avevamo, infatti, altra scala di possibilità e sviluppi strategici per occuparci di quella conoscenza che è l’unica chance offertaci dalla Realtà e che ci è servita per insegnare a non rendere falsa testimonianza davanti al nostro “prossimo”, cioè davanti a noi stessi. Solo così, scorgendo noi stessi in lui, nella sua collocazione universale come sistema di eventi vitali di natura mineral-fisico-chimica (inorganica?) e di natura psico-fisica, vegetal-animal-uman-spiritual-divina (organica?), potevamo avere la certezza di essere proprio questo Univivente.

Se vi chiedono dov’è Dio, di solito voi indicate il Cielo o qualche altro punto lontano.
È là – dite, come se fosse una Persona o avesse un Luogo di Residenza ben definito.
Ogni Nara e Narayana è Dio.
È l’illusione (Maya) che ha indotto la forma divina dell’uomo a immaginarsi di essere
Solo un Nara e a comportarsi come tale.
Ma poi egli aspira a ritornare a essere Narayana con ogni sforzo e a eliminare la piccola
Entità Nara, vincolata e limitata, relativa.
L’uomo è una miscela di Maya e Madhava (Divino).
La Maya genera una nebbia che cela il Madhava (il Signore).
Tuttavia le esperienze e le azioni compiute nelle vite precedenti e la Grazia del Signore
fanno dissolvere la Maya, che è solo una nebbia che si invola al Sole (dello Spirito).
Allora Nara, l’uomo, diventa Narayana, la sua identità (il creatore-creato)"

di Sathya Sai BabaLa Scienza di Dio – Mother Sai Publication

tratto da “La Grande Equazione” di Vittorio Marchi – MacroEdizioni

 

Libri consigliati dello stesso autore:
L’Uno detto Dio
La Scienza dell’Uno
Mirjel – Il meraviglioso uno
Noi e l’infinito (DVD)

 

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