Questo è il primo scritto del giovane J. Krishnamurti, destinato a diventare un Maestro di Verità ed un grande teosofo.
Pubblicato con lo pseudonimo di “Alcione”, contiene gli insegnamenti che il chela o bikku che dir si voglia, cioè il discepolo, ricevette ancora adolescente in modo diretto, quindi da bocca ad orecchio, secondo la più genuina tradizione iniziatica, dal proprio Maestro che, all’epoca, era Leadbeater.
Quest’aureo libretto, quindi, contiene la fedele trascrizione di un insegnamento trasmesso oralmente, cosa che, nei tempi antichi, costituiva la prassi per la trasmissione delle dottrine esoteriche, cioè non propalate a chicchessia, ma destinate ad una ristretta cerchia di uditori.
Significativo è il titolo Ai piedi del Maestro, perché rappresenta la puntuale traduzione del termine sanscrito Upanishad che, letteralmente, significa “sessioni” (shad) “presso” (upa-ni) il Maestro; quindi Dottrina Segreta.
Vediamo dunque come tutto torni a riproporsi identico e come si possa riscontrare una puntuale identità tra la più antica e sacra spiritualità orientale e gli scritti di colei che ebbe il compito di trasmettere ad un Occidente irretito dal materialismo positivistico e dal dogmatismo clericale le antiche dottrine cadute nell’oblio: H.P. Blabatsky, la fondatrice della Società Teosofica. Questa preziosa mediatrice si limitò a trascrivere quanto le trasmettevano i Maestri transhimalayani telepaticamente o attraverso visioni in astrale; eppure, nonostante la sua abnegazione, fu accusata di mistificazione dai suoi detrattori.
Tornando a Krishnamurti, vediamo che sul frontespizio del libello è scritto “A coloro che bussano”, dedica che ricalca le parole evangeliche “Bussate e vi sarà aperto”, con cui s’invitano i seguaci della vera dottrina a ricercare attivamente il Sentiero da percorrere, senza attendere passivamente che qualcuno si muova al loro posto.
Segue poi una gayatri o versetto sacro del Rig-Veda che recita: “Dall’irreale conducimi al Reale, dalla tenebra conducimi alla Luce, dalla morte conducimi all’Immortalità”.
Si può dire che in questa terzina sia condensato tutto il percorso iniziatico che ognuno di noi, prima o poi, deve percorrere: passare dall’illusione indotta dalla maya alla Realtà vera, per cui ciò che appare come molteplice e separato appartiene all’Uno; attraversare le tenebre dell’ignoranza (avidya) per raggiungere l’illuminazione dell’Adepto; abbandonare la condizione di esseri transeunti per acquisire quella degli Immortali.
Questo è il destino luminoso che ci attende ma, per attuarlo, non basta incamerare una conoscenza teorica delle dottrine teosofiche; occorre viverle e praticarle.
I quattro requisiti per calcare questo Sentiero sono: il Discernimento, l’Assenza di desiderio, la Retta condotta e l’Amore. Il tutto si può agevolmente sintetizzare nel Servizio da prestare al prossimo, piuttosto che in una ricerca di realizzazione e di salvezza personale, che cela sempre la sussistenza dell’orgoglio e dell’egoismo.
tratto dalla Rivista Italiana di Teosofia – Anno LXIX N. 6, Giugno 2013
Alfredo Stirati è membro del Gruppo Teosofico:
“Lumen H.P.B.” di Roma.