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387. PORFIRIO a cura di Giuseppe Girgenti e Giuseppe Muscolino

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Di seguito vogliamo dare un assaggio, degli stralci, dell’ineguagliabile lavoro svolto, e offerto agli amanti della verità, da due illuminati studiosi che meritano ringraziamenti di cuore per la loro appassionata fatica per “PORFIRIO. FILOSOFIA RIVELATA DAGLI ORACOLI”.
Si tratta di Giuseppe Muscolino: dottore di ricerca in filosofia e specialista del pensiero religioso di Porfirio; e Giuseppe Girgenti: insegnante di Storia della filosofia antica e medioevale presso l’Università di Milano-San Raffaele.
Invitiamo a conoscere, di Giuseppe Muscolino, Porfirio, Contro i cristiani, nell’edizione di Adolf von Harnack 2009; e di Giuseppe Girgenti, Isagoge e Astinenza dagli animali, entrambi del 2005, presso le edizioni Bompiani.
Abbiamo riletto più volte la loro opera, e sperando in altrettante nuove fatiche, offriamo degli stralci per quanti sono pronti a ri-conoscere un inedito Porfirio poeta, filosofo e soprattutto ierofante.

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PORFIRIO
FILOSOFIA RIVELATA DAGLI ORACOLI

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PORFIRIO POLEMISTA ANTICRISTIANO E TEURGO MISTICO

Porfirio ierofante nella Vita di Plotino

La complessa e poliedrica figura di Porfirio (Tiro, 223 d.C. Roma, 305 d.C. ca), che spicca come principale filosofo neoplatonico del III secolo d.C., secondo per importanza e influenza solo al maestro Plotino, è ancora lontana da una precisa e completa ricostruzione che ne restituisca il corretto e preciso profilo filosofico-culturale nel contesto della tarda antichità, soprattutto nel quadro del tramonto della religione greco-romana e dell’aurora del cristianesimo. Per dirla con Eric R. Dodds, Porfirio visse in pieno quell’epoca di angoscia tra paganesimo e cristianesimo a cavallo tra il terzo e il quarto secolo, un periodo che, per Oswald Spengler, segnò anche il momento del trapasso della civiltà occidentale dall’anima apollinea, tipica dell’età classica greca, all’anima magica, tipica dell’età tardo-antica e cristiana. Porfirio tentò invano un salvataggio della religione tradizionale (ellenistico-romana, ma ormai intrisa in modo sincretistico di culti orientali di varia provenienza) in due modi diversi e complementari: in un modo negativo, cioè come pars destruens, attaccando frontalmente il cristianesimo sempre più diffuso; e, in un modo positivo, cioè come pars costruens, offrendo all’antica Ευσέβεια/pietas una veste teologica neoplatonica, ispirata alla metafisica di Plotino e del più antico platonismo, che rendesse in qualche modo ragione delle pratiche religiose e cultuali più diffuse, dai vaticini agli oroscopi, dai sacrifici al culto al culto delle statue degli dèi, fino alla ricerca di una rivelazione divina non soltanto nei poeti ispirati dalle Muse, ma anzitutto nei responsi oracolari più antichi, come pure in quelli recenti: delfico-apollinei, orfico-dionisiaci, caldaici-ermetici e sibillini. Negli oracoli, se si accettano che possano essere messaggi provenienti dagli dèi, Porfirio intravide una possibile alternativa alla rivelazione biblica diffusa dai cristiani, così come nella teurgia, cioè nell’arte ieratica che consente ai sacerdoti di catturare la potenza degli dèi e di piegarne la volontà a favore degli uomini, intravide una possibile alternativa alla liturgia cristiana dei sacramenti e alla dottrina della grazia. Si deve, insomma, comprendere che l’attacco di Porfirio al cristianesimo fu quello di un uomo pio e religioso, preoccupato soprattutto delle conseguenze politiche della diffusione nel mondo romano del messaggio evangelico, percepito dagli intellettuali non come una risorsa, ma come un’insidia per la stessa sopravvivenza dell’impero.
La filosofia religiosa di Porfirio è stata considerata uno degli aspetti più deboli del suo pensiero, invero sottovalutato nella sua interezza, fino agli anni sessanta del secolo scorso. Solo negli ultimi decenni è iniziata una sistematica rivalutazione della sua metafisica teologica, che ha in parte decostruito l’immagine negativa tracciatane da Joseph Bidez nella sua Vie de Porphyre (J. Bidez, Vie de Porphyre, le philosophe néoplatonicien, Gent 1913, rist. an. Olms, Hildesheim 1964), ove il Fenicio veniva presentato come un pensatore eclettico e contraddittorio, certamente un grande erudito, ma facilmente influenzabile e volubile, pronto a cambiare opinione camaleonticamente in rapporto ai vari maestri che via via incontra nel corso della sua vita: dal cristiano Origene, conosciuto in Palestina in giovane età, al filologo Cassio Longino, frequentato ad Atene, fino al grande Plotino, di cui Porfirio fu allievo e sodale a Roma per circa sei anni (263-269 ca.). Secondo Bidez, Porfirio sarebbe stato un seguace di culti misteriosofici orientali solamente in giovane età, tutto dedito ai riti e alle pratiche magiche, che in seguito avrebbe abbandonato per interessarsi di Omero, dei poeti e di questioni filologiche, grazie all’insegnamento di Longino, definito “una biblioteca vivente e un museo ambulante”; e, infine, approdato alla scuola di Plotino, avrebbe lasciato anche le questioni filologiche per dedicarsi alla vera filosofia, leggendo e commettando le opere di Platone e di Aristotele: la fase terminale della sua vita sarebbe stata occupata interamente dalla polemica contro i cristiani che ormai minacciavano di conquistare l’impero di Diocleziano. Questa ricostruzione di Bidez, che attribuisce l’interesse per gli oracoli al Porfirio giovane, è in gran parte basata sulla testimonianza del biografo di Porfirio, il platonico Eunapio di Sardi, attivo al tempo di Giuliano Augusto, che scrive: “Dunque lui stesso attesta (e forse si occupò di queste problematiche da giovane, come sembra) di non essersi imbattuto in alcun oracolo della religione pubblica; inoltre annota nello stesso libro, e dopo di ciò, scrive molte altre cose, su come bisogna occuparsi di questi (oracoli). In realtà, come in altri casi più noti (quali l’episodio della melancolia di Porfirio e del suo mancato suicidio), il racconto di Eunapio non sembra collimare perfettamente con quanto Porfirio stesso narra di , e in particolare non si può affermare che l’interesse di Porfirio per gli oracoli sia stato solo giovanile. Già Dodds aveva giustamente sottolineato come sia stato proprio Porfirio (e non Plotino) a integrare sistematicamente l’irrazionale della superstizione nel razionale della filosofia, inaugurando un atteggiamento che poi proseguirà con Giamblico, passando per Giuliano e Proclo, fino a Damascio, ossia in tutta la storia del neoplatonismo post-plotiniano. Ma Dodds è ancora legato al giudizio ambivalente di Bidez su Porfirio, che fa proprio e ribadisce, e, nella sua pur preziosa analisi degli scritti di Porfirio che qui presentiamo in prima traduzione italiana, non sembra dare molto credito alla riflessione porfirina sul valore degli oracoli e della teurgia.
In ogni caso, è certo che i passi autobiografici presenti nella Vita di Plotino attestino una costante attenzione di Porfirio alle questioni propriamente religiose; pertanto, la scansione schematica deve essere abbandonata o, quantomeno modificata, giacché in Porfirio sono sempre compresenti filologia poetica, ermeneutica filosofica ed esegesi religiosa, sia quando si occupa di Omero e degli altri poeti, sia quando si occupa di Platone e degli altri filosofi, sia quando si occupa degli scritti oracolari o della Bibbia; la stessa cosa si può affermare perfino delle sue opere prettamente scientifiche, come gli scritti di matematica (legata alla teologia aritmetica), di astronomia (che non differisce dall’astrologia, con le questioni connesse dello zodiaco e degli oroscopi) e di medicina (ove il “terapeuta”, in quanto guaritore, è anche un uomo divino, legato al dio Asclepio) …

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MAGIA, STREGONERIA, TEOSOFIA E TEURGIA. LA TRASFORMAZIONE
DEL NEOPLATONISMO

Saggio Interpretativo di Giuseppe Muscolino

Introduzione

Il complesso ed eterogeneo sistema di forze che agisce all’interno dell’ecumene romana del III secolo d.C. rende il quadro politico, economico e sociale molto instabile e magmatico. Lo Stato di Roma infatti non riesce più a garantire quella sicurezza e quella stabilità che avevano rappresentato in passato le colonne portanti di un impero che si estendeva dalla Gran Bretagna fino ai confini della Persia. Nel III secolo l’imperatore, che incarna in sé tutte le virtutes del civis romanus, a causa delle ripetute sconfitte militari di Roma, della pressione dei barbari ai confini dell’impero, del crollo dei commerci, e di un generale impoverimento di tutti gli abitanti, non viene più percepito come colui che regge e governa in modo saldo le sorti del popolo romano.
Com’è noto infatti Roma, prima ancora di entrare in contatto con le culture ellenistiche ed orientali, pratica il triumphus, un fastoso cerimoniale decretato dal Senato in onore dei condottieri vittoriosi, il quale contiene in sé già tutti i presupposti per il culto imperiale. Da Augusto in poi la figura dell’imperatore comincia a perdere i tratti esclusivi del condottiero che combatte per la gloria di Roma, ed inizia ad assumere un ruolo più vicino alla divinizzazione dell’uomo che detiene quel potere.
Dopo che Roma conosce ed assorbe in sé Καίσαρ, l’apoteosi degli imperatori raggiunge un fasto ed un lusso talmente solenne da far considerare il sovrano sempre più un dio anziché un uomo. In questo periodo inoltre, agli Dei del Pantheon tradizionale, si aggiunse anche il dio Sole che da un lato va ad offuscare le divinità della tradizione romana, dall’altro si identifica con la figura del sovrano. Al culto delle virtù, si sostituisce il culto della persona dell’imperatore, considerato pius felix victor, il quale, ritenuto un dio sulla terra, incarna in sé tutte le eccellenze degli uomini. Gli imperatori diventano in questo modo augusti e divi, e viene attribuita ad essi una sacralità istituzionale che troverà più tardi la massima espressione nella corte bizantina.
Da Augusto a Costantino il culto dell’imperatore si fonde con il mito della dea Vittoria: i trionfi di Roma, le conquiste, la forza, alimentano una sorta di teologia della Vittoria. Il popolo romano, manifestando la sua devozione al Genium Imperatoris, che altro non è se non la potenza e la forza del popolo di Roma il quale, avendo una organizzazione politico-amministrativa molto sviluppata e capillare, considera l’apparato statale come una gerarchia religiosa.
Si vede in quest’ottica come il popolo fonda insieme il sentimento religioso con il lealismo civico, con il culto dell’imperatore e dello stato: la devozione religiosa diviene a tutti gli effetti un rituale di stato. Le cerimonie si svolgono sempre nello stesso modo, con gli stessi immutabili riti: i sacrifici sono fatti con la stessa procedura, i sacerdoti pronunciano sempre le stesse formule immutate da secoli.
Tuttavia se da una parte si proclama la Dea della Vittoria, la divinità dell’imperatore, l’invincibilità di Roma, dall’altra appare evidente che questi epiteti cozzano irrimediabilmente con l’instabilità economica, sociale e soprattutto militare dell’impero. Ecco perché un siffatto contesto si assiste ad una rapida decadenza del culto degli dei e del culto del Καίσαρ, che spinge così il civis a rivolgersi ad altre religioni per cercare una risposta alle sue inquietudini interiori.
L’aumentare delle malattie, il dilagare delle epidemie, una sorte di diffuso pessimismo, la sensazione di abbandono percepite in generale dai cittadini dell’impero, fanno venire meno, come si è detto, la fiducia nello stato e negli dei del Pantheon romano.
Inoltre bisogna sottolineare che il culto dell’imperatore comincia ad acquisire sempre più le caratteristiche del monoteismo politico, non meno esclusivistico e geloso di quello religioso. Alimentato dall’impersonale e sostenuto dall’istituzionale, il monoteismo politico tende appunto o a scalzare o a togliere forza e validità agli altri riti e agli altri dei. Considerare l’imperatore come un dio, come un numen, porterà i cittadini a sostituire progressivamente la figura dell’imperatore, incapace ormai di dare risposte al popolo, con quella di un dio che promette non in questo mondo ma nell’altro quella pace, quella sicurezza che questa realtà ormai non può più dare. È proprio nel III secolo infatti che si sviluppano – inizialmente negli strati più bassi della società e successivamente in quelli più aristocratici – il culto di Mitra, il Giudaismo e il Cristianesimo i quali tutti insieme presentano una concezione monoteistica del divino, accanto agli Oracoli caldaici, al Corpus Hermeticum, alla religione egizia, che cominciano sempre più ad assumere un’importanza che tende ad affiancare e a volte anche a sorpassare quello delle religioni suddette.
Ora all’interno di questo contesto dopo la morte di Plotino, il Neoplatonismo risentirà in modo sempre più marcato di questo senso di incertezza e di ricerca di una verità non più solo razionale e filosofica, ma soprattutto soprannaturale e rivelata. Ed è con Porfirio che il Neoplatonismo comincia a colorarsi (cosa che sarà sempre più evidente nei successori) di quelle tinte che faranno perdere gli aspetti spiccatamente razionalistici che Plotino aveva cercato di dare, a beneficio di una interpretazione più fideistica.
È in questo contesto che Porfirio inizierà a recuperare la magia, la stregoneria, ad innovare la teurgia, e a parlare di teosofia. Ora a partire dagli studi di G. Wolff e di J. Bidez in poi, il pensiero di Porfirio ha avuto una interpretazione che definirei evoluzionista secondo cui, in giovane età il discepolo di Plotino avrebbe aderito ai culti religiosi e a quell’impianto fideistico proveniente dall’Oriente, mentre in età matura si sarebbe convertito al razionalismo e alla filosofia. Ora, fermo restando che la natura e l’animo umano in generale sono qualcosa di estremamente mutevole e cangiante, non vi sono le basi filologiche per sostenere questa tesi. Senza volere in questa sede giustificare nessuno, bisogna ammettere che a mettere fuori strada i primi studiosi, è stato lo storico Eunapio di Sardi il quale in un passaggio dell’opera Vita dei filosofi e dei sofisti (IV 1, 11-12) quando parla di una non ben definita opera sugli oracoli, sostiene che Porfirio “forse si occupò di queste problematiche da giovane, come sembra (…)”. [Cfr. infra TESTIMONIANZE SULLA VITA E LE OPERE DI PORFIRIO 1T., dove è stata tradotta tutta la Vita di Porfirio di Eunapio di Sardi].
Tuttavia prendere quel forse (Ίσως) e come sembra (ως ἒοικεν), quasi come una certezza, come fanno i primi studi da G. Wolff a J. Bidez in poi, e che questa quasi-certezza si sia protratta in ambito accademico per oltre centocinquant’anni, diventando un punto fermo, mi sembra eccessivo, visto che lo stesso Eunapio è molto vago sulla notizia. Per questo motivo, opere come il De regressu animae, la Philosophia ex oracoli, il De statuis e l’Epistula ad Anebonem, considerate dalla maggior degli studiosi come opere giovanili, dovrebbero essere ascritte al periodo maturo di Porfirio, quello cioè che va dal ritorno di Porfirio a Roma da Lilibeo in Sicilia (l’odierna Marsala), dove il filosofo si era ritirato per un periodo di tempo per curarsi dalla melanconia che lo aveva spinto al suicidio, fino alla sua morte avvenuta molto probabilmente a Roma intorno al 305 d.C. …

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LETTERA AD ANEBO

Pag. 365)

14. Suvvia dunque, cerchia modi chiarire, per quanto ci è possibile, il complicato problema riguardante il demone che ci è toccato in sorte, problema che si presenta sotto vari aspetti e carico di contraddizioni. Dunque per dirla in breve, poiché due sono le dottrine che riguardano il demone che ci è toccato in sorte, mentre una (lo reputa oggetto) della teurgia, l’altra (oggetto) della scienza, e mentre una lo nomina (come proveniente) dalle cause metafisiche, l’altra invece dai visibili cicli periodici (presenti) in natura, e mentre una non si serve affatto del quadro astrale, l’altra invece si serve di questi metodi, e mentre una lo venera (con un culto) più universale soprannaturale, diversamente l’altra lo venera secondo natura, mi sembra assurdo il tuo sottomettere la funzione sacra più perfetta ad (un’arte) umana, per tormentarti a (fare) domande intorno a questa.
Inoltre mi sembra anche che su questo punto tu abbia eliminato una piccola parte della dottrina che si riferisce a lui (scil. Al demone che ci è toccato in sorte): infatti essendo gli esperti abituati ad invocarlo regolarmente dai decani e dai liturgi, dai (dodici segni) dello zodiaco, dagli astri, dal sole e dalla luna, dalla costellazione dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore, da tutte le cose visibili e dal mondo, in modo non corretto tu, essendoti occupato solo di una piccolissima parte (della dottrina), quella (relativa) al signore della casa, hai fatto domande solo su questo (punto).
E qui di nuovo, da quest’unico argomento e dal modo di esaminare in che modo il signore della casa lo assegna (scil. Il demone che ci è toccato in sorte), e secondo quale stranezza o emanazione o vita o potenza (il demone che ci è toccato in sorte) scenda verso di noi da uno di essi, fai il discorso sul quadro astrale, se è sostenibile o meno, e del modo di calcolare il signore della casa, se è impossibile o possibile. …

stralci tratti da “PORFIRIO. FILOSOFIA RIVELATA DAGLI ORACOLI
Edizione Bompiani – Il Pensiero Occidentale
testi greci e latini a fronte
a cura di Giuseppe Girgenti e Giuseppe Muscolino

 

per conoscenza:

del G. Girgenti
Porfirio negli ultimi cinquant’anni
– Vita e Pensiero, Milano 1994
Il pensiero forte di Porfirio – Vita e Pensiero, Milano 1996
Introduzione a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari 1997
Astinenza dagli animali a cura di G. Girgenti e A.R. Sodano, Milano Bompiani 2005 p. 22.

del G. Muscolino
Introduzione alla storia delle costruzioni di G. Muscolino e G. Falsone – Editore Pitagora 1991
Dinamica delle Strutture … – Editore Pitagora 2012

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