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439. Le potenze dell’Anima di Elémire Zolla

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Presentiamo, di seguito, degli interessanti “passaggi” dello splendido libro di Elémire Zolla “Le Potenze dell’Anima”, Edizione Bompiani 1968.

*****

1° passaggio
da Le tre parti dell’uomo infelice: il corpo, l’anima e la ragione

L’uomo coglie coi sensi apparenze contingenti, limitate dallo spazio e rimutate dal tempo; e mentre con la ragione le viene classificando secondo le ipotesi generali che meglio le inquadrino, sì da poterne disporre tecnicamente, con l’anima o psiche viene provando per quelle stesse contingenze attrazione o repulsione.
Il corpo, la ragione e l’anima o psiche sono le uniche parti o funzioni che l’uomo per lo più si riconosca: fra il sentimento e la scienza egli oscilla, quando non restringa la sua esistenza alle sensazioni del corpo. A queste sue tre parti tributa perfino tre rispettivi culti: il materialismo, lo scientismo o razionalismo, che proietta dinanzi a la sua ombra: l’utopia dell’uomo macchina, e infine l’irrazionalismo o sentimentalismo: l’orecchio naturalmente prova tanta ripugnanza per queste desinenze peggiorative in fila quanta l’animo dovrebbe sentirne per ciò che designano. L’uomo comunemente vive in questa trilaterale prigione dove i manipolatori dei tre culti condizionano così rigorosamente i suoi riflessi che la sua interiorità si trasforma in una replica fedele di quel triangolo carcerario. Ma questa riproduzione interiore dell’ambiente circostante non è del tutto giusta, se egli non di rado mostra disagio e addirittura angoscia e paiono non farlo felice né il benessere materiale, né la perizia tecnica, né il compiacimento sentimentale che gli vengono suggeriti come paradisi, ed è come egli avesse nostalgia di altra e diversa cosa. Però, se mai lo desse a vedere, gli verrebbero rimescolati in forme diverse sempre quegli stessi tre beni insufficienti o illusori; magari come talismano gli verrebbe offerta un’ideologia, cioè, insieme a un qualche declamatorio sentimentalismo sociale, un simulato razionalismo. D’altronde egli non sarebbe in grado di figurarsi una religione che fosse altro da una fantasticheria con intenzioni umanitarie, e se una Margherita l’interrogasse sulla sua fede risponderebbe come Faust di credere in un Dio quale vaga immagine dell’universo, per il quale non ha un nome: sentirlo è tutto. Di rado egli sa riconoscere nella filosofia altro da un’appendice della scienza e nell’arte altro da una più o meno rara sensazione. Di quando in quando s’avvede pure di aggirarsi fra i tre muri di una segreta, chiusa ogni uscita verso la libertà, e osa allora domandare a che giovi adorare la scienza; gli si replica che essa promuove tecniche nuove, largendo appagamenti sensibili e perfino sensazionali a tutti i bisogni. Ma i bisogni, corporei o psichici, egli si accorge, nemmeno essi hanno un valore assoluto, mostrandosi anzi mutevoli e ambigui e infine disperanti quanto più li si veneri, ed esclamerà con Faust (v. 3348):

“Non sono dunque diventato il fuggiasco, il senzacasa?
L’abumano che senza scopo né quiete,
come una cascata che scroscia di rupe in rupe
ha infuriato bramosamente verso l’abisso”.

 

2° passaggio
da Metodi di coltivazione della spiritualità

Certe pratiche devote aiutano la spiritualità a manifestarsi e sono anche strumenti per sentire la distinzione dei diversi piani sui quali l’uomo vive, sì da armonizzarli. Il rosario distingue , armonizzandole, la sensibilità legata al corpo, che si concentra sulla palpazione dei grani sferici oppure ovoidali, cioè di una forma simboleggiante la perfezione, o anche, secondo il consiglio di Alano De Rupe, sulla visione di figurazioni sacre; l’anima, che viene ritmata dall’onda della preghiera simile a una risacca, con le scansioni degl’intervalli; l’intelletto, che si concentra via via sui misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi, cioè sui quindici archetipi d’un destino cristiano.
Del pari le litanie lauretane si possono recitare con la corona e, imprimendo un ritmo all’anima, all’intelletto propongono la serie degli archetipi, delle modalità che specificano la purezza verginale, lo stato umano anteriore alla caduta, in una successione che corrisponde a una perfetta logica simbolica: Vas spirituale, Rosa mystica, Turris eburnea costituiscono emblemi incatenati l’uno all’altro e sono permanenti nelle figurazioni sacre della dea arcaica che nutre con l’acqua di vita la potenza spirituale, spesso rappresentata in forma di serpente, e che ha la testa fiorita e poi turrita, secondo la sequenza figurativa universale scoperta da Hentze. Ma è possibile coinvolgere nella recita anche il raziocinio, poiché si possono connettere le singole invocazioni a passi della Scrittura, dunque a riflessioni sul nesso che unisce le une agli altri: Kyrie eleison a Laudis eius plena est terra (Abacuc IV, 3); Christe eleison a Et dixit ei Rex: Pete mater mea (I Re II, 20); Kyrie eleison a Adeamus ergo cum fiducia (Ebrei IV, 16); Christe audi nos a Ego exaudiam de coelo (II Cronache, VII, 14) e via citando.
Corporea, psichica, raziocinante ed intellettuale è l’unitaria e insieme distinta partecipazione alla litania e quella che nella recita sembra, al profano, trasognatezza è invero impersonale apatia, cassa di risonanza in cui si purifica e risuona l’intellezione degli archetipi.
Questo modo di concentrazione sulle cause esemplari che si perfezionò nell’autunno del Medioevo cristiano è comune a quasi ogni religione; anche il rosario è noto sotto varie latitudini, ma sono analoghe per metodo anche certe danze come quella dei Kachinauas del Chaco, destinata a suggestionare gli animali, in cui i danzatori si allacciano formando un serpente, ed il capo segna il tempo con schiocchi di frusta, menzionando via via tutti gli animali, la luce, il fuoco, la pioggia (tutti gli archetipi) fino a che il fiato gli manchi, mentre i danzatori ripetono venti volte ogni nome che egli grida.
Altra pratica individuale che armonizza i piani della vita è la lettura del breviario, nel quale i salmi si alternano alle antifone, agli inni, ai cantici, alle letture sacre e a quelle di sermoni, commenti, omelie, vite dei santi, e infine alle orazioni.
Il testo varia con la stagione, la giornata, l’ora stessa, sicché è completo l’accordo con l’ambiente, che viene percepito con attenzione proporzionale alla carica simbolica di cui viene investito e se i salmi vengono cantati, sia pure mutamente, il modo gregoriano della loro melodia sarà proprio della stagione secondo una corrispondenza fra il momento zodiacale e le leggi dei rapporti fra le note. Oltre a radicare nel tempo specifico percepito dal corpo, il breviario lo trascende ed offre alla psiche il ritmo pacificante della lettura recto tono, all’intelletto la contemplazione degli archetipi, specie nelle orazioni, e dà campo al raziocinio nelle esegesi.
Altre pratiche sviluppano un uso della fantasia, come gli Esercizi di sant’Ignazio, o della respirazione, come preghiera esicastica; ma comune a qualsiasi esercizio spirituale è una conoscenza distinta e simultanea dei piani diversi dell’uomo: soltanto dall’alto dell’intelletto tutto si specifica e pone in prospettiva.

 

3° passaggio
da Il Male come trasposizione della Spiritualità

Il male consiste in una traslazione di quanto ha senso e ragione nel mondo spirituale a quello inferiore della psiche, del corpo, della ragione: la spontaneità ispirata dello spirito, trasposta (invece che fatta splendere) sul piano puramente psichico e corporeo diventa licenza e sul piano razionale vaniloquio; la spirituale superiorità alla legge vi scade a capriccio o ad arbitrio, l’abbandonata quiete vi si degrada a neghittosa accidia, l’assorta impassibilità a scontrosa malinconia, la letizia a erotismo, la formulazione razionale delle evidenze intellettuali a esibizione avvocatesca o a proposta di persecuzione e la benevolenza verso ogni essere a complicità con ogni disarmonia. Le verità spirituali, diventando sentimentalisti sociali, formano gl’inganni mondani; l’uguaglianza di ogni uomo nella misura che accedendo all’intelletto, trascenda la sua personalità, diviene la menzogna dell’uguaglianza fra gli uomini in quanto tali e l’ingiusta immolazione dell’individuo alla società invece che allo spirito.
E del pari la speranza e la fede nella perfezione spirituale, primizie d’ogni perfezione, divengono la speranza e la fede in vicende materiali sempre più prospere ed in stati psichici sempre più compiaciuti, formando la materia prima d’ogni più perverso inganno. L’ascesa a Dio degradandosi si converte nella leggenda del processo cosmico, la quiete scade nell’utopia d’un appagamento automatico dei desideri e di un’allucinazione perpetua. Il ritorno all’Origine, il rifarsi alla causa delle cause come principio, posto fuor del tempo, del mondo temporale, s’immiserisce nella stolta fatica di ricercare l’origine temporale del cosmo temporale, contraddizione in termini.
Così l’idea dell’infinito o dell’eterno si confonde, una volta abbassato al piano materiale, con la molteplicità indefinita o con la perpetuità.
Così si crede che l’adozione di questa o di quella ipotesi scientifica abbia dei riflessi metafisici, come se una ricerca congetturale o sperimentale o documentaria possa in alcun modo e in qualsiasi caso modificare una teoria della spiritualità, la quale non può essere se non deduttiva e assiomatica.
Le energie di per sé neutre dell’uomo possono essere dirette giustamente oppure pervertite e questo è un campo in cui è legittimo affermare l’uguaglianza degli uomini i quali hanno tutti una somma di energia che sono liberi di dedicare o allo spirito o alle suggestioni psichiche.
L’errore è una parodia della verità, la menzogna simula il bene come l’inganno promette sempre un profitto. Ma peggio è quando le metafore dello spirito vengono scambiate per realtà sensibili. Come quando si affermi che l’esplorazione degli spazi interstellari sgombri dal mondo la presenza di Dio che è nei cieli; chi riesce a pensarlo non differisce dalla macchina per tradurre la quale, applicata a “Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”, scrisse: The whisky is redy, but the meati s under-done.

 

4° passaggio
da L’Anatomia Spirituale come chiave dell’Arte Poetica

L’anatomia spirituale è la chiave della poesia d’ogni tempo, dalla sciamanica e sacrale fino ai maestri degli ultimi tempi. Invero il grande poeta dev’essere sempre in incognito, sembrare un semplice uomo, comunemente innamorato o commosso, in modo da ingannare i più avveduti, raccontando vicende del tutto umane e sensuali: commoventi strazi o care scene d’amore, dolci passaggi o memorabili volti d’amici, tutto però con la riserva mentale che dietro questa possibilità di lettura perfettamente giustificata jure suo ci sia una storia esclusivamente spirituale, i cui personaggi siano le varie parti del poeta stesso, i vari movimenti della sua anima o del suo spirito personificati o simboleggiati, storia che a esprimerla direttamente si discioglierebbe come una medusa tratta a riva. Gli stilnovisti usarono forme della poesia amorosa per raccontare patetiche storie d’amore del tutto verosimili e credibili, che nascondono, secondo un rapporto analogico, vicende di contrasti tra la ragione filosofica e l’intelletto attivo, o movimenti dell’anima in lotta con operazioni dello spirito o con attrazioni carnali. Ma quale somma poesia non narra vicende spirituali mascherate? Dell’epica d’un Ghilgamesh o dell’Odissea è facile mostrare le corrispondenze con un itinerario di perfezione, ma anche la lirica amorosa fu una mascherata, a voler seguire il filo di certi indizi, nell’Egitto antico, a Bisanzio, nella Georgia medievale, nell’Islanda vichinga e nell’Islam come nella Cristianità dove ancora si coltivò questo amor cortese di così lontana origine. Invero la sua fonte primordiale sono le esperienze che si descriveranno discorrendo del Destino e del Custode …

 

5° passaggio
da L’Albero Lessicale dell’Interiorità

Le realtà interiori dell’uomo, inafferrabili per via diretta, sono designate inevitabilmente attraverso altri anelli della catena a cui appartengono. In tutte le lingue, quanto l’uomo vivente non ha in comune col proprio futuro cadavere viene designato mercé una certa concatenazione di cose: esiste un albero metaforico e lessicale universale che si dirama in un certo numero di parole adoprabili per indicare l’anima. La realtà concreta alla radice di quest’albero è il respiro, dal quale scaturisce una raggiera di cose o atti connessi: i polmoni, gli strumenti a fiato, il mantice, il gonfiarsi, l’otre, il cuscino, il guanciale, la vescica, il tumore, il mucchio, l’eccesso, il pieno e il troppo, l’orgoglio, il bioccolo, la polvere, la nuvola, il vapore, il calore (dilatante), la nebbia, la pioggia e la rugiada, il fumo, l’oscurità, la fuliggine, il vento, il freddo, l’eccitazione irosa o addirittura folle, la fretta e l’avidità e infine, ultimo anello della catena o ultima foglia dell’albero, a seconda della similitudine che si elegga, l’anima o vita o ragione. Quasi tutto ciò che nell’uomo non è corporeo e misurabile, si esprime attraverso questo o quell’anello della catena lessicale che parte dal respiro; questo esalerà meramente odoroso dai fiori, dal vino, dal sudore, dalle spezie, dalla pelle animale, altresì visibile dallo zolfo, dal legno bruciato, dal fumo, e apparirà infine quasi soltanto visibile come fiato nell’aria gelida, come nebbia o vapore. La nebbia a sua volta forma le nuvole, il vapore prepara la pioggia, la polvere i bioccoli. Wilhelm Oehl ha discriminato squisitamente i ventidue anelli della catena o rami dell’albero. La radice indoeuropea dhu (“vibrare” e “respirare”) prolifera in tutti questi sensi e in altri ancora: dal “tallo” delle piante, al “tufare”, al colore “fosco”, alla “fuliggine”, al “fimo”, al “fumo” che in Dante esala dal petto a a designare le passioni; ne provengono in greco i nomi dell’animo, thymos, della procella, thyella, dell’orgoglio, thyphos, e della concitazione bacchica. Dall’altra radice an (“alitare”), si dirama la stessa raggiera che comprende l’anima e l’animo latini, ma anche gli spiriti divini dei Teutoni (Ase) e degli Indù (Asura). Dalla radice bhudh (“aspirare”, “annusare”) provengono i termini che designano il conoscere, il riconoscere, l’approvare e l’intelletto (in sanscrito buddhi), nonché il fiato, il flauto degli italiani. E infine, per la stessa correlazione, il sanscrito jivnutas (nube) è legato a jivas (vivo, anima), al latino vivus.
La catena metaforica del respiro si avverte dunque al suono stesso delle parole, essa vive anche nella loro etimologia. Ed è a questa catena che si connette quell’insieme dei movimenti interiori e invisibili dell’uomo il quale costituisce l’anima e l’animo e lo spirito (da spirare). Il tedesco Geist, come l’inglese ghost provengono dal sanscrito heda-s o ira divina e l’ira è designata come un gonfiarsi, anch’esso, del respiro.
Oltre a questa catena l’interiorità si può connettere a quella, appunto, di “ciò che sta all’interno” e designarsi come intimità, appunto, o nocciolo, o cuore …

 

 

tratto da “Le potenze dell’Anima” di Elémire Zolla

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