“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di venerazione sempre nuove e crescenti, quanto più sovente ed a lungo si riflette sopra di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Non si tratta di due cose che io debba cercare o semplicemente supporre come fossero avvolte nelle tenebre o situate nel trascendente, al di là del mio orizzonte; io le vedo dinanzi a me e le congiungo immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto da me occupato nel mondo sensibile esterno e allarga la connessione in cui mi trovo in un’ampiezza sconfinata, con mondi e mondi, sistemi e sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinità, in cui soltanto l’intelletto è in grado di penetrare e col quale (quindi anche con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non contingente come la prima, ma universale e necessaria. La vista di una molteplicità innumerevole di mondi riduce in un certo modo a nulla la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (che è un semplice punto nell’universo) la materia di cui è formata, dopo esser stata dotata per breve tempo (e non si sa come) di forza vitale.
L’altra vista innalza invece infinitamente il mio valore, come proprio di un’intelligenza, attraverso la mia personalità, in cui la legge morale mi rivela una vita indipendente dall’animalità e anche da tutto il mondo sensibile, almeno per quanto si può arguire dalla determinazione secondo fini che questa legge conferisce alla mia esistenza, determinazione che non si restringe alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito”.
Immanuel Kant
da “Conclusioni” in Critica della Ragion Pratica
Edizioni UTET, Marzo 2013