La mitologia post-vedica indica il saggio Vaisampayana come il primo maestro della dottrina “Taittirya Samhita” (o Yajus Nero). L’Upanisad dei Taittiriya fa parte dello Yajur Veda “Nero” che contiene le formule sacrificali pronunciate dal sacerdote adhvaryu durante la celebrazione del rito vedico. Il saggio Vaisampayana è celebre per aver narrato tutto il “Mahabharata” al re Janamejava durante il grande sterminio dei Naga. Egli incarna l’esempio di un saggio che, per principio, accetta il sacrificio (un comportamento autolesionista prodotto da una esaltazione mentale). Vaisampayana accidentalmente aveva ucciso il nipote rendendosi colpevole di brahmicidio (il Manu lo definisce mahapataka, cioè peccato mortale). Il peccato mortale si riferisce però ad un atto volontario e non accidentale. Ma nonostante la sua accertata saggezza Vaisampayana vuol farsi punire ascoltando la fredda linea di principio (dogma mentale) invece di ascoltare la voce saggia del suo saper fluire armonico nella vita. Il lasciarsi andare (forma di masochismo) aumenta il male nel mondo. Il suo discepolo, il saggio Yajnavalkaya non accetta tale comportamento del proprio maestro e tronca ogni rapporto con lui. I mantra della “Vajasaneyi Samhita” (o Yajus Bianco) nascono da questa scissione. Questi mantra “parlano” che la vera saggezza sta nel coraggio di ascoltare solo la voce della propria Anima ignorando non solo le imperfette leggi umani ma anche le opinioni degli altri saggi.